Continuità assistenziale: a Roma nasce il Piv

Una rete tra le associazioni che operano al Santo Spirito. È il Progetto integrato di Volontariato, un piano perseguire sul territorio l’assistenza ospedaliera dopo la dimissione

Uscire dall’ospedale e sentirsi soli, smarriti e incerti sul da farsi. È un’esperienza che provano in tanti, soprattutto tra chi è più fragile o vive una situazione di disagio sociale e sanitario. Una difficoltà che ora un gruppo di organizzazioni romane ha deciso di affrontare unendo le forze. Come? Attraverso una rete tra le associazioni di volontariato che operano in ambito ospedaliero e quelle che lavorano sul territorio. Affiancate in questa operazione dalle strutture sanitarie della Asl Roma E, che fin da subito ha manifestato interesse a collaborare con il privato sociale per aiutare i pazienti più deboli. Si chiama Piv, l’iniziativa che prenderà le mosse entro la fine dell’anno in corso, e l’acronimo sta per Progetto integrato di volontariato: un piano semplice e al tempo stesso innovativo che intende sostenere il percorso assistenziale fornito dall’ospedale attraverso la mobilitazioni di quanti ogni giorno si spendono sui territori per migliorare la vita dei cittadini, soprattutto di quelli più bisognosi.

 

Oltre venti organizzazioni coinvolte

L’iniziativa fin da subito ha riscosso la fiducia dei Centri di servizio per il volontariato del Lazio, Cesv e Spes, che promuovono da sempre la partecipazione dei cittadini e delle associazioni che li rappresentano alle politiche di welfare. Capofila del progetto è l’Avo, l’Associazione dei volontari ospedalieri nata nel 1993 proprio presso quello stesso Ospedale Santo Spirito, che oggi costituisce il perno dell’accordo. Dopo anni di servizio gratuito in corsia, l’Avo ha ampliato il suo mandato e oggi è presente in undici strutture tra ospedali, case di cura e comunità riabilitative nel settore psichiatrico. «Nel marzo del 2012 abbiamo organizzato un convegno sulla necessità di collegare l’ospedale al territorio», racconta Luigia Pitascio dell’Avo. «Una riflessione che ha costituito il primo passo verso la creazione di un servizio che ha visto la collaborazione delle associazioni di volontariato insieme a quelle civiche e di tutela dei cittadini». Oltre le organizzazioni del volontariato ospedaliero come la Croce Rossa e l’Arvas (Associazione Volontari regionale Assistenza sanitaria), sono state infatti coinvolte una ventina di realtà che operano nei settori più diversi. Per fare solo qualche esempio, c’è chi, come l’Antea, fornisce cure palliative e assistenza gratuita domiciliare e in hospice a pazienti oncologici e neurologici in fase avanzata. E chi come l’Aresam (Associazione regionale Salute Mentale onlus) lavora per aiutare e informare le persone con disagio mentale e i loro familiari. Ma ci sono anche quelli che si occupano di Alzheimer, identità di genere, alcolismo, rifugiati e povertà, così come gruppi nati da particolari categorie di pazienti a supporto di altri malati nella stessa situazione.

L’input parte già dall’interno dell’ospedale


Ma come funziona il Piv nella pratica? L’input parte da un volontario ospedaliero che individua un bisogno o accoglie una richiesta di sostegno proveniente da una persona ricoverata, un suo familiare o un caregiver. Dopo un confronto con gli operatori sanitari, e salvo il consenso delle persone interessate, il volontario potrà attivare l’associazione in grado di rispondere a quel bisogno, creando in questo modo un collegamento tra l’ospedale e il territorio. A questo punto i volontari avranno cura d’informare della richiesta gli operatori sanitari e il servizio sociale ospedaliero, segnalando non solo la richiesta di aiuto, ma anche l’associazione coinvolta sul territorio. Da parte loro, gli operatori sanitari, oltre ad attivare i servizi istituzionali preposti alla “presa in carico assistenziale” del paziente, possono attivare anche la rete delle associazioni del Piv, che opererà presso il Punto di Accoglienza dell’Ospedale Santo Spirito.

Una sperimentazione, insomma, che nasce anche alla luce degli orientamenti, le indicazioni e le direttive dell’Organizzazione Mondiale della Sanità in merito alla partecipazione dei cittadini nelle decisioni in ambito sanitario. O, in altri termini, un percorso di continuità assistenziale ad opera del Terzo settore, che si somma, senza sostituirsi, a quella istituzionale. «È un’idea che parte dall’Avo e che noi abbiamo accolto ed elaborato nella forma definitiva», afferma Alessandro Bazzoni, dirigente sanitario della Asl Roma E. «Si tratta di una collaborazione che nasce con l’obiettivo di aiutare le persone più fragili, quando vengono dimesse dagli ospedali». In questa fase, infatti, i pazienti possono seguire il percorso sanitario prestabilito, ma perdono il sostegno dei volontari che li avevano aiutati e sostenuti all’interno dei reparti. «L’atto delle dimissioni è un momento delicato dal punto di vista sanitario», prosegue il dirigente sanitario. «Esistono percorsi diagnostici e sanitari che garantiscono il paziente dal punto di vista delle cure, ma ci sono persone che possono avere bisogno di altri tipi di aiuto. Come chi soffre di Alzheimer oppure di una patologia oncologica o psichiatrica. Il problema è che noi non sappiamo cosa troverà quella persona fuori, una volta uscita dall’ospedale».

Un lavoro incentrato sulla persona


È proprio a questo punto che il ruolo del volontario può diventare fondamentale. «Noi abbiamo il compito di intercettare i bisogni», ricordano dall’Avo. «Spesso è con noi che i pazienti e i familiari si confidano». Dello stesso avviso anche il dottor Bazzoni, che insiste: «La presenza dei volontari nei reparti rappresenta un valore aggiunto per l’ospedale. Il loro lavoro è tutto incentrato sulla persona. A volte forniscono delle informazioni preziose che gli operatori sanitari possono integrare nei percorsi di cura». Insomma un impegno paziente e capillare, che rischia di andare disperso quando si abbandonano i reparti. E che può essere ripreso fuori, con altrettanta cura e dedizione. Proseguendo in altri luoghi quel lavoro di cura, di attenzione e di ascolto che rappresenta l’anima stessa della relazione. E che il volontariato pone da sempre al primo posto.

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