CISGIORDANIA: LA SOPRAVVIVENZA, LA RESISTENZA E LA PAURA

In Cisgiordania i coloni israeliani protetti dall’esercito a furia di espropri stanno occupando l’intero territorio. Il racconto di Laura Gallo, presidente della cooperativa sociale Il Giardinone, tornata da un viaggio con una delegazione del Vis in Palestina: «In Cisgiordania c’è uno stillicidio»

di Maurizio Ermisino

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Provate a immaginare che qualcuno arrivi armato a casa vostra, vi punti un fucile davanti al viso e vi dica: vattene, da oggi questo posto è mio. E che non possiate nemmeno avvicinarvi a qualche centinaio di metri da casa vostra, pena un colpo di fucile. Provate a immaginare che, nelle vostre azioni quotidiane, per attraversare la città per andare a lavorare, o a trovare i vostri cari, dobbiate impiegare ore ed ore per fare pochi chilometri. È la situazione che accade da anni in Cisgiordania, una parte del territorio palestinese di cui si parla poco, e dove i coloni israeliani, protetti dall’esercito, a furia di espropri stanno occupando l’intero territorio. Ne abbiamo parlato con Laura Gallo, presidente della cooperativa sociale Il Giardinone, rientrata dalla Palestina da un viaggio con una delegazione di Vis – Volontariato internazionale per lo sviluppo. «In Cisgiordania c’è uno stillicidio» ci ha raccontato. «È qualcosa di lento, gocce che scavano una roccia. Che è in realtà in atto dal 1948. Ma dal 7 ottobre 2023 la situazione è un tracollo. I checkpoint sono triplicati, i palestinesi non si possono quasi più muoversi da dove sono. C’è stata una perdita di posti di lavoro molto importante, come ci ha raccontato Luigi Bisceglie del Vis. «Tutti i giorni ho persone che mi chiedono di poter lavorare, di trovare una collocazione economica». E non può essere altrimenti. Perché le proprietà dei palestinesi, le terre e le case continuamente espropriate sono anche la loro fonte di sostentamento. «Gli espropri illegali da parte dei coloni israeliani e il turismo e le possibilità di movimento azzerati dal 7 ottobre hanno peggiorato una situazione economica già fragile».

I checkpoint e la tensione dell’incertezza

In Cisgiordania sono negate cose a cui si stenta a credere. Il diritto alla proprietà e anche il diritto al movimento. Una cosa che noi diamo per scontata come la possibilità di spostarsi è negata. «È proprio questo quello che abbiamo vissuto io e Sabina Bellione di Cgm andando lì, seppur per sei giorni, per incontrare le cooperative del progetto Tahseen» ricorda Laura Gallo. «Ci siamo mosse da Gerusalemme a Betlemme fino a Ramallah. Da Betlemme a Ramallah sono 23 chilometri, noi ci abbiamo impiegato quattro ore all’andata e altrettante al ritorno. Hanno triplicato i checkpoint. Ma in maniera assolutamente aleatoria quel checkpoint dal quale dovresti passare quel giorno è chiuso totalmente, o aperto per poche ore. La vita si consuma così. La gente allora evita il più possibile di spostarsi». Una volta al checkpoint può capitare di tutto, c’è la sensazione che qualcosa di brutto possa accadere per un dettaglio. «Ricordo ancora la mia esperienza di 12 anni fa» ci racconta Laura. «I checkpoint allora erano aperti 24 ore su 24. Ricordo ancora un ragazzino, che avrà avuto 15 anni e stava passando a piedi a un checkpoint, dentro una gabbia, fermato, gettato a terra e colpito alla testa dal calcio di un fucile. Questa volta non abbiamo visto scene simili, ma non sai mai cosa ti possa succedere. Non ci sono regole definite. E tu palestinese vivi la tensione dell’incertezza».

Cisgiordania
Laura Gallo: «Abbiamo ascoltato i racconti delle persone che gestiscono le cooperative dei vari territori della Cisgiordania, soprattutto agricole. Coltivano uva, ulivi e spezie. E tutti ci hanno raccontato di occupazioni e soprusi»

Cacciati dalla propria terra

In Cisgiordania imperversano i coloni israeliani armati spalleggiati dall’esercito, che sanno di avere un’impunità e di poter agire al di sopra della legge. A macchia di leopardo stanno occupando la Cisgiordania e la stanno di fatto rendendo territorio israeliano. «Abbiamo ascoltato i racconti delle persone che gestiscono le cooperative dei vari territori della Cisgiordania, ed erano soprattutto cooperative agricole. Coltivano uva, ulivi e spezie» ci rivela Laura Gallo. «E tutti ci hanno raccontato esempi di occupazioni e soprusi. Dal 7 ottobre c’è stato un peggioramento drammatico. I fondatori della cooperativa Al-Khader, che vuol dire San Giorgio, ci hanno raccontato che non possono più accedere al 70% dei loro 22 ettari di terreno. Grazie a un drone hanno visto che le loro terre sono utilizzate dai coloni israeliani per far pascolare il loro gregge, mentre raccolgono la loro uva. Ed è un’attività economica da cui dipende il sostentamento della propria famiglia. Se provano ad avvicinarsi anche solo a 500 metri da quella che è la loro terra vengono uccisi dagli spari dei cecchini».

La situazione è di emergenza

In tutto questo Ong e cooperative provano a portare progetti e risorse. Ma non è facile operare in un contesto di tale insicurezza. Sono cambiate molte cose in questi ultimi due anni. «Il progetto Tahseen è stato finanziato dal Ministero degli Esteri ed è stato ufficialmente approvato dopo il 7 ottobre, ma il bando, e quindi la strategia, era precedente. Adesso si parla di emergenza. Allora si parlava di sostegno all’agricoltura. Con il progetto Vento di Terra abbiamo realizzato cliniche mobili ma anche librerie mobili, il cinema mobile. In questo momento Vento di Terra sta inviando in Palestina aiuti e sostegno per far mangiare le persone».

Quella scuola che significa resistenza

L’altro tema che coinvolge il mondo della cooperazione è la situazione dell’educazione. «A Gaza c’è un problema che è la fame» ci racconta la presidente de Il Giardinone. «In Cisgiordania c’è anche un’emergenza educativa. Da ormai sette mesi l’ANP, Autorità Nazionale Palestinese, non ha più fondi, proprio a causa delle attività economiche che sono crollate, e non paga il 70% degli stipendi degli insegnanti e da questi mesi i bambini non vanno più a scuola per tre giorni a settimana. Quella goccia che scalfisce la roccia è anche questo. Il Vis, insieme ad altre Ong, sta finanziando la ristrutturazione e la costruzione di nuove scuole in Cisgiordania. Ne abbiamo visitato una nella zona di Hebron. Dopo mezz’ora di strade dissestate siamo arrivati sulla collina dove verrà edificata la scuola. “Perché proprio qua?” abbiamo chiesto. “Perché dietro alla collina c’è un insediamento di coloni” ci hanno risposto. “E vogliamo costruire la scuola qui perché significa resistenza».

Fare cooperazione è sempre più difficile

Resistenza. Quella dei palestinesi in Cisgiordania è una resistenza fiera, ferma, piena di dignità e di speranza. La cooperazione internazionale prova a fare la sua parte, ma, all’interno di questo contesto, le cose si sono complicate.  «È estremamente più difficile» ci conferma Laura. «I fondi della cooperazione del governo italiano sono meno direzionati verso lo sviluppo di quell’area. È più difficile costruire dei progetti. Luigi Bisceglia ci diceva che da due anni il numero di cooperanti internazionali, di Ong è drasticamente diminuito. Si parlava di 40 italiani espatriati, adesso ce ne sono cinque o sei. È più difficile perché i problemi di sostentamento economico dei palestinesi sono pressanti».

L’istinto di sopravvivenza e la paura

Ma ci chiediamo, come si fa a costruire, a progettare, a sognare, con l’idea che ogni costruzione poggia su fondamenta fragili, che tutto questo potrebbe essere distrutto da un momento all’altro, che tutto è appeso a un filo? «L’istinto alla sopravvivenza e al sogno ad ogni costo è pazzesco» spiega Laura. «Hanno paura del futuro, ma questo non li frena dal progettare perchè progettare dà a loro il senso dell’esistenza. Lo devono fare. Il paio di occhiali che abbiamo per vedere le cose è diverso». C’è una grande forza interiore nel popolo palestinese. «Però dobbiamo dirlo. Dal 7 ottobre hanno più paura».

In copertina un’immagine VIS, che cattura un momento degli scavi della “scuola per la libertà”, progetto nato con il patrocinio del Comune di Bra per offrire ai bambini e alle bambine del villaggio di Khallet Taha, uno spazio dove imparare e sentirsi al sicuro.

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