INDIVISIBILI: LA DIVERSITÀ È HANDICAP, SANTITÀ O BUSINESS?

Edoardo De Angelis racconta la storia di due gemelle siamesi, mostrando la diversità secondo le sue tante sfaccettature, diverse a seconda di chi le guarda

Per crescere bisogna farsi del male, rinunciare a un pezzo di se stessi. È un concetto che forse possiamo condividere tutti. Edoardo De Angelis ha cercato un’immagine forte che racchiudesse questa idea. L’ha trovata in quella di due gemelle siamesi che vivono in simbiosi da sempre e che, a diciotto anni, scoprono di potersi dividere. È da questa immagine che nasce la storia di Indivisibili, il film di De Angelis, da oggi, 29 settembre, nelle sale, che ha commosso al Festival di Venezia, dove è stato presentato alle Giornate degli Autori – ma molti lo avrebbero voluto in concorso, o addirittura vincitore – e che è stato molto vicino a essere il candidato italiano all’Oscar come miglior film in lingua non inglese (è stato scelto di candidare “Fuocoammare” di Rosi).

Dasy e Viola (i loro nomi sono un omaggio a Violet e Daisy Hilton, gemelle siamesi che recitarono in “Freaks” di Tod Browning del 1932) son due gemelle siamesi attaccate all’altezza della vita. Da quando sono piccole si esibiscono ai matrimoni, alle comunioni, alle feste di paese, e in questo modo mantengono la famiglia, uno “staff” di quattro persone. “Indivisibili” è la loro hit, il loro cavallo di battaglia, ma anche il loro brand, il marchio stampato sul furgone che le scorrazza in giro per la Campania come sulle loro vite.

Una storia d’amore, di crescita e voglia di normalità

Indivisibili è la loro condizione, quello che tutti hanno fatto credere loro da sempre. Perché andava bene così. Quando un medico dice loro che sarebbe possibile dividersi, in Dasy e Viola scatta qualcosa. La voglia di essere libere, viaggiare, ballare, bere vino senza che l’altra si ubriachi, fare l’amore. Ma anche la paura di rimanere sole, l’una senza l’altra.
indivisibiliDasy e Viola (le sorprendenti Angela e Marianna Fontana) mettono in scena ogni volta il loro show, concepito ad arte come un misto di talento e santità, piccole Madonne sacre o statuine portafortuna da presepe. Il mondo in cui si muovono è intriso di religione, superstizione, opportunismo e ignoranza. C’è il prete showman e imbonitore, il padre manager e autore (poeta, dice lui…), la madre rassegnata e complice.
E poi un popolo di disperati e credenti (o creduloni) che ha bisogno di simboli e miracoli, di talismani ed eroi, o di santini da portare con sé. Le ragazze sono brave, ma nessuno le vuole per la loro voce. Le vogliono per toccarle, come si tocca la gobba, perché portano fortuna. Le ragazze sono tanto diverse tra loro, mite e timorata una, ribelle e focosa l’altra, l’Atto di Dolore e Janis Joplin. Ma nessuno le vuole da sole. Solo insieme hanno un senso per tutti. Le ragazze vogliono solo essere normali. Ma «la gente normale fa la fame, muore disperata», ricorda loro il padre.

Indivisibili: ognuno cerca nella diversità ciò di cui ha bisogno

Indivisibili è un film unico, per tanti motivi. La diversità viene mostrata in un modo mai visto prima. Non in modo pietistico, né eroico, né (auto)ironico, secondo nessuno degli schemi tipici in cui siamo soliti vederla. Non è una visione univoca, monodimensionale. La diversità di Dasy e Viola acquista forma a seconda della luce che la illumina, dello sguardo di chi la osserva e vuole vedere in essa qualcosa di cui ha bisogno.
indivisibiliDiventa di volta in volta handicap, santità, business, oggetto del desiderio, stranezza in grado di eccitare sessualmente. Ma Indivisibili è unico anche per come fa coesistere attrazione e repulsione, la bellezza e la bruttezza nella stessa inquadratura, linea guida estetica e scelta precisa e dichiarata del regista, perché così vede il mondo. Siamo nella Castelvolturno di Saviano e Garrone, scenari corrotti e degradati, paesaggi stato d’animo da “Gomorra” che De Angelis riprende in modo impietoso e preciso, nel quale si muovono luminose, pure, pulite le due eroine del racconto. Un doppio sguardo che riesce a coesistere nella stessa inquadratura, e in tutto il film. Un film che avvince per quello che racconta, una storia di amore, di crescita e diversità. Ma anche per come la racconta. Indivisibili ha il respiro di una favola ancestrale, in cui c’è una principessa, anzi due, un re/padre/padrone/orco che le tiene prigioniere, i sudditi che non vogliono vedere. C’è la forza di cambiare, la fuga, il viaggio d’iniziazione, gli incontri sbagliati e la tentazione (lo yacht dell’impresario come un paese dei balocchi), l’atto eroico che rompe gli schemi. E il passaggio all’età adulta. Anche a rischio di farsi del male, di perdere un pezzo di sé.

INDIVISIBILI: LA DIVERSITÀ È HANDICAP, SANTITÀ O BUSINESS?

INDIVISIBILI: LA DIVERSITÀ È HANDICAP, SANTITÀ O BUSINESS?