AFGHANISTAN. ANCORA UNA VOLTA L’EUROPA CHIUDE LE PORTE ALLA DISPERAZIONE

Duro il giudizio delle organizzazioni non profit: la difesa delle frontiere conta più delle vite umane e dei diritti. Ecco quello che propongono

Il Centro Astalli

A fronte di un’Europa che chiude le porte, il Centro Astalli chiede:

  • la fine di accordi di esternalizzazione, proposti anche per gestire la crisi afgana: il fallimento degli ultimi anni, il costo in termini di vite umane e la condizione di ricattabilità in cui ci si va a porre li rendono da ogni punto di vista inadeguati e deprecabili;
  • l’apertura di vie di ingresso legali per i richiedenti protezione internazionale dall’Afghanistan e dalle aree di crisi del Mediterraneo;
  •  programmi di accoglienza e integrazione per quote significative di rifugiati da gestire con meccanismi di corresponsabilità e ripartizione tra tutti gli Stati UE;
  • un cambio radicale in politica estera che consenta di mettere al centro la pace e la sicurezza da perseguire con tutti gli strumenti della diplomazia e del dialogo. 

EuroMed Rights

Redattore sociale riporta le reazioni di altre organizzazioni. Di “conclusioni altamente deludenti” parla Sara Prestianni, responsabile del programma migrazione e asilo di EuroMed Rights, secondo la quale «Due sono i principali punti critici: il primo è quello di scaricare la responsabilità dell’accoglienza sui paesi limitrofi, continuando nella logica dell’esternalizzazione della frontiera. Il secondo punto critico riguarda l’idea di rafforzare le frontiere esterne: il messaggio chiaro è “non vogliamo accoglierli”. In questo senso gli esempi della Bulgaria e della Grecia sono evidenti». C’è poi la questione del linguaggio: «nel testo si parla di immigrazione illegale. Si tratta, invece, di rifugiati e richiedenti asilo. Esprimersi in questo modo vuol dire lanciare un messaggio altamente fuorviante». Euro Med Rights auspica inoltre

  • che ci sia un «controllo democratico del Parlamento europeo sulle risorse,
  • che vengano aumentati gli impegni sul resettlement e le evacuazioni rapide,
  • la protezione delle persone attraverso visti umanitari già previsti dalla Temporary Protection Directive».

Oxfam

Paolo Pezzati, policy advisor per le emergenze di Oxfam, «la realtà è che oggi per l’Europa la difesa delle frontiere vale più della vita di queste persone».  Per il responsabile di Oxfam è importante anche la proposta di convocazione del summit sui reinsediamenti: «Vogliamo capire fino a quanto sia una mossa mitigatrice per silenziare la società civile e quanto invece un tentativo di nuova leadership e impegno comune su questo fronte». Dal 2017 a oggi, infatti, i reinsediamenti a livello globale hanno coinvolto solo 206mila persone «un numero ridicolo rispetto al numero di rifugiati nel mondo».

Oxfam chiede

  • un impegno concreto per chi «è rimasto bloccato e sta cercando di salvarsi la vita»;
  • di aumentare drasticamente i resettlement, perché questi numeri non fanno onore all’Europa”;
  • di «rendere possibile l’accesso alla protezione agli afghani che a breve arriveranno ai confini dell’Europa e a quelli che già ci sono, sulla rotta balcanica, in Grecia e lungo le diverse frontiere Ue».

Consiglio Italiano per i Rifugiati

Il Consiglio Italiano per i Rifugiati (Cir) è preoccupato per un’Europa che chiude le porte: «è impossibile non vedere in questo disegno europeo la riproposizione di un modello in cui obiettivo primario è cercare di impedire l’accesso al territorio dell’Ue e di rafforzare il controllo alle frontiere. Se è importante garantire forme legali e sicure d’ingresso, quali il resettlement, i corridoi umanitari e anche l’utilizzo di visti (da quelli per ricongiungimento, studio o umanitari), non si possono creare barriere e muri ai possibili movimenti spontanei dei rifugiati. I canali d’ingresso legali e protetti non possono in alcun modo esaurire le necessità di protezione di una crisi come quella afghana. L’Ue deve pienamente garantire l’accesso al territorio e alla protezione internazionale. È essenziale che i cittadini afghani possano accedere al territorio degli Stati membri e che sia scrupolosamente rispettato il principio di non-refoulement».

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