DISABILI NELL’EMERGENZA: PER AIUTARLI SERVE UNA RETE

In alcuni casi le misure di prevenzione sono insostenibili e anche i percorsi di cura standard. Ne abbiamo parlato con Daniele Stavolo della Fish Lazio

Che cosa succede ai disabili nell’emergenza Covid19, soprattutto alle persone che hanno una disabilità complessa e quindi non sono in grado di collaborare alle cure? E che cosa bisogna fare per sostenerle? Ne parliamo con Daniele Stavolo, presidente della FISH Lazio, che chiede per prima cosa di «implementare da un punto di vista sociosanitario la rete della persona, colmando subito le lacune dell’assistenza. Si deve creare una rete di supporto con tutti i servizi già a disposizione e garantire i livelli essenziali sociali, per far fronte all’emergenza sanitaria».».

Le misure di prevenzione

Il problema  dei disabili nell’emergenza inizia già dal fatto che in alcuni casi anche le semplici misure di prevenzione sono intollerabili. Pensiamo alla difficoltà di tenere chiusi in casa bambini con alcune forme di autismo, o al disagio che nasce dal fatto che si sono interrotte relazioni, attività di integrazione, percorsi terapeutici. «Le persone si sono trovate a cambiare le proprie abitudini da un giorno all’altro: già questo genera, per persone estremamente legate allo schema abitudinario, un trauma», spiega Stavolo. «Non andare a scuola, interrompere  terapie o le attività presso i centri… tutto questo è già un importante fattore di stress. Il fatto di non uscire più di casa si aggiunge ad una serie di cambiamenti, che rischiano di mettere in estrema difficoltà le famiglie. Per fortuna qui nel Lazio è stata emanata, dalla Direzione Politiche Sociali, la circolare del 24 marzo che comunica la possibilità di garantire, per queste persone, un’uscita nel momento in cui diventa indispensabile».

In caso di contagio

E e arriva il contagio? «Sappiamo che sono stati dettati tutta una serie di provvedimenti a livello nazionale, ma anche regionale – a partire dal distanziamento sociale – che sono validi ovviamente per tutti, ma bisogna garantire alcune tutele, alcuni accomodamenti per le persone che non possono, per qualche motivo, rispettare sempre queste misure». Per esempio, continua Stavolo, «chi ha bisogno di assistenza materiale – un aiuto per alzarsi dal letto, per le cure igieniche, per la preparazione dei pasti… – deve poter avere qualcuno vicino. Poi bisogna considerare le persone che hanno una disabilità complessa e supportarle nel momento in cui non possono rispettare queste misure».

Alle persone che risultano positive viene imposto, per prima cosa, l’isolamento a casa, «ma il rispetto delle misure di isolamento fiduciario – che implica l’avere una stanza riservata, una particolare cura dell’igiene durante la quarantena e il distanziamento sociale – richiede un supporto molto importante dal punto di vista sociosanitario, nel caso di persone con disabilità. Bisogna individuare modalità, se non alternative, almeno adeguate, rispetto a quelle standard. Ad esempio in caso di disabilità complessa, quindi intellettiva o relazionale, è necessario un supporto prima di tutto da parte del familiare che assiste la persona e poi da parte della rete che già lo supporta: l’assistente, i servizi pubblici sanitari e così via. Tutte queste persone dovrebbero in qualche modo essere formate, magari dalla persona più vicina alla persona disabile, il famigliare prima di tutto».

 

Foto di Lina Vacondio © Progetto FIAF-CSVnet “Tanti per tutti. Viaggio nel volontariato italiano”(particolare)

Come ricorda Daniele Stavolo, in caso di positività «quando viene scoperta la positività di una persona, si fa il tampone a tutta la famiglia. Ma se risultasse positiva al Covid19 una persona con disabilità intellettiva o relazionale, chiediamo che il familiare che l’assiste possa restare, anche se risulta negativo. Ovviamente con i dovuti dispositivi e le cautele dal caso, ma è necessario, come è necessario che continui ad essere presente la rete di supporto sociale.

Qui nel Lazio è già attivo, presso la Asl Roma 2, il progetto “Curare con Cura”, della casa della salute Santa Caterina della Rosa, che si occupa appunto della presa in carico per quanto riguarda esami standard o interventi da parte del personale infermieristico. Questo personale potrebbe intervenire a coadiuvare i servizi pubblici sanitari, nel caso che si ammali una persona con disabilità complessa. È un esempio di risorsa già attiva sul territorio, che può essere orientata sull’emergenza».

Un caso non molto diverso è quando l’infezione viene contratta dal familiare, che quindi deve entrare in isolamento. «Anche in questo caso bisogna implementare il servizio di assistenza, per colmare il vuoto lasciato dal familiare».

In caso di ricovero

Per quanto riguarda il ricovero, poi, è necessario prevedere misure specifiche. «Se parliamo di un ricovero in bassa intensità assistenziale, o comunque fino  alla terapia sub intensiva, diciamo così, è necessario prevedere la presenza del familiare, o comunque dell’assistente che si occupa della persona. Significa avere, ad esempio, un posto letto aggiuntivo, perché la degenza in ospedale sia il meno traumatica possibile. Quando si dovesse arrivare ai reparti di terapia intensiva – speriamo non succeda mai – allora diventa tutto più complesso».

Le disabilità pregresse

Un altro tema è quello delle persone non autosufficienti con disabilità pregressa: «anche in questo caso bisogna predisporre tutele, perché la disabilità pregressa potrebbe interferire con il percorso di cura, se non altro per l’interazione con farmaci specifici che la persona già assume, ma anche per alti motivi. È possibile ampliare il quadro clinico della persona, attraverso un coordinamento tra i servizi che si occupano di Covid19 con i centri specialistici attivi che si occupano della presa in carico specifica di persone con quel tipo specifico di disabilità».

La cabina di regia

Per tutto questo è necessaria un’efficace collaborazione con le istituzioni. Una iniziativa che sta funzionando è la cabina di regia attivata  con l’Ufficio di Gabinetto della Regione, attraverso il Forum Terzo settore Lazio. «Per noi è uno spazio molto importante», dice Stavolo, «perché possiamo rappresentare tutte le necessità che raccogliamo dal territorio, dalle associazioni e dalle famiglie. E ovviamente presentiamo anche delle proposte. Questo ci dà la possibilità anche di  valutare come si progredisce sulla base dei provvedimenti che questo lavoro ha ispirato, a partire dalla delibera regionale 115/2020. Al tavolo – chiamiamolo così anche se il tutto avviene a distanza – partecipano anche gli assessorati di riferimento e i consiglieri regionali, a seconda dei temi all’ordine del giorno».

Anche grazie a questo tavolo «il rapporto con la Regione funziona, mentre gli Enti locali sono indietro, in particolare il Comune di Roma. Bisogna agire subito e con provvedi puntuali».

L’emergenza sociale

L’attuale emergenza, però, non è solo sanitaria: già si intravedono le conseguenze sociali ed economiche che porta con sé.  Su queste famiglie, in particolare, «ha provocato un drammatico impatto sociale, perché si sono trovate a gestire una situazione del tutto nuova. Pensiamo alla didattica a distanza: abbiamo chiesto più volte, anche a livello nazionale, di predisporre gli strumenti per adattarla anche alle persone con disabilità: per esempio i sottotitoli per le persone sorde o gli strumenti informatici per chi ha disabilità visiva. Ma in alcune situazioni ci dovrebbe essere un assistente dei servizi di inclusione scolastica, che hanno già in carico la persona, che dovrebbero svolgere interventi a domicilio. Questo al momento è difficile da attivare, anche se da qualche parte si fa, purtroppo in genere là dove c’è una maggiore sensibilità da parte dell’operatore specifico».

Poi c’è il problema del rischio povertà. «La disabilità è già una delle prime cause di impoverimento, perché in genere comporta costi diretti, per l’assistenza, per gli ausili, per i farmaci… Inoltre comporta dei costi indiretti, sociali: la riduzione o perdita del lavoro per la madre, che non ha servizi assistenziali sufficienti per far fronte alle esigenze del figlio. Ovviamente bisogna agire fin da subito, per cercare di alleviare l’impatto economico per le famiglie in cui è entrata la cassa integrazione o la perdita del lavoro. Anche se è difficile immaginare lo scenario futuro, dobbiamo pensarci da oggi, ad esempio implementando il fondo per la non autosufficienza».

 

Se avete correzioni o suggerimenti da proporci, scrivete a comunicazionecsv@csvlazio.org

 

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