CARCERE. DON BURGIO: AL BECCARIA HO VISTO I SEGNI SUI VOLTI, MA I RAGAZZI NON SI SONO CONFIDATI NEANCHE CON ME

Il racconto di Don Burgio, cappellano al Beccaria di Milano. «Credo che i ragazzi fossero così assuefatti alle violenze da apparire quasi normali, come se le meritassero una volta detenuti»

All’Istituto penale minorile Cesare Beccaria di Milano, don Claudio Burgio è approdato nel 2005 come collaboratore dello storico cappellano don Gino Rigoldi, che gli ha passato ufficialmente il testimone qualche settimana fa, nel mese di marzo. «Prima ero presente solo nel fine settimana, vedevo i ragazzi nei corridoi di giorno o parlavo con loro attraverso una porta blindata: una circostanza che non favorisce i colloqui. Sono piuttosto recettivo, ho visto che c’erano segni sul volto di alcuni, ma li ho attribuiti alla conflittualità esplicita fra loro: nulla che facesse pensare a situazioni così gravi, non captate minimamente. Purtroppo con me non si sono confidati, certamente per intimidazione e paura, ma credo anche perché talmente assuefatti a quel tipo di violenze da apparire quasi normali, come se le meritassero una volta detenuti. Hanno timore di essere considerati infami o spioni». Don Burgio si riferisce a quelli che definisce «fatti sconvolgenti» noti alle cronache da lunedì 22 aprile: sono stati arrestati 13 agenti di Polizia penitenziaria, sospesi in 8 e indagati altri 4. Un duro colpo per il giovane neodirettore Claudio Ferrari, in servizio dal 1° dicembre 2023 dopo un ventennio «di direttori facente funzione che venivano due volte a settimana» e probabilmente hanno contribuito alle falle nella gestione della sicurezza e del “contenimento” delle violenze.

Don Burgio: il carcere assorbe tutto e tutti

Don Burgio
«I ragazzi non sono cambiati molto ma gli adulti sì. Non è semplice trovare giovani educatori all’altezza della situazione»

E adesso? «Ieri, 25 aprile, il direttore era lì, c’era anche a Pasqua: una persona molto sensibile e presente», testimonia don Burgio. I ragazzi ristretti «sono 87, dai 14 anni in su, in maggioranza 16/17enni e minori stranieri non accompagnati, originari di Tunisia ed Egitto. Hanno fatto esperienze di strada per mesi, in un contesto di vita degradata e violenta. Alcuni sono passati da Francia e Spagna, altri dalla Libia. Stiamo cercando con calma di tenerli sereni», spiega don Burgio. E precisa: «La tensione c’è sempre stata. Si tratta di ragazzi molto difficili, che in alcuni casi hanno certificazioni psichiatriche con disturbi importanti in esordio, incompatibili con la detenzione. Purtroppo il carcere assorbe tutto e tutti, è molto difficile riuscire a gestire in sicurezza tutto e tenere tutto sotto controllo è un’impresa. Alcuni ragazzi sono particolarmente violenti e non è semplice contenerli fisicamente, per non parlare dei gesti di autolesionismo e dei tentativi di suicidio. Gli agenti sono da tempo sotto organico e anche gli educatori, ma recentemente si è reintegrato questo numero con personale provvisorio inviato dal Comune. Tuttavia questo istituto ha bisogno di una situazione di stabilità per sopperire ai bisogni».

Se vi guardo in faccia rischio di fidarmi

Don Burgio
Il titolo viene da una frase scritta da Mattia sulla parete di una cella: «Tengo il cappellino sugli occhi perché se vi guardo in faccia rischio di fidarmi»

Classe ’69, ordinato sacerdote a 27 anni dal cardinale Carlo Maria Martini, don Burgio ha conseguito fra l’altro la laurea magistrale in Consulenza pedagogica per la disabilità e la marginalità presso l’Università Cattolica di Milano; dal 2020 è componente del Comitato di indirizzo e docente del laboratorio “Problematiche educative per persone in contesti di reclusione” della stessa Facoltà. È anche fondatore e presidente dell’associazione Kayros, che dal 2000 gestisce comunità di accoglienza per minori e servizi educativi per adolescenti segnalati dal Tribunale per i Minorenni, dai Servizi sociali e dalle forze dell’Ordine; dal 2007 l’associazione ha iniziato a offrire sostegno ai minori coinvolti in procedimenti legali in collaborazione con il Centro di giustizia minorile di Milano e a Vimodrone gestisce 3 appartamenti per gli ex detenuti diventati maggiorenni. Autore nel 2010 di Non esistono ragazzi cattivi (Edizioni Paoline), racconto-testimonianza dei primi anni vissuti a fianco dei ragazzi del carcere minorile e delle comunità Kayros, dal 26 aprile è in libreria con Non vi guardo perché rischio di fidarmi. Storie di cadute e di resurrezione (Edizioni San Paolo). Il titolo viene da una frase scritta da Mattia sulla parete di una cella: «Tengo il cappellino sugli occhi perché se vi guardo in faccia rischio di fidarmi». Nelle pagine il sacerdote rimarca: «Non è una legge più dura e severa a fare da deterrente per contrastare la criminalità e il disagio giovanile. Non è la paura dell’arresto, il terrore del carcere a scoraggiare un ragazzo dal commettere reati; un adolescente cambia se si sente investito di fiducia, se incontra un adulto affidabile capace di offrire reali opportunità di crescita». Per questo, osserva, «non credo che i figli vadano isolati dalle “cattive compagnie” e vadano tenuti all’oscuro delle vicende dolorose delle proprie famiglie: ci vuole certo una gradualità, ma ogni figlio deve imparare a confrontarsi con la sofferenza perché arrivi a farsi domande».

Le comunità sono sempre meno, diminuiscono gli educatori e il coinvolgimento della società civile

Tutti i giovanissimi detenuti «chiedono di venire a Kayros, ovviamente lasciamo decidere ai Servizi sociali e al Centro di giustizia minorile. Al momento accogliamo una cinquantina di ragazzi: alcuni in misura cautelare in attesa di processo, altri in messa alla prova che portando avanti un progetto personalizzato, altri ancora in alternativa alla pena perché già maggiorenni. Hanno bisogno di una cura concreta, dal mal di denti alla visita medica, dal vestirsi bene a un progetto di vita e formazione. Molte tensioni al Beccaria si scatenano perché una cura uno a uno non c’è». In comunità, «per dare un’attenzione personalizzata, è coinvolta un’équipe composta da una trentina di educatori e 140 volontari: è importante una presenza adulta che vigili e che i ragazzi si sentano circondati da adulti di cui fidano».

Le recidive ci sono, «qualcuno è tornato al carcere dei maggiorenni, ma tanti ce la fanno e in maniera riconoscente sono persone libere che lavorano, hanno famiglia e figli». Don Burgio mette l’accento su una sfida nuova: «I ragazzi non sono cambiati molto ma gli adulti sì. Non è semplice trovare giovani educatori all’altezza della situazione, disposti a un lavoro molto impegnativo che comprende fine settimana, notti, turni. Le comunità sono sempre meno, perché diminuiscono gli educatori e il coinvolgimento della società civile. Manca un supporto da parte del volontariato e del terzo settore in questo ambito. Bisogna che le amministrazioni locali si sensibilizzino, occorre incentivare un processo culturale di inclusione».

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Don BurgioNon vi guardo perchè rischio di fidarmi
Storie di cadute e di resurrezione
Don Claudio Burgio
Edizioni San Paolo, 2024
160 pp. € 15

 

CARCERE. DON BURGIO: AL BECCARIA HO VISTO I SEGNI SUI VOLTI, MA I RAGAZZI NON SI SONO CONFIDATI NEANCHE CON ME

CARCERE. DON BURGIO: AL BECCARIA HO VISTO I SEGNI SUI VOLTI, MA I RAGAZZI NON SI SONO CONFIDATI NEANCHE CON ME