ADHD. UN DISTURBO MOLTO COMUNE MA POCO CONOSCIUTO

Dal ritardo nelle diagnosi alla solitudine delle famiglie, dall’assenza di centri alla necessità di fare rete. Tanti i problemi e gli spunti nell’incontro di ADHD Italia

ADHD è l’acronimo inglese di Attention Deficit Hyperactivity Disorder, Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività. Il 15 ottobre scorso si è svolto il secondo incontro dedicato al tema della Neuroinfiammazione nei disturbi del neurosviluppo nella sede del CSV Lazio, organizzato da ADHD Italia, associazione che rappresenta un coordinamento di odv impegnate in merito al disturbo da ADHD, che si è costituita un anno fa e comprende ADHD Lazio, ADHD Piemonte e ADHD Campania: forniscono supporto ad adulti, adolescenti e bambini con disturbo da deficit di attenzione e iperattività e disturbi con esso in comorbidità. Il coordinamento si avvale dell’attività di volontari esperti in orientamento familiare e mutuo sostegno, insieme alla collaborazione di clinici esperti sul disturbo ADHD e del comitato scientifico.

C’è bisogno di costruire dei protocolli

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Un momento del secondo incontro dedicato alla Neuroinfiammazione nei disturbi del neurosviluppo, organizzato da ADHD Italia presso la sede regionale del CSV Lazio

L’ADHD è il più frequente disturbo neuropsicologico del neurosviluppo in età evolutiva associato a disturbi del comportamento e delle funzioni esecutive. Nell’80% dei casi si presenta insieme ad altri disturbi, quali quelli specifici dell’apprendimento, tic nervosi, disturbo della coordinazione motoria e del sonno, ansia, depressione, disturbi dello spettro autistico. L’obiettivo di ADHD Italia e degli incontri di formazione è far conoscere una condizione patogena molto più diffusa di quanto si pensi.
Secondo il dottor Lorenzo Toni, neuropsichiatra infantile, fra gli organizzatori dell’incontro «è fondamentale fare network, senza gerarchie e fianco a fianco, in modo da riuscire a costruire dei protocolli diagnostico terapeutici utilizzabili e far partire linee di ricerca più vicine a quello che veramente serve. Uno dei problemi più grossi è che spesso la diagnosi viene fatta esclusivamente sulla base di sintomi che vengono evidenziati poiché hanno una ricaduta comportamentale o sul successo scolastico e relazionale e si trascura di andare a cercare eventuali altri disturbi, magari considerati minori ma che possono guidare ad esempio ad un diagnosi di tipo neuroinfiammatorio o , più propriamente, da risposta infiammatoria cronica cerebrale, talvolta autoimmune come nella pandas, ma anche no, più legata ad un disturbo di permeabilità della barriera ematoencefalica con una iperstimolazione della risposta infiammatoria. Talvolta, anzi spesso, questa risposta infiammatoria è associata al disturbo di permeabilità della barriera intestinale, come è emerso nel corso del nostro incontro, così ben esposto sia dal Dottor Maurizio Brighenti nel suo intervento sul ruolo dell’infiammazione cronica in relazione a sintomi dello spettro autistico. Il nostro obiettivo era quello di confrontarci e stimolare protocolli diagnostici e condivisi quando spesso le diagnosi sono superficiali e mancano di visione d’insieme»,  aggiunge il Dottor Toni «un altro aspetto importante è che, nella manifestazione di un disturbo, si manifestano tante spinte che portano ad uno squilibrio tale da interferire con le competenze adattive e le risorse che servono sono multiprofessionali per poter modificare squilibri spesso complessi (e bisogna lavorare sul recupero.) Le spinte sono di tipo ambientale postinfettivo, relazionale, familiare, genetico, spesso collegate agli inquinanti ambientali. Inoltre, con il Covid-19, a volte ci ritroviamo a fare i conti con un apparato immunitario che è molto auto aggressivo e può portare a una serie di sintomi post Covid, quali la stanchezza cronica e la cefalea (fog). Anche in altre situazioni post infettive riconoscevamo disturbi neuropsicologici, neurologici, comportamentali importanti, ad esempio dopo la mononucleosi infettiva, il citomegalovirus, o lo streptococco come nella p.a.n.d.a.s.».

Forte ritardo culturale e solitudine sociale

«Purtroppo queste cause sono molto negate dalla pediatria ufficiale», dice il dottor Andrea Manzi, pediatra dell’ospedale S. Maria delle Grazie di Pozzuoli. «Questo ha ostacolato molto la ricerca, in Italia c’è un forte ritardo culturale sull’approccio sia terapeutico che diagnostico. Il problema è che questa forma di neuroinfiammazione di origine autoimmune, che viene dopo una banale infezione (molto comune in età pediatrica), può determinare disturbi comportamentali improvvisi che creano un grande disagio alle famiglie, che vivono queste situazioni con grande sofferenza e in una totale solitudine sociale. Non esistono centri di riferimento specifici, molto spesso le persone vengono liquidate solo con l’utilizzo di psicofarmaci, senza cercare di approfondire per rimuovere le cause», continua Manzi. Le diagnosi possono iniziare dai 4 anni in poi. «La rivoluzione dell’approccio a questa neuroinfiammazione è che, per la prima volta nei casi di disturbi mentali, si utilizzano gli antibiotici come forma di terapia; lo scopo di noi pediatri è scongiurare il più possibile il ricorso agli psicofarmaci. Esistono tre categorie di bambini: quelli che guariscono, altri che migliorano molto e il 10% di casi gravi, nei quali l’infiammazione ha creato danni neuronali permanenti e sono destinati a cronicizzare da adulti».

«Di particolare importanza nel nostro incontro – aggiunge il Dottor Toni – è stata la proposta di protocollo diagnostico/terapeutico della Dottoressa Antonella Gagliano per un disturbo denominato PANS (pediatric-acute-onset neurpsychiatric syndrome). La stessa ha parlato dell’utilità di ristabilire l’omeostasi sovvertita dell’ambiente cerebrale, ristabilendo l’equilibrio metabolico locale sovvertito dall’infiammazione cronica subacuta, verosimilmente presente in questa sindrome».  «Anche la terapia con i corticosteroidi, usata per molte malattie autoimmuni, può essere presa in considerazione nella gestione della PANS», ha spiegato la Dottoressa Antonella Gagliano, neuropsichiatra infantile Dipartimento di scienze della salute, Università di Catanzaro che, nel suo illuminante e complesso intervento, chiarisce come «dobbiamo cominciare a pensare al corpo come ad un sistema unitario e abbandonare l’idea del cervello come organo avulso dal corpo e protetto dai fenomeni infiammatori che interessano tutti gli altri organi. Anche il cervello può infiammarsi ed essere soggetto all’influenza degli altri sistemi biologici».

Dai problemi per il Covid19 all’assenza di centri

La pandemia ha creato dei problemi nel reparto di pediatria dell’ospedale S. Maria delle Grazie di Pozzuoli, dove lavora il dottor Manzi. Prima del Covid19 il suo reparto aveva 20 posti letto, riusciva a dare risposte di tipo ospedaliero ai bambini più gravi, con la pandemia il reparto è stato prima trasformato e poi ridotto a 5 posti letto, gli altri 15 sono stati dati al reparto di ortopedia. «Le competenze sono della sanità regionale, ma il dottor Manzi svolge un lavoro di importanza nazionale. Sono pochissimi gli specialisti in Italia aperti a questo tipo di diagnosi, molti diagnosticano ma poi, noi genitori, dobbiamo dimostrare i percorsi fatti e spesso non abbiamo in mano relazioni e migriamo da uno specialista ad un altro. Ci sono anche genitori che sono finiti in tribunale per eccessiva medicalizzazione e a causa dell’ignoranza di molti medici che non riconoscono una delle diagnosi, la p.a.n.d.a.s. che ormai è entrata a far parte della nuova classificazione dell’organizzazione mondiale della sanità: l’icd-11 con il codice 8e4a», ha affermato Cristina Lemme, presidentessa di Adhd Lazio e di Adhd Italia. «Nel tempo abbiamo cercato professionisti che non avessero timore nello scrivere e nel fare le diagnosi, nel 2019 abbiamo trovato il dottor Manzi e abbiamo iniziato a portare i bambini da lui. Sono curati tutti da noi genitori a domicilio. Dobbiamo andare fuori regione, ovviamente, e i costi sono tutti a carico delle famiglie; inoltre, spesso le terapie non si assumono per via orale e bisogna rivolgersi a sanitari privati per la somministrazione, senza il supporto del pediatra di libera scelta e del neuropsichiatra. Le cure del dottor Manzi spesso funzionano, ma abbiamo bisogno di uno specialista di fiducia il più vicino possibile, sarebbe auspicabile formare sempre più pediatri e neuropsichiatri in modo da avere diagnosi in tempi più brevi e cure più mirate, senza recarsi fuori dal Lazio. Spesso i bambini hanno diagnosi tardive, dai 15 ai 17 anni, quando anche le possibilità di guarigione sono più sottili rispetto ai risultati che si potrebbero avere in età pediatrica», ha continuato Lemme.

La necessità della formazione e dell’informazione

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Uno dei principali obiettivi di ADHD Italia riguarda la redazione di linee guida per l’ADHD, sul quale oggi nel nostro Paese c’è un forte ritardo culturale

Secondo il dsm-5, il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali internazionale, si stima che l’incidenza dell’adhd è del 5% nella popolazione scolastica e del 2,5% in quella adulta. Secondo i dati dell’Istituto di Statistica di Città Metropolitana, nel 2021, nel Lazio sono 160mila casi di adhd totali, di cui 35mila studenti. «Il grosso delle persone con adhd non sono riconosciute come tali. Nel Lazio ci sono solo due centri per la diagnosi e la cura dell’adhd adulto ma che fanno fatica a rispondere alle richieste che pervengono da tutta l’Italia centro meridionale, sappiamo che un paio di altri enti specializzati stanno aspettando l’autorizzazione dalla regione che non arriva», ha detto la presidentessa Lemme. «La nostra associazione crea eventi di formazione e informazione affinché si faccia rete a tutti i livelli per abbattere questi muri ideologici che anche il mondo scientifico ha creato. Vogliamo portare le istanze a livello nazionale perché c’è un enorme buco normativo per quanto riguarda la tutela di questi pazienti, tra diagnosi tardive e trattamenti adeguati di difficile raggiungimento, perché ostacolati dalla burocrazia che rende ancora più difficile l’accesso alle cure».

«Mi sono interessata a queste problematiche da un po’ di anni perché ho avuto dei bambini con delle problematiche particolari», racconta la dottoressa Eugenia Policicchio, pediatra di base di Roma. «Ho conosciuto il dottor Manzi, a cui mi rivolgo continuamente. Noi pediatri a Roma siamo abbandonati, bisognerebbe fare dei convegni per sensibilizzare i pediatri di base. Non abbiamo contatti diretti tra noi medici, noi pediatri che abbiamo a che fare con tutte le patologie infiammatorie dobbiamo essere istruiti. Io, umile pediatra di base, grido: “facciamo qualcosa”!».

Per una salute accessibile a tutti

In questa non comunicazione le famiglie non hanno risposte. «Di fronte al cambiamento di un bambino, che improvvisamente ha una serie di disturbi, le famiglie sono spaesate ed esce fuori il divario di accesso alle informazioni: chi ha la fortuna e la forza di continuare a cercarle, può sperare di avere delle risposte, chi è più fragile e non può cercarle rimane isolato. Ma dietro ad una famiglia isolata c’è un bambino che soffre. Grazie alle possibilità della ricerca, oltre alle cure già esistenti, potrebbero essercene altre. Personalmente, una dottoressa mi ha fornito il protocollo di cura ma ho combattuto con il mio pediatra per avere le ricette necessarie ad acquistare i farmaci», ha raccontato Serena Pascucci, vicepresidente di Adhd Lazio. «La salute deve essere accessibile a tutti, deve essere una porta aperta perennemente, un interscambio tra genitori e medici. Una madre o un padre che non hanno la tenacia di abbattere i muri merita supporto altrettanto quanto chi cerca risposte fino allo sfinimento. Chiedo sostegno per le famiglie e chi può farlo è in primis il territorio: i neuropsichiatri infantili e i medici pediatri. Gli psicofarmaci presi da mia figlia per più di 8 mesi l’hanno fatta peggiorare. Con una diagnosi più precoce, magari avrebbe preso un antibiotico, più efficace per il problema specifico».

Adhd: è necessario fare rete

«Abbiamo bisogno di creare una rete di esperti: pediatri, neurologi, neuropsichiatri, genetisti, immunologi, neuroimmunologi, gastroenterologi; si aprono degli scenari molto interessanti sia dal punto di vista delle terapie sia dell’approccio fisiologico a questo tipo di malattie. In Italia scontiamo ancora un approccio di chiusura ideologica nei confronti di questa malattia», ha affermato il pediatra Manzi. Ad esempio, il termine pandas, disturbo neuropsichiatrico improvviso dopo un’infezione acuta da streptococco, spesso viene negato. «il negazionismo culturale crea forti ritardi nelle diagnosi. Un fatto molto grave per il mondo scientifico e pediatrico è che spesso le diagnosi ai bambini le fanno i genitori, dopo aver consultato internet, invece dei pediatri».
«Tra i principali obiettivi di ADHD Italia abbiamo quello di avviare dei processi che consentano la redazione di linee guida per l’ADHD che non si limitino alla sola prescrizione, laddove necessaria, dei farmaci già conosciuti e non sempre sufficienti in presenza di altre patologie. L’idea è accogliere altre organizzazioni che accolgano i nostri obiettivi e condividano una visione più scientifica dei disturbi del neurosviluppo», dice Massimo Micco, membro del direttivo di adhd Italia e presidente di ADHD Campania.

ADHD. UN DISTURBO MOLTO COMUNE MA POCO CONOSCIUTO

ADHD. UN DISTURBO MOLTO COMUNE MA POCO CONOSCIUTO