AMMINISTRAZIONE CONDIVISA: LA NUOVA SFIDA DEGLI ENTI DEL TERZO SETTORE

A Viterbo una riflessione su amministrazione condivisa, coprogrammazione e coprogettazione. Per il bene del territorio

Lo scorso febbraio si sono tenuti tre incontri  in videoconferenza su Amministrazione Condivisa, Coprogrammazione e Coprogettazione  a cura della casa del Volontariato di Viterbo di CSV Lazio e LAB TEU. Attualmente quest’ultimo rappresenta la prosecuzione di un’esperienza nata nel 2016 su stimolo del CSV,per promuovere  la costituzione di un laboratorio che facilitasse l’accesso delle associazioni viterbesi ai fondi della comunità europea per la progettazione, come  fosse “una sorta di palestra” per abituarle a progettare a un livello superiore rispetto alle loro finalità istituzionali e a realizzare progetti comuni, con fine ultimo lo sviluppo del territorio. Dal 2020 il Laboratorio Tuscia Europa coinvolge 17 associazioni e nutre la speranza che, dopo i tre incontri sull’amministrazione condivisa, possa allargarsi anche ad altri enti; a febbraio hanno infatti partecipato anche alcune organizzazioni esterne al laboratorio.

Dei tre appuntamenti svolti abbiamo parlato con i responsabili del LAB  TEU, Marco Piacentini e Raimondo Raimondi, ai quali abbiamo chiesto il quadro emerso in vista del prossimo incontro che si terrà il 4 aprile.

Quali sono le finalità di  questi tre incontri?
«Lo scopo finale, discusso anche all’interno del gruppo che ha portato avanti questa iniziativa, è quello di avere un linguaggio minimo comune fra tutte le associazioni di volontariato del laboratorio, per dialogare con la pubblica amministrazione riguardo il concetto di amministrazione condivisa per la co-programmazione e coprogettazione. Negli anni  si è evoluto un complesso di leggi, sentenze e linee guida ministeriali, che volevamo  divenissero  patrimonio comune di tutte le associazioni: partire dalle basi di un vocabolario e sintassi comune, per fare un discorso con quelli con cui andremo a collaborare, ossia  con la pubblica amministrazione, e questa è la sfida. Questo è l’intento. Inoltre si fa spesso un uso improprio dei termini coprogettazione e coprogrammazione, nel senso di programmare e collaborare assieme, quando invece si tratta di termini tecnici  che devono essere inseriti in un quadro giuridico di cui non si ha una reale conoscenza consolidata».

Cosa è emerso dai questionari compilati nel primo incontro?
«Per esempio, un’affermazione più condivisa frequentemente è questa: il riconoscimento del sistema co-programmazione e co-progettazione come possibilità  che consente di superare approcci settoriali e integrare interventi diversi. Le sfide principali emerse sono la necessità di imparare a leggere e analizzare il contesto territoriale con i suoi bisogni,  imparare a lavorare insieme tra soggetti diversi; interessante è  osservare che invece, come sfida minore, sia riconosciuta dagli ETS quella di formare  funzionari, assessori, e dirigenti della pubblica amministrazione, ma non dimentichiamo che il dialogo tra le parti è anche quello di una P.A. verso il cittadino. Inoltre apprendimento sicuramente ritenuto molto utile, rispetto a questo sistema, è il confronto con chi ha vissuto queste esperienze».

C’è nella Tuscia un esempio reale di coprogettazione?
«Sì , esiste ed è quello messo in campo dalla dottoressa Paola De Riu, coordinatrice socio sanitaria del Distretto C Asl Viterbo.  Lei ha portato avanti un esempio di coprogettazione nell’ambito dei disabili in età evolutiva, frutto di una collaborazione tra Asl, Enti Terzo Settore e i Servizi  Sociali del Comune di  Vetralla.  Questo è un esempio concreto, e se c’è stato un caso a Vetralla, perché non può esserci altrove?»

Quindi si tratta di “abbattere dei muri”?
«La vera sfida è quella  di creare la strada, rompere una barriera oltre le criticità esistenti. La carenza di risorse che lamentano gli Enti del Terzo Settore è la stessa per la pubblica amministrazione, che non ha risorse umane sufficienti per potersi occupare di altre attività oltre quelle che già fa. Questo è un dato concreto, che accomuna le due realtà. È una sfida con difficoltà oggettive e concrete: il numero di risorse e la mancanza di una cultura adeguata per superare da entrambi le parti il vecchio schema di conoscenze e il sistema delle gare d’appalto e bandi nelle dinamiche di competizione. Ma l’ottica deve essere quella di collaborazione e di un ribaltamento delle logiche: prima si parte dalla conoscenza e dall’ascolto dei bisogni del territorio e poi arriva lo stanziamento delle risorse. Anche all’interno degli enti stessi c’è infatti una prospettiva che si muove nella propria ottica. Per esempio il termine “accoglienza” per ogni associazione ha declinazioni diverse, quindi significa bisogni e servizi diversi».

Chi interviene allora in questo?
«Cambia il tavolo della coprogettazione. Interviene la pubblica amministrazione, i diversi enti del Terzo settore interessati a coprogrammare  quell’intervento e con una complessità non facile da gestire, perché bisogna stare attenti a non indirizzare il progetto verso i bisogni preferenziali di un certo tipo di ente, con il rischio che alla fine diventi un bando camuffato».

Nello specifico cosa vuol dire amministrazione  condivisa?
«Gli strumenti sono tre:  si parte dalla coprogrammazione, che risponde ad un avviso pubblico della pubblica amministrazione, che chiama gli Enti del Terzo settore per coprogrammare: significa vedere i bisogni , le risorse da mettere in campo, e individuare i possibili interventi;  poi c’è la coprogettazione, che a seguito di bisogni, risorse e interventi va a fare uno degli interventi individuati; infine  i regolamenti di collaborazione, che sono documenti che stabiliscono come si può collaborare, se come organizzazione singola o associata. Non c’è un “must”: la pubblica amministrazione non è tenuta ad attuarla; l’amministrazione condivisa è un’opzione».

Cosa avviene ora dopo i primi tre incontri?
«Ci sarà una sessione di follow up. Abbiamo preparato un altro questionario su come poter fare una coprogrammazione come esercitazione in programma per  il 4 aprile. Ma su 37 partecipanti  iniziali, le risposte all’ultimo questionario sono solo dieci. Abbiamo chiesto loro di farci una fotografia del loro stato attuale post pandemia. Sulle criticità interne comuni, ciò che risalta è la drastica diminuzione del numero dei volontari, l’età avanzata dei volontari, i tempi stretti di lavoro, il poco tempo per condividere le esperienze, la scarsa partecipazione, la scarsa pratica dell’amministrazione  condivisa. Abbiamo fatto domande anche riguardo la criticità del proprio ente nei confronti delle amministrazioni e istituzioni e ciò che ne esce  è un giudizio tagliente sulla P.A. Tutti incolpano la pubblica amministrazione di superficialità, scarso interesse, inaffidabilità, lentezza, mancanza di pianificazione, insomma… la colpa è sempre dell’altro. Sulla base di questo quadro ci chiediamo quindi come poter fare una coprogrammazione e l’ambito d’azione più interessante rilevato è quello sociale, dei migranti, anziani e disabili. Quindi nel prossimo appuntamento presenteremo questi risultati e da qui la discussione e valutazione insieme di queste criticità interne, per sviluppare una coprogrammazione sul nostro territorio, per capire quanta disponibilità ci sia al confronto e proporre una simulazione. È un percorso nuovo ed esplorativo, durante il quale ci interroghiamo ogni volta».

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