DAL CARCERE AL VOLONTARIATO STABILE: LA LEGGE C’È, ORA SI FACCIA SISTEMA

I detenuti che fanno volontariato fuori dal carcere scoprono impegno e gratuità, e ne sono arricchiti. L'appello di Ornella Favero: "Se funziona da noi, può funzionare anche nelle altre carceri"

Anche con una semplice ricerca su Google è facile trovare tracce di diverse esperienze di detenuti volontari. Sono ‘uscite’ per lo più legate ad eventi straordinari, come calamità naturali o grandi ricorrenze.

Quello che pochi ancora sanno, invece, è che c’è anche la possibilità di impiegare detenuti in progetti di volontariato stabili, per esempio all’interno delle associazioni o delle organizzazioni a carattere sociale o sanitario. Il tutto grazie anche al riconoscimento, introdotto nel 2013, con la modifica dell’articolo 21 dell’Ordinamento Penitenziario che affianca l’attività volontaria a quella, già prevista, di lavoro esterno al carcere.

In particolare, come si legge sul sito del Ministero della Giustizia, la modifica prevede che i detenuti possano “prestare attività a titolo volontario e gratuito in progetti di pubblica utilità in favore della collettività da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni, le comunità montane, le unioni di comuni, le aziende sanitarie locali, o presso enti o organizzazioni, anche internazionali, di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato” (comma 4-ter introdotto dalla legge n.94 del 9 agosto 2013).

detenuti volontari
Ornella Favero, presidente della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia

Per capire le nuove prospettive e potenzialità di questo strumento, ne abbiamo parlato con Ornella Favero, presidente della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia e direttrice di Ristretti Orizzonti, giornale dal carcere di Padova. L’abbiamo incontrata a Roma in occasione della decima Assemblea della Conferenza e abbiamo poi deciso di raggiungerla telefonicamente per farci spiegare meglio questo nuovo campo d’azione, dove alla ricchezza materiale sempre rincorsa da molti detenuti si sostituisce una ricchezza interiore e sociale. Che sembra funzionare, tant’è che molti poi rimangono come volontari nelle associazioni.

Detenuti volontari ‘non occasionali’ nelle associazioni. Ci fa qualche esempio?
«È un lavoro di volontariato più stabile, come succede con l’associazione Articolo 21 a Milano Bollate ma anche con la redazione di Ristretti Orizzonti a Padova. A Bollate ci sono detenuti impegnati in molteplici attività, tra cui quella a fianco delle persone malate di Alzheimer in un centro specializzato; da noi invece alcuni detenuti ed ex detenuti decidono di portare la propria testimonianza nelle scuole, per spiegare agli studenti come si può scivolare in comportamenti a rischio e poi in un reato. Sono esperienze che tracciano una prospettiva molto importante, soprattutto grazie alla modifica dell’articolo 21».

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Il detenuto si candida a diventare una risorsa per le associazioni. Foto Guido Moroni

Che è del 2013, ma per ora parliamo di progetti sperimentali. Perché?
«Credo sia una forma di pigrizia delle istituzioni, perché la legge c’è e le esperienze sperimentali di detenuti volontari non dovrebbero restare isolate, anche se lodate, ma funzionare proprio da traino. Se da noi ha funzionato, può funzionare anche nelle altre carceri. Invece si avverte sempre un atteggiamento per il quale le innovazioni sono belle lì dove sono e si tende ad andare avanti con le solite prassi. Il che, in alcune carceri, si traduce in immobilismo».

Le strutture esterne, tra cui le associazioni di volontariato, sono preparate ad accogliere detenuti volontari?
«Per rispondere cito l’esperienza dell’Auser, un’associazione che si occupa di anziani e che, venendo a contatto con la nostra realtà, ha aperto a molte attività con il carcere. Il terreno va preparato, ma non c’è ostilità. Quando condividi, ti accorgi che c’è tanta volontà di capire e fare esperienze in questo campo».

Il detenuto quindi si candida a diventare una vera e propria risorsa per le stesse associazioni, che spesso tra l’altro trovano difficoltà a raccogliere nuove forze.
«Senz’altro. Alla nostra decima Assemblea Nazionale un detenuto ha raccontato del grande arricchimento che ha avuto facendo volontariato con le persone malate di Alzheimer. Le esperienze di volontariato fanno scoprire alle persone detenute un mondo di relazioni e di impegno, che magari le gratifica di più rispetto alle loro rincorse ai soldi e alla ‘bella vita’».

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«Chiediamo che i direttori delle carceri abbraccino le possibilità messe in campo dalla legge». Foto Giuso Caprarelli

Insomma è un’esperienza che capovolge completamente il senso percepito di ‘ricchezza’.
«Certo. Con il progetto “A scuola di libertà” abbiamo coinvolto molte persone che ancora oggi continuano a venire per parlare con gli studenti e partecipare alla vita dell’associazione. Ma lo vediamo anche con i lavori di pubblica utilità, dove si mettono alla prova persone che hanno compiuto reati del tenore della violazione del codice della strada. Sperimentando il volontariato, entrando nelle associazioni e scoprendo la gratuità, gli si è aperto un mondo a cui spesso poi sono rimaste legate».

Certo è che, per definizione, non si può obbligare nessuno a fare volontariato. Allora come avviene il primo passo, qual è la reazione dei detenuti a questa prospettiva?
«All’inizio talvolta sono diffidenti. È prevedibile che una persona che magari ha sempre inseguito i soldi si chieda perché mai dovrebbe fare un’attività gratuita. Ma la diffidenza cade rapidamente».

Quali ostacoli ci sono per chi vuole impegnarsi nel volontariato?
«In questo senso è significativo un incontro che ho avuto con alcune associazioni di Napoli, che mi hanno raccontato come i detenuti, una volta scontata la pena, abbiamo difficoltà ad avere un lavoro normale, una vita stabile, insomma si trovano schiacciati dal quotidiano. In questo contesto, le associazioni trovano più difficoltà a coinvolgerli in attività di volontariato. Dobbiamo pensare che i detenuti, quando escono, devono lottare per la sopravvivenza. Quindi capisco che è molto difficile, ma allo stesso tempo è una sfida molto importante. Bisogna creare le condizioni affinché le persone che iniziano ad avere una stabilità e un lavoro abbiano la possibilità di fare anche volontariato».

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«Bisogna coinvolgere altre associazioni e farle affacciare a questa possibilità». Foto Marika Bortolami

Cosa chiedete alle istituzioni?
«Chiediamo che i direttori delle carceri abbiano il coraggio di abbracciare le possibilità messe in campo dall’articolo 21, allargando l’orario delle persone che lavorano fuori così da permettergli di fare volontariato e offrire questa possibilità anche a quelle persone che, magari per motivi di età, hanno difficoltà a trovare un lavoro, ma che potrebbero trovare un’occupazione gratificante a partire dal volontariato. Da dentro, invece, chiediamo di facilitare le attività con un riscontro sociale esterno, come il nostro progetto “A scuola di libertà” che infatti stiamo tentando di estendere con in tutta Italia».

Così da compiere il passaggio dallo sperimentale allo strutturale.
Proprio per questo voglio lanciare un appello a tutta la rete territoriale della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia affinché si attivi per coinvolgere altre associazioni, non necessariamente legate alla nostra realtà, e farle affacciare a questa possibilità di inserire persone detenute che facciano volontariato. Conosciamo quel mondo e sappiamo che ci vuole preparazione. Ci prendiamo l’impegno di aiutarle e accompagnarle in questo percorso.

 

 

 

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