C’È UN SOFFIO DI VITA SOLTANTO: SE QUESTA È UNA DONNA, A DACHAU

Lucy è la donna transessuale più anziana d’Italia. È una dei pochi sopravvissuti a Dachau ancora in vita. Il film che racconta la sua vita è memoria, e riflessione sul presente

«Non l’ho chiesto io. La natura si è ribellata. Era indecisa tra una cosa e l’altra. E così ha fatto un intruglio. Io sono un intruglio». Lucy è la donna transessuale più anziana d’Italia. È una dei pochi sopravvissuti al campo di concentramento di Dachau ancora in vita. Lucy è la protagonista di C’è un soffio di vita soltanto, il documentario firmato da Matteo Botrugno e Daniele Coluccini, selezionato alla 39a edizione del Torino Film Festival, che esce al cinema il 10, 11 e 12 gennaio 2022. Lucy è la testimone diretta di uno dei momenti più bui e tragici della storia del Novecento, ed è una fortuna per tutti noi che sia ancora qui a raccontarci quello che è successo. Perché la memoria non si deve perdere mai. Ma il film di Botrugno e Coluccini non è solo questo. È anche una storia sulla libertà di essere chi ci si sente: qualcosa che è difficile ancora oggi. Immaginiamo cosa dovesse essere ottant’anni fa, nel clima che si era creato in Europa tra gli anni Trenta e gli anni Quaranta. Potete vedere il film a Roma, al Cinema Farnese, a Milano, al Cinemino e a Perugia, al PostModernissimo, ma arriverà presto in altre città italiane.

Perché devo cambiare nome? Me lo hanno dato i miei genitori

 C’è un soffio di vita soltanto ci invita ad entrare nella vita di Lucy, ad accompagnarla nel suo quotidiano.

C'è un soffio di vita soltanto
Lucy ha voluto mantenere il suo nome di battesimo, Luciano Salani

Dalle visite agli uffici, alla spesa, fino agli incontri con le persone che ama. È allo sportello di un ufficio che la sentiamo pronunciare il suo nome: Luciano Salani. Nonostante un intervento per la riattribuzione chirurgica di sesso, avvenuta a Londra negli anni Ottanta, Lucy ha voluto sempre mantenere il suo nome di battesimo. «Io spesso dico: perché devo cambiare nome? Me lo hanno dato i miei genitori, è sacro. Io mi chiamo Luciano».

In quella visita a casa, in quel viaggio nella vita di Lucy che diventa un flusso di coscienza ascoltiamo tanti piccoli squarci della sua vita. Come la storia del fratello che le disse “non ti chiamerò mai Lucy, per me sei sempre Luciano”. O come quella della madre che, la prima volta che la vide vestita da donna, disse “che schifo”.  Nata a Fossano, provincia di Cuneo, nel 1924, Lucy si è sentita femmina fin da piccola. Il suo modo di essere ha attirato presto l’attenzione di molte persone in paese e alcuni uomini adulti hanno iniziato ad approfittare di lei. I genitori di Lucy si erano accorti che qualcosa non andava e così, quando si è presentata un’occasione di lavoro in Emilia, il padre ha deciso di coglierla al volo e si di trasferirsi con tutta la famiglia a Bologna. 

Come usciva un ciuffo d’erba fuori dal campo provavamo a mangiarlo

 I racconti più intensi sono quelli in cui Lucy ricorda Dachau. Vengono risvegliati da una lettera in cui la donna è invitata al settantacinquesimo anniversario della liberazione del campo di concentramento, nell’aprile del 2020: la celebrazione poi non si farà, a causa della pandemia, ma vedremo Lucy arrivare lo stesso in quel luogo. I racconti sono, come si può immaginare, al limite dell’umanità. «Cercavamo di prendere i topi, ma non ci riuscivamo. Altrimenti li avremmo mangiati. Ma non riuscivamo a prenderli» racconta Lucy. «Come usciva un ciuffo d’erba fuori dal campo provavamo a mangiarlo. In quei giorni al campo Lucy aveva l’incarico di portare i morti su una carriola e di contrassegnarli con un cartellino.

Come sappiamo, c’erano solo numeri, nessuno aveva un nome. «Stasera farò brutti sogni» dice la donna, dopo aver rievocato quei momenti. E Dachau, dopo mezz’ora di film, fa il suo ingesso in scena. È un momento breve, accompagnato da rumori sinistri, proprio come se fosse il sogno di Lucy dopo aver riportato alla luce certe esperienze. Torneremo a vedere quel posto alla fine, con Lucy che torna a visitare quello che resta del campo di concentramento. Lì oggi non rimane quasi niente. Un ingresso in muratura, un cancello in ferro battuto con al centro quella beffarda scritta, «Arbacht macht frei», «il lavoro rende liberi», quella che abbiamo visto tante volte nelle foto dell’ingresso di Auschwitz, ma molto più piccola. Dentro ci sono dei ciottoli, e un altare commemorativo. Non resta quasi niente di quello che era, ma è un luogo sinistro, che incute disagio.

In questa guerra non c’è sesso

A Dachau Lucy era arrivata dopo una serie avventurosa di vicende. Era stata arruolata a 19 anni, «Sono omosessuale, non posso fare il militare» aveva detto. «Dicono tutti così. In questa guerra non c’è sesso». Arriva l’armistizio, l’8 settembre del 1943. E Lucy, che si è fatta assegnare un incarico in ufficio, si firma un permesso e prova a fuggire.

C'è un soffio di vita soltanto
«La natura si è ribellata. Era indecisa tra una cosa e l’altra. E così ha fatto un intruglio. Io sono un intruglio» dice di sè Lucy.

Dà un nome e un indirizzo falso, ma, per una serie incredibile di eventi, viene ritrovata e arrestata. E deportata a Dachau. «La personalità se n’era andata, non c’era più» racconta di quei giorni in campo di concentramento, dove Lucy si trova nella sezione degli uomini. «Se ci fosse veramente un Dio tutte queste cose non sarebbero mai successe» riflette una volta arrivata in quel che rimane di Dachau. Ma il suo non è tanto un non credere in Dio, quanto nell’umanità. «Non merita restare in questo pianeta. Meglio andare in qualche altro pianeta, a cercare altre forme di vita».

Storia e attualità, memoria e riflessione

Invece Lucy è qui tra noi. Ed è una fortuna poter ascoltare chi ha davvero vissuto delle cose a cui si stenta ancora oggi a credere. Che cosa succederà quando non ci saranno più? Resteranno le registrazioni dei loro racconti, e film come C’è un soffio di vita soltanto resteranno dei reperti preziosissimi.

Ma il film è doppiamente importante oggi. Perché parla di identità di genere, dell’importanza di continuare a mantenere intatta la propria personalità, nonostante i soprusi e i continui tentativi della società contemporanea di condannare, umiliare ed eliminare ogni accenno di diversità. Sono passati ottant’anni e oggi le cose sono cambiate. Ma non abbastanza, non ovunque. E se i tempi disumani che hanno dato vita ai campi di concentramento oggi ci appaiono lontani, dobbiamo chiederci: sono umani i tempi odierni in cui il diritto alla propria identità sessuale è ancora negato a tante, troppe persone? C’è un soffio di vita soltanto è storia, ma anche attualità, è memoria, ma anche riflessione.

C’È UN SOFFIO DI VITA SOLTANTO: SE QUESTA È UNA DONNA, A DACHAU

C’È UN SOFFIO DI VITA SOLTANTO: SE QUESTA È UNA DONNA, A DACHAU