
IL DECRETO SICUREZZA È LEGGE. MA DI QUALE SICUREZZA ABBIAMO BISOGNO?
Il Decreto Sicurezza è legge e con esso una serie di norme che limitano la libertà di espressione, di manifestazione, di partecipazione. Sermarini, Rete dei Numeri Pari: «La sicurezza di cui abbiamo bisogno è una sicurezza sociale». Pozzi, CNCA: «Continueremo a tenere alta l’attenzione su questo decreto che, insieme ad altri, cerca di risolvere problemi sociali con strumenti penali»
09 Giugno 2025
6 MINUTI di lettura
ASCOLTA L'ARTICOLO
Approvato in via definitiva in Senato, dal 4 giugno il Decreto Sicurezza è legge. Diventano così diritto vigente una serie di norme che limitano in maniera preoccupante la libertà di espressione e di manifestazione. A far discutere, tra le tante, è quella che è stata chiamata la “norma anti Gandhi”, che rende reato penale la libera manifestazione di dissenso, la resistenza non violenta. Può diventare reato anche un picchetto di operai davanti a un’azienda, o un sit-in di studenti davanti a una scuola. Ma la nuova legislazione in materia di sicurezza penalizza anche chi aiuta chi è in difficoltà, come attivisti e volontari.
Più sicurezza, ma in che senso?
Tutto questo in nome di quella parola magica, abusata e svuotata di senso, che tanto consenso attira in gran parte della popolazione italiana: sicurezza. «Non credo che da oggi i 6 milioni di persone che vivono in povertà assoluta, precarie, escluse, si sentano più sicure», è la riflessione di Elisa Sermarini, responsabile della comunicazione della Rete dei Numeri Pari. «Non è detto che ogni persona a cui chiedi se vuole più sicurezza risponda di sì. Oggi ti chiede: in che senso? Che tipo di sicurezza? La sicurezza di cui abbiamo bisogno è una sicurezza sociale: bisogno di lavoro di qualità, non precario, di salute, di servizi sociali, di accoglienza. Non di manganelli, arresti, reclusioni per reati che fino a ieri erano al massimo amministrativi».

Così muore la partecipazione
Con queste nuove norme si limita, di fatto, il diritto alla protesta e si impedisce quello alla partecipazione dei cittadini e delle cittadine, proprio in un momento in cui di partecipazione c’è una grande voglia. «Il tema è tutto qui» spiega Elisa Sermarini. «Questo decreto ci pone fuori dalla civiltà democratica, di cui la dialettica è parte fondante, e non limita solo la protesta, ma impedisce il diritto alla partecipazione. E ci vuole anche tutti e tutte zitte. Quando invece è la nostra Costituzione che ci impone l’obbligo alla solidarietà, all’impegno per la giustizia sociale, al fine di garantire diritti e dignità a tutti. Questo governo non solo ci vieta di protestare, di manifestare. Ma alla radice c’è una volontà di vietare di pensarla diversamente da loro».
Decreto Sicurezza: 14 nuovi reati
Il Decreto Sicurezza istituisce 14 nuovi reati. Il reato di blocco stradale viene punito con la reclusione, non più come illecito amministrativo. Per le minacce a pubblico ufficiale nel corso di una manifestazione sono previsti 15 anni di carcere, per le scritte sui muri 3 anni di reclusione. Quanto alla rivolta penitenziaria o carceraria, si va dai 2 agli 8 anni per chi la organizza e da 1 a 5 per chi vi partecipa. Anche la resistenza passiva diventa reato. E l’occupazione abusiva di case sfitte è punita con 7 anni di galera. In più, la punizione è estesa anche ai “solidali o collettivi di sostegno”. Tra le novità anche il carcere per terrorismo della parola: sino a 6 anni. È una norma molto vaga: ad esempio, anche le manifestazioni a favore di Gaza potrebbero essere condannate.
Sermarini: «Illegale è la povertà»
Sono misure che viste nel loro insieme creano un quadro opprimente. Ma sono ancora più preoccupanti se analizzate singolarmente. Pensiamo ai 7 anni di reclusione a chi occupa immobili privati o pubblici abbandonati. «Dal nostro punto di vista illegale è la povertà, non chi occupa una casa perché lasciato indietro, impoverito, chi cerca di mettersi un tetto sulla testa» commenta la rappresentante della Rete dei Numeri Pari. «Sono previsti 7 anni di carcere anche a chi dà solidarietà a queste persone. Arriviamo a una criminalizzazione della solidarietà mai vista. Ormai sono più di 10 anni che assistiamo a questo, ma qui diventa legge il carcere per chi è solidale con chi è escluso e impoverito. È compito dello Stato rimuovere gli ostacoli al pieno sviluppo del cittadino. Non colpevolizzarlo e carcerarlo per aver provato a dare risposta con le proprie forze a una condizione».

I detenuti, esseri umani come oggetti da nascondere
Il Decreto Sicurezza rischia di stendere un velo nero anche sulle vite di chi è detenuto. «Questo nasconde la volontà di un governo di silenziare non solo tutte le modalità di protesta, ma anche tutte quelle dinamiche che svelano le conseguenze reali delle politiche», commenta Elisa Sermarini. «Sono vent’anni che diciamo che nelle carceri la situazione è insostenibile, che la soluzione non è costruirne di più. Così si vedono gli esseri umani come oggetti da nascondere». «Una delle norme più preoccupanti è il reato di resistenza passiva nelle carceri e nei CPR, che tra l’altro non sono luoghi in cui si finisce per aver infranto una norma penale», segnala Cesare Antetomaso, membro del Comitato esecutivo di Giuristi Democratici. «Il mondo del carcere, per esprimere una forma di protesta, non ha altro mezzo che la resistenza passiva. Se lo priviamo di quello, togliamo ai detenuti una forma di dissenso: il battimento delle sbarre, il rifiuto del rancio, il non uscire dalla cella quando viene intimato». Il discorso sulla resistenza passiva non è solo legato a questi aspetti, ma rischia di estendersi ad altre applicazioni. «Come fu per il Daspo quando si voleva stroncare i fenomeni di violenza negli stadi, anche qui si inserisce un vulnus», continua Antetomaso. «Incoraggiante è che diversi sindacati di polizia abbiano evidenziato la questione e manifestato insoddisfazione per l’introduzione di questa norma». «Secondo il rapporto di Antigone del 2024 ci sono stati 91 suicidi in carcere» interviene Caterina Pozzi, presidente del CNCA, Coordinamento Nazionale Comunità Accoglienti. «E questo in una situazione di sovraffollamento, in cui le persone più fragili, hanno sempre meno diritto all’accesso alle cure: pensiamo alle persone con problemi di dipendenza e con problemi psichiatrici».
Verso una strategia della tensione?
Ma la norma che fa discutere più di tutte è quella che prevede 20 anni di reclusione per chi protesta per impedire la realizzazione di infrastrutture destinate all’erogazione di energia, di servizi di trasporto, di telecomunicazioni o di altri servizi pubblici. «È diretta a coloro che si oppongono alla costruzione di grandi opere, la TAV, il ponte sullo Stretto, l’inceneritore a Roma», commenta la Rete dei Numeri Pari. «È una cosa che, con una gigantesca inversione del senso comune, improvvisamente rende illegale lottare per i propri diritti, per la propria sicurezza sociale, ambientale, ecologica». Ma gli scenari preoccupanti non finiscono qui. «L’articolo 31 prevede la possibilità per gli agenti segreti non solo di infiltrarsi in organizzazioni eversive, ma addirittura di dirigerle, all’insaputa di quelli che sono gli scopi» ci rivela il presidente di Giuristi Democratici. «Stiamo quasi legalizzando la strategia della tensione. Qualcuno potrebbe provare a forzare il quadro democratico e, una volta scoperto, potrebbe dire: l’ho fatto per finalità buone».

L’iter legislativo: un attacco alla democrazia parlamentare
Con queste nuove leggi muore la partecipazione. E diventa difficile il lavoro di realtà che nella solidarietà hanno la loro ragione di essere, come le comunità di accoglienza. «È un decreto cattivo» commenta Caterina Pozzi, presidente del CNCA. «Lo è soprattutto per alcune fasce di popolazione contro cui si accanisce. Lo è sulla pelle dei cittadini, dei giovani, sulla nostra possibilità di dissentire, manifestare, di dire che le cose non ci vanno bene; è lesivo per i giovani, per tutto il tema ambientale e per le fasce più fragili». «Al di là del contenuto, è stato molto grave l’iter: non c’era nessuna urgenza per velocizzare così tanto», aggiunge. «È stato un attacco alla democrazia parlamentare. È nato come disegno di legge, quando si è visto che era troppo complicato si è passati al decreto. Quando è arrivato alle camere si è fatto in fretta, non si sono state convocate le commissioni. Hanno limitato le funzioni del parlamento». E adesso che succede? «Non ci fermiamo», ci risponde Caterina Pozzi. «Confidiamo che, dal punto di vista costituzionale, la legge possa essere modificata. Continueremo a tenere alta l’attenzione su questo decreto che, insieme ad altri, cerca di risolvere problemi sociali con strumenti penali». Non ci fermiamo neanche noi di Reti Solidali. E continueremo a raccontare altri aspetti di questa storia.
