A REBIBBIA FEMMINILE OLTRE I CONFINI DELLA RECLUSIONE CON BENU

A Rebibbia femminile un progetto Fondazione Severino e Fondazione Pastificio Cerere con Intesa Sanpaolo per superare i confini fisici e simbolici della reclusione attraverso l’arte. Un viaggio nei laboratori di disegno guidati dall’artista piemontese Eugenio Tibaldi per realizzare nell’anno giubilare Benu, installazione permanente simbolo di rigenerazione

di Laura Badaracchi

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Per Anna, nome di fantasia, «partecipare al laboratorio è stato un modo per evitare di chiudersi nella bolla e pensare che non ci sia via d’uscita. Ho scoperto che mi piace la precisione e ho anche notato che non mi piace se mi cambiano gli orari, perché ho voglia di lavorare. È un momento di svago. Ho imparato a buttarmi, a fare ogni cosa ed essere creativa: mi dico sempre che non sono capace, ma quando mi butto alla fine riesco sempre. Disegnare ti apre la mente: mi ha fatto conoscere me stessa. E mi piacerebbe partecipare ad altri laboratori, perché mi aiuta tanto a far volare via la testa». È una delle detenute nella Casa circondariale femminile di Rebibbia “Germana Stefanini” a Roma, il più grande istituto penitenziario femminile d’Europa, che ha partecipato a laboratori di disegno guidati dall’artista piemontese Eugenio Tibaldi per realizzare nell’anno giubilare un’installazione permanente, Benu. Si tratta di una creatura mitologica, simile a un airone o un’aquila, considerata sacra dagli egizi e successivamente assimilata alla Fenice, che per i greci e i cristiani sarà un simbolo di nascita, rigenerazione e resurrezione perché capace di rinascere dalle proprie ceneri: un messaggio di speranza per le detenute, oltre i confini fisici e simbolici della reclusione. Il progetto, a cura dello storico dell’arte Marcello Smarrelli, è promosso in collaborazione con Intesa Sanpaolo dalla Fondazione Severino e dalla Fondazione Pastificio Cerere, unite nel portare l’arte contemporanea all’interno degli istituti di detenzione. «Il laboratorio è stata una bella esperienza, perché mi piace disegnare: trasmette speranza vedere che il lavoro frutta qualcosa», racconta Vincenza (altro nome di fantasia). Prima di partecipare «non pensavo come le persone che credono nel futuro, invece ora sì. Grazie al laboratorio ho imparato cosa sia una fenice, prima non sapevo cosa fosse. Disegnando, mi è piaciuto poter esprimere il nostro cuore. E vorrei certamente partecipare ad altri laboratori», conclude.

rebibbia femminile
Eleonora Di Benedetto, Fondazione Severino: «L’arte diventa lo strumento attraverso cui le persone recluse hanno la possibilità di evadere mentalmente»

Tibaldi: «A Rebibbia ho avuto la netta percezione che sia davvero labile la divisione fra chi è all’interno e chi non lo è»

«Vedere il progetto Benu prendere forma nella mente delle persone con cui ho avuto modo di interagire è stato meraviglioso. L’impegno di tutti – dalle detenute agli educatori, dagli agenti alla direttrice – mi ha dato l’energia e, forse, anche l’incoscienza necessaria per affrontare temi tanto grandi quanto complessi. La larghissima adesione delle detenute, il loro entusiasmo e impegno mi hanno coinvolto ancora più a fondo: durante le giornate trascorse a Rebibbia ho avuto la netta percezione che sia davvero labile la divisione fra chi è all’interno e chi non lo è», sottolinea Tibaldi, precisando: «La scelta di provare a immaginare insieme a tutte loro delle nuove fenici ha portato a elaborati intensi; con un ulteriore lavoro in studio sto cercando di sintetizzarli per creare delle immagini finali che siano allo stesso tempo personali e comuni a tutti». E aggiunge: «Ho sempre pensato che il carcere potesse essere un’ennesima forma del margine. Marginale nello sguardo: è uno spazio che nessuno guarda, che si evita. Durante i laboratori ho incontrato realtà umane intense e una rara sensibilità, che ho cercato di restituire fedelmente nei miei lavori. Opere che troveranno casa a Rebibbia e prenderanno vita alla fine di questo percorso». L’artista infine dichiara di essere «profondamente grato a Marcello Smarrelli, curatore del progetto, alla Fondazione Severino e alla Fondazione Pastificio Cerere per avermi affidato un incarico così prezioso».

L’arte si è rivelata uno strumento dirompente

Per Eleonora Di Benedetto, consigliera della Fondazione Severino, «l’arte diventa lo strumento attraverso cui le persone recluse hanno la possibilità di evadere mentalmente. Quando siamo entrati in carcere, non immaginavamo di realizzare progetti artistici. E invece si sono rivelati strumenti dirompenti, capaci di trasformare le persone». Secondo Smarrelli, dal 2011 direttore artistico della Fondazione Pastificio Cerere, Tibaldi «si è calato con profonda umanità e con un’empatia non comune all’interno del contesto carcerario, costruendo con le detenute una relazione forte che ha permesso loro di superare ogni forma di diffidenza, infondendo nuova fiducia nelle loro possibilità. Attraverso l’ausilio del disegno le detenute hanno potuto raccontarsi, mettendo a nudo i loro pregi e difetti diventati altrettanti attributi di queste fenici immaginarie che diventano un autoritratto collettivo. L’artista ha sperimentato nel carcere una nuova modalità di committenza, dove l’opera d’arte torna ad essere materia viva che pulsa in uno spazio abitato da chi ha contribuito a realizzarla attraverso la manifestazione dei propri desideri e necessità». Il progetto è stato realizzato con il patrocinio del Dicastero per la cultura e l’educazione della Santa Sede e del Ministero della Giustizia – Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, in partenariato con Casa circondariale Femminile di Rebibbia “Germana Stefanini” e con la collaborazione di Artelia Italia Spa, mentre Carioca ha fornito carta, matite, colori, pennelli e pennarelli per la realizzazione dei laboratori.

Immagini Lorenzo Morandi

A REBIBBIA FEMMINILE OLTRE I CONFINI DELLA RECLUSIONE CON BENU

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