
DIPENDENZA DA SMARTPHONE: COME RICONOSCERLA E AFFRONTARLA
L’uso (e l’abuso) di smartphone tra bambini e ragazzi e il rischio dipendenza: le conseguenze e le buone prassi che possiamo mettere in atto da subito. Con Giuseppe Ducci, Direttore del DSM della ASL Roma 1 e Stefano Vicari, Direttore dell'UOC Neuropsichiatria infantile dell’ospedale Bambino Gesù
01 Settembre 2025
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I recenti fatti di cronaca hanno lasciato il segno. E hanno fatto scattare il campanello d’allarme di un fenomeno che noi tutti abbiamo davanti agli occhi già da qualche anno: tra i bambini e i ragazzi oggi esiste il rischio di una dipendenza da smartphone. In Italia si sono mosse anche le istituzioni: l’Intergruppo Parlamentare Prevenzione e Riduzione del Rischio ha proposto un patto tra istituzioni, scuola e famiglie per fermare l’emergenza. Si è arrivati a un disegno di legge, e prima ancora a un emendamento nella prossima legge finanziaria che destina dei fondi per l’educazione e la promozione attraverso gruppi di peer educator e un lavoro sulle famiglie. E si arriverà anche a porre dei limiti all’uso del cellulare al di sotto di una certa età, come accade già in altri Paesi, come la Francia e l’Inghilterra.

Dipendenza da smartphone: un decalogo da mettere in atto subito
Il primo passo per prendere tutti consapevolezza del problema e provare a fare tutti la nostra parte. Ecco un decalogo, una serie di buone prassi che possiamo mettere in atto da subito. 1. Essere un modello positivo di comportamento digitale, perché i bambini imparano osservando, e noi dobbiamo mostrare un uso moderato e consapevole dei dispositivi. 2. Stabilire regole chiare sull’uso della tecnologia, come definire orari e limiti di utilizzo. 3. Proporre valide alternative offline, come attività fisiche, giochi creativi, letture condivise ed esperienze all’aperto. 4. Vietare l’uso dei dispositivi come strumento di consolazione e distrazione: non dobbiamo offrire uno schermo per calmare un bambino. 5. Proteggere i momenti relazionali, come i pasti, il tempo prima di dormire e le conversazioni familiari. 6. Adeguare l’uso dei dispositivi all’età: nessuno schermo prima dei 2 anni, mai schermi accesi senza la nostra presenza prima dei 5, evitare l’accesso autonomo ai social prima dei 12. 7. Non anticipare l’ingresso nei social media. 8. Supervisionare attivamente, anche condividendo il tempo on line. 9. Riconoscere i segnali d’allarme, come la ricerca ossessiva del dispositivo o reazioni aggressive alla sua assenza. 10. Agire insieme come comunità educante: scuola, famiglia, sanità e istituzioni devono lavorare insieme.
Gli smartphone in mano a ragazzini sempre più giovani
Ne abbiamo parlato con il professor Giuseppe Ducci, Direttore del Dipartimento Salute Mentale ASL Roma 1. Ci ha raccontato come negli ultimi 4 anni nell’unione operativa dedicata alla fascia 14-25 anni i pazienti in carico sono passati da 800 a 1800. Gli accessi in pronto soccorso con una diagnosi psichiatrica hanno avuto un’impennata nel 2013 e nel 2021. Il 2013 è l’anno in cui il prezzo degli smartphone è diminuito e questi sono diventati «il regalo per la Prima Comunione», come dice Stefano Vicari, Direttore dell’UOC di Neuropsichiatria Infantile dell’ospedale Bambino Gesù. Gli smartphone sono arrivati in mano a ragazzini sempre più giovani e indifesi. «Noi abbiamo uno sviluppo cerebrale racchiuso in tre fasi» ci spiega Ducci. «Una dal concepimento alla pubertà, una dalla pubertà ai 25 anni e un’altra dai 25 alla fine della vita. Lo sviluppo cerebrale non si ferma mai, ma queste fasi sono delle finestre sensibili. Il nostro cervello ci mette tanto tempo a svilupparsi perché viene in gran parte plasmato dall’ambiente e questo è fondamentalmente legato alle relazioni. E le relazioni che plasmano il nostro cervello sono precocissime. Ci sono quelle intrauterine. C’è una relazione precoce con la madre, per cui se una mamma mentre allatta sta sul telefonino e non incrocia lo sguardo del bambino non permette quella sintonizzazione emotivo-affettiva che attraverso dei meccanismi epigenetici, di espressione genetica, strutturano il cervello del bambino. La mamma chatta perché il telefonino soddisfa il centro della ricompensa, cioè attiva la dopamina. E l’attivazione continua della dopamina è una vera e propria dipendenza. Abbiamo effetti precocissimi del telefonino. Le aree cerebrali che meno si sviluppano sono quelle della regolazione emotivo-affettiva e quella della resilienza. Successivamente, se un bambino incontra un telefonino, come spesso accade oggi, intorno ai 5-6 anni, come modalità di gioco, o intrattenimento mentre i genitori fanno altro, comincia a sviluppare una dipendenza. E l’uso sempre più frequente sotto i 10 anni determina delle modificazioni nella capacità di co-regolazione che sono drammatiche».
Anoressia, cyberbullismo, hikikomori
Un esempio di cosa può accadere si può vedere nella serie inglese Adolescence. «È basata su un fatto vero, l’accoltellamento a morte di una tredicenne da parte di un coetaneo che veniva discriminato sui social» spiega Ducci. «In Inghilterra hanno reso obbligatoria la visione in tutte le scuole. E, come in Francia, hanno cominciato a introdurre limiti nell’uso del telefono». «È chiaro che lo smartphone non è lo strumento del diavolo» continua. «Ma dipende dall’uso che se ne fa. Noi abbiamo iniziato a usare questo strumento e le app senza avere maturato una cultura che ci permettesse di gestirle, prima di tutto da parte dei genitori. E di conseguenza anche da parte dei minori. Sono i genitori stessi che sono dipendenti, ma il loro cervello è più formato di quello dei ragazzini. Abbiamo il modello del genitore che è sempre sul telefonino, che ha bisogno di andare su Instagram per sentirsi gratificato. Nei genitori fa un danno, ma rappresenta un modello per l’uso nei bambini dove il danno è molto più grave». Avviene così una disregolazione che è in parte dovuta anche all’abuso di smartphone. «Si esprime sia su un piano rivolto verso l’esterno, con disturbi come anoressia, uso di sostanze, autolesionismo, in particolare il cutting» spiega il professore. «E con la violenza. Che oggi è soprattutto violenza digitale: ricatti con immagini pornografiche e cyberbullismo. Il telefono permette di insultare un’altra persona senza doversi confrontare con le sue reazioni. Chi subisce gli insulti non può reagire e ci resta malissimo. Ci sono poi anche i disturbi rivolti verso l’interno. Che sono il ritiro, che è legato alla depressione e all’ansia. E l’hikikomori, che porta all’inversione del ritmo sonno-veglia: si dorme di giorno e si sta svegli di notte, navigando su internet».

I segnali d’allarme
Lo smartphone è molto diverso da cinema e tv, perché è diversa l’attenzione. «Il miglior strumento di comunicazione empatica, emotiva e di conoscenza condivisa è il cinema» riflette Ducci. «La televisione, comunque, permette di mantenere un’attenzione focalizzata. Il problema dello smartphone è che promuove un’attenzione molto caotica e provoca o aggrava anche i disturbi di deficit di attenzione con iperattività. Le notifiche interrompono sempre la nostra attività». Ma quali sono i segnali che ci permettono di capire quando esiste una dipendenza da smartphone? «I segnali sono quelli che si verificano in tutte le condizioni di abuso e di dipendenza» ci spiega il professore. «C’è un peggioramento del funzionamento scolastico, i ragazzi non fanno più attività sportiva e diventano sedentari, obesi, anche quando non sono presenti disturbi del comportamento alimentare, mangiano cibo spazzatura. Diminuiscono le relazioni sociali, che sono ormai solo digitali, e gli incontri faccia a faccia diventano sempre più limitati. È un deficit motivazionale e di attenzione ha ricadute sull’ambiente scolastico e delle amicizie».
La scuola, la peer education, l’importanza delle famiglie
Per prevenire la dipendenza da smartphone è fondamentale l’apporto della scuola, non con lezioni frontali, ma con sistemi di peer education. «Se parlo a una classe di tredicenni quello che dico entra da un orecchio ed esce dall’altro» ci spiega Ducci. «Se voglio cambiare le conoscenze e gli stili di comportamento, d’intesa con i docenti, individuo i leader positivi di una classe, li coinvolgo, li motivo, li formo a fare i peer educator. Poi questi, con la loro classe, da coetanei, proporranno giochi, progetti, attività che hanno come scopo quello di conoscere non soltanto da punto di vista cognitivo, ma anche da quello emotivo, alcuni contenuti». «È fondamentale l’attività fisica» continua. «Gran parte dei ragazzi non fa nulla, sta sempre sul telefono». La famiglia può fare molto: proporre di vedere un film insieme, di fare attività che consistano in relazioni ma senza lo smartphone. «Il problema è come raggiungere le famiglie» ci avvisa Ducci. «Agli incontri di solito vengono i genitori più motivati. Il problema è arrivare a quelli che non hanno nessuna capacità di alzare la testa dal telefono. E che non capiscono che è importante sviluppare con i figli attività diverse e più vitali. Un’altra ipotesi è proprio quella di interagire con i genitori sul luogo di lavoro».
In copertina foto di Joao Viegas su Unsplash
