IL SENSO DI FARE VOLONTARIATO, MORTIFICATO DALLA RIFORMA

Nel libro "Ridefinire il volontariato", Gori e Rossi analizzano il Codice del Terzo Settore. Ma forse è il momento di risignificarlo, più che ridefinirlo

di Renato Frisanco

Il recente testo “Ridefinire il volontariato” (a cura di E. Rossi e L. Gori) commenta a più voci la definizione di volontario del Codice del Terzo settore (art. 17 comma 2) evocando una svolta culturale nella disciplina giuridica del volontariato. In realtà tale norma ribadisce un assioma niente affatto estraneo alla cultura del volontariato “moderno”, a partire dalla fine degli anni ’70 del ‘900, ovvero che l’azione volontaria del singolo agente è un valore in sé e ha fondamento costituzionale. La norma asseconda la tendenza dei cittadini a svolgere attività di volontariato ovunque, individualmente, in contesti associativi informali o strutturati, essendosi dilatato il perimetro delle attività “in favore della comunità e del bene comune”. Inoltre recepisce sia la sentenza della Corte Costituzionale (n. 75/1992) che riconosce nel volontariato “un modo di essere della persona nell’ambito dei rapporti sociali[1], sia l’emanazione del “principio costituzionale di sussidiarietà” (art. 118 u.c.) per cui anche il cittadino singolo può realizzare un’autonoma attività di “interesse generale” che il “Pubblico” è tenuto a sostenere.

Ma il valore soggettivo, personalistico della scelta di fare volontariato era ben centrale nella concezione che di esso avevano Tavazza, Nervo, Martini e Ardigò, che nei loro scritti hanno ben puntualizzato l’importanza delle motivazioni fondamentali a valenza interiore del volontario, nella dimensione dell’essere (per sé, per gli altri e con gli altri). La stessa Carta dei Valori del Volontariato (2001) precisa che il volontario “opera in modo libero, e gratuito”, “in forma individuale, in aggregazioni informali e in organizzazioni strutturate” e prevede per tutti atteggiamenti e valori compatibili con tale scelta, non solo nello spazio temporale del loro impegno volontario, bensì nelle 24 ore. Per cui “la dimensione dell’essere è per il volontario ancora più importante di quella del fare”.

La solidarietà organizzata nel Codice del Terzo settore

Il testo di Rossi e Gori non mette invece in evidenza l’occasione persa dal legislatore che – preoccupato di dare il giusto rilievo al volontario singolo – non ha altrettanto chiarito e reso comprensibile il “valore aggiunto” della condivisione tra volontari, nella dimensione del gruppo strutturato, e in rete, di obiettivi e iniziative a valenza culturale e politica difficilmente raggiungibili dal singolo o dalle tante singole persone ovunque operanti. Ed è evidente la sostanziale indistinzione delle organizzazioni di volontariato rispetto alle altre realtà del Terzo settore, ignorandone le funzioni peculiari e il suo unicum rispetto alla gratuità. Negando così alle organizzazioni che operano con “profezia” nell’interesse generale un adeguato rilievo, e con esso la salvaguardia della loro autonomia attraverso il riconoscimento di un giusto sostegno economico e logistico (sedi).

Gli autori non si soffermano neanche sul fatto che la ratio della Riforma sembra orientata ad assicurare le risorse umane volontarie alle diverse realtà del Terzo settore, soprattutto quelle più produttive, per sopperire al compito loro affidato, quello di far fronte alla crescente domanda di servizi a fronte di un Welfare impoverito. Con rischi plausibili come l’utilizzo del loro “lavoro gratuito” o la scarsa partecipazione alla governance.

Vi è poi il problema della “volatilità” del fenomeno dei volontari singoli sul piano della incisività degli interventi, della loro qualità, della durata, in mancanza della professionalità e dalla permanenza nel tempo che solo l’organizzazione garantisce.

associazione KimI rischi per l’identità del volontariato

Infine, tra i rischi vi è quello di attribuire la definizione di “volontario” ad una platea sempre più estesa di soggetti che compongono il “polimorfismo” del volontariato e così riproponendo la confusione che ha molto attenuato l’identità del volontariato nel nuovo secolo. Era altresì prevedibile che in questo clima prima o poi si finisse per mettere seriamente in discussione il caposaldo dell’identità del volontariato come ha fatto il governo (Decreto 14/2020), durante l’emergenza Covid-19, disponendo la sospensione dell’incompatibilità tra la qualità di volontario e “qualsiasi forma di rapporto di lavoro retribuito con l’ente di cui il volontario è socio o associato o tramite il quale svolge la propria attività di volontariato”.

Ecco emergere i fantasmi dell’uso del volontariato come forza lavoro sostitutiva, del suo ruolo ancillare, dell’essere governato dall’alto a seconda di un disegno strumentale, fino a generare il dubbio sulla sua adeguatezza e tale da suggerire “l’introduzione di un fattore rafforzativo” (in termini di remunerazioni, di tutele previdenziali, di incentivi). È quanto si domanda Gori, lasciandoci nello sconcerto.

Più che ridefinire il volontariato, risignificarlo 

Più che “ridefinire” il volontariato si tratta di “risignificarlo” a partire dalla sua piena soggettività, perché possa “rigenerare” sè stesso e la società. Occorre quindi ri-focalizzare l’attenzione sulla sua identità (valori-requisiti intangibili) e sulla sua missione storica, del “qui ed ora”, in tutte le sue componenti, quelle singolarmente impegnate e quelle organizzate. Compresa la frontiera dell’azione civica per la salvaguardia e lo sviluppo dei beni comuni, se permette di costruire comunità e sortire effetti di allargamento della democrazia reale.

L’auspicato approdo verso una società più democratica richiede però un volontariato che si faccia portatore di una visione di società “più accogliente e fraterna” e di “un progetto più generale di trasformazione sociale”[2], come è nel suo DNA, cosa però difficilmente perseguibile spostando semplicemente la centralità del volontariato sulla figura del volontario.

[1] Tuttavia la sentenza aggiunge di seguito che “detto altrimenti, un paradigma dell’azione sociale riferibile a singoli individui o ad associazioni di più individui”.

[2] Il virgolettato è di Emanuele Rossi nelle conclusioni del libro “Ridefinire il volontariato”.

Una versione più articolata di questo contributo si trova a questo link.

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ridefinire il volontariatoLuca Gori, Emanuele Rossi
“Ridefinire il volontariato”
Pisa University Press 2020
pp. 128, € 15,00

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