DONNE, LA SCARSITÀ DI TEMPO È UN INDICATORE ECONOMICO

La scarsità di tempo personale non è un effetto collaterale, ma il meccanismo attraverso cui le disuguaglianze di genere si producono e si accumulano. Emerge da una ricerca realizzata dalla School of Gender Economics di Unitelma Sapienza. La direttrice, Azzurra Rinaldi: «I dati dell’indagine rivelano una grandissima fatica da parte delle donne italiane»

di Ilaria Dioguardi

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Un’indagine nazionale che raccoglie e analizza dati originali sul rapporto tra lavoro di cura, tempo, benessere e partecipazione economica delle donne. È stata realizzata dalla School of Gender Economics dell’Università Unitelma Sapienza ed è stata presentata in Senato, nella Sala Caduti di Nassirya. Il lavoro di ricerca è stato guidato da Azzurra Rinaldi, direttrice della School of Gender Economics, in collaborazione con la dottoressa Claudia Pitteo e con il supporto del dottor Dawid Dawidowicz dell’Università polacca West Pomeranian. Il Report Determinanti strutturali e meccanismi di riproduzione delle disuguaglianze di genere si occupa di analizzare il rapporto tra carico di cura, segregazione orizzontale e vulnerabilità economica. Non si limita a sintetizzare studi esistenti: produce nuove evidenze empiriche, costruite su un campione di 2.456 partecipanti, che fotografano con precisione l’impatto quotidiano della cura non retribuita sulle vite professionali femminili.

Disponibilità di tempo personale: non è un fatto privato

Nella ricerca, si sono analizzati 2.456 casi, attraverso interviste compilate online e in forma anonima. I questionari erano articolati in sezioni dedicate alla situazione personale e familiare, alle modalità di lavoro, al grado di condivisione delle responsabilità domestiche e di cura e alle percezioni soggettive delle partecipanti rispetto alla stanchezza, al tempo a disposizione per sé e al carico mentale. L’indagine mostra un elemento chiave: la disponibilità di tempo personale non è solo un fatto privato, ma un vero e proprio indicatore economico. Nella fascia d’età tra i 26 e i 35 anni, l’83% delle partecipanti ai questionari dichiara di sentirsi frequentemente stanca, mentre tra i 36 e i 45 anni l’81% afferma di non riuscire a dedicare nemmeno un’ora al giorno a se stessa. Il 45% delle donne non si prende cura della propria salute per mancanza di tempo. Questi dati raccolti rappresentano un’evidenza nuova: la fase in cui si costruisce la carriera coincide con una drastica erosione del tempo personale, con effetti misurabili sul benessere e sulla possibilità di avanzamento professionale. «Mi ha colpito la chiarezza del linguaggio della ricerca, credo sia la benvenuta. Sono rimasto colpito anche dall’utilizzo consapevole del termine segregazione», ha detto alla presentazione del report il senatore Filippo Sensi. «Quest’apertheid femminile è un tema forte che mantiene una sua forza scioccante. Stiamo provando ad iniziare, in Commissione femminicidio, un percorso sul tema della violenza economica e sulla disparità del tema finanziario. Mi ha colpito il termine abuso per quanto riguarda la violenza economica». Durante la presentazione, Azzurra Rinaldi ha detto: «Il lavoro di raccolta dei dati è durato 3 anni, con 50 items per questionario. Questa ricerca risponde a una domanda: nel momento in cui le giornate durano 24 ore, se sottraggo molto tempo a prendermi cura gratis, lo tolgo per lavorare e per avere prospettive di carriera e di guadagno, e lo tolgo anche al benessere?».

Più di una donna su due si occupa da sola del lavoro domestico

Un altro risultato originale della ricerca riguarda la distribuzione effettiva del lavoro domestico. Il 53% delle donne intervistate dichiara di occuparsene completamente da sola, mentre quasi il 30% riferisce un coinvolgimento solo parziale del partner.
«I risultati mostrano una forte correlazione tra le donne di età compresa tra i 25 e i 45 anni e la sensazione di stanchezza unita alla totale assenza di tempo libero. In questo gruppo, il più numeroso del campione, più della metà delle donne si assume in via esclusiva i compiti domestici, mentre quasi il 30% riceve un supporto parziale da parte del partner. Solo una quota minima ha accesso a un sostegno strutturato retribuito», si legge nel Report. «La scarsità di tempo per sé ha conseguenze importante: ostacola la costruzione di una carriera soddisfacente e remunera va, porta a trascurare la salute, riduce la partecipazione alla vita sociale e culturale e, nel 70% dei casi, si traduce in effetti psicologici negativi come stanchezza costante, irritazione e difficoltà a rilassarsi».
Questi dati mostrano che la divisione del lavoro familiare rimane profondamente squilibrata, nonostante il crescente tasso di occupazione femminile. La cura non risulta condivisa, ma squilibrata: un’informazione che ribalta la narrazione secondo cui il cambiamento culturale sarebbe già compiuto. L’indagine introduce anche una nuova evidenza rispetto all’accesso alla flessibilità lavorativa. Pur essendo spesso presentato come strumento a supporto della conciliazione, lo smartworking risulta più diffuso tra le donne tra i 46 e i 60 anni, che hanno una probabilità del 57% di lavorare con modalità flessibili. Al contrario, le donne più giovani, tra i 26 e i 35 anni, per il 70% del totale, non ha possibilità di potervi accedere. Questo risultato, inedito nella letteratura italiana, suggerisce che la flessibilità è oggi più disponibile quando la pressione familiare si è ridotta e meno accessibile quando la necessità è più alta. «Questi dati producono una consapevolezza che è agghiacciante, rivelano una grandissima fatica da parte delle donne italiane», ha affermato Azzurra Rinaldi. «Una donna su cinque è costretta a lasciare il lavoro dopo il primo figlio. Il 73% delle dimissioni volontarie richieste e accettate nel 2023 sono state presentate da lavoratrici madri».

Legame diretto tra lavoro di cura, benessere e produttività

Anche sul piano emotivo, il Report porta alla luce un dato nuovo: il 70% delle partecipanti descrive effetti psicologici rilevanti, come stanchezza cronica e difficoltà a recuperare energia, legate alla combinazione tra carico di cura non condiviso, mancanza di tempo personale e pressione costante nella gestione simultanea di lavoro e responsabilità familiari. Non si tratta di una percezione episodica, ma di una condizione sistematica che incide sulla salute e sul rendimento lavorativo. Il dato evidenzia un legame diretto tra carico di cura, benessere e produttività, un nesso raramente indagato con questa profondità nella ricerca nazionale. Questi risultati si affiancano alle evidenze internazionali, come le stime dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro – Oil che indicano 708 milioni di donne escluse dal mercato del lavoro per responsabilità di cura, ma aggiungono una prospettiva inedita: le disuguaglianze non si manifestano solo nell’accesso al lavoro, ma nella quantità di tempo che le donne possono effettivamente dedicare a se stesse, alla formazione e alla crescita professionale. «Nel 2023, su 748 milioni di persone che non hanno partecipato alla forza lavoro a causa delle responsabilità di assistenza, 708 milioni erano donne e solo 40 milioni uomini. Questa enorme differenza evidenzia che il lavoro di cura non retribuito rappresenta il principale ostacolo per le donne all’ingresso e alla successiva permanenza nel mondo del lavoro e il ruolo sproporzionato che svolgono nell’assistenza in generale, che si tra di educazione dei figli, cura della casa, sostegno alle persone con disabilità o con esigenze di assistenza di lunga durata», si legge nel Report.

Tempo: risorsa economica distribuita in modo profondamente diseguale

Il tempo emerge così come risorsa economica scarsa, distribuita in modo profondamente diseguale. Il Report evidenzia che la richiesta di cambiamento non riguarda soluzioni individuali, ma interventi strutturali. Quando invitate a indicare cosa potrebbe migliorare la gestione del tempo, le risposte si sono concentrate in modo estremamente convergente: le tre proposte più frequenti rappresentano circa l’80% delle risposte complessive, e riguardano una più equa collaborazione del partner nelle responsabilità di cura, una diversa organizzazione degli orari di lavoro e una maggiore flessibilità negli orari di ingresso e uscita. Questo Report mostra che il punto di svolta non è nell’esperienza soggettiva, ma nella misurazione oggettiva del tempo. Le evidenze raccolte indicano che la scarsità di tempo personale non è un effetto collaterale, ma il meccanismo attraverso cui la disuguaglianza si produce e si accumula. Rendere visibile questo processo significa ridefinire il terreno dell’analisi economica: non solo sulla partecipazione o meno al lavoro retribuito, ma sulla quantità di tempo disponibile per la vita professionale e personale. Ed è su questo passaggio, per le donne italiane, che si gioca la possibilità di garantirsi la propria autonomia economica.
Nel 2023, secondo i dati Inps, le  giornate consumate dalle donne per congedi parentali sono state 14,4 milioni contro i 2,1 milioni consumate dagli uomini.

Disuguaglianze di genere e necessità di interventi strutturali

«Il lavoro di cura non retribuito si associa tantissimo agli stereotipi di genere e alle aspettative di ruoli e di aspettative sociali, per cui c’è una sistematica asimmetria», ha spiegato Claudia Pittueo, gruppo di ricerca School of Gender Economics Unitelma Sapienza. «Il 22% delle donne italiane è in dipendenza economica, l’Italia è tra i Paesi con la minore educazione finanziaria. La segregazione educativa ed occupazionale si verifica perché si tende ad intraprendere percorsi di studio e di lavoro più compatibili con uno stile di vita che permetta di avere tempo per il lavoro di cura. Per capire quali possono essere le soluzioni, nel nostro questionario siamo passate dalle domande chiuse alle domande aperte. Questo nostro report evidenzia la necessità di supporto mediante interventi strutturali per genitorialità condivisa, flessibilità lavorativa e servizi per la famiglia».
«Il lavoro di cura è l’elefante nella stanza di cui nessuno si accorge», ha detto la senatrice Cecilia D’Elia. «Questo è un Paese bloccato, si parla di denatalità senza parlare del benessere delle donne, che è esattamente la chiave del bisogno e della scelta di diventare madri. Bisogna affrontare il tema del lavoro di cura gratuito, e dato per scontato, come una quesitone di politiche pubbliche, invece non si vive come una questione politica ma personale. Il tema dell’educazione finanziaria», ha continuato D’Elia, «e del sostegno all’autonomia delle donne riguarda loro e la loro felicità e il fatto che l’Italia è bloccata per quanto riguarda la natalità. Pensiamo che il 37% delle donne non ha un conto corrente personale». «L’educazione finanziaria va fatta insieme all’educazione sessuo-affettiva. È necessario cambiare le teste delle persone, serve un lavoro collettivo da parte degli uomini di rivedere alcuni canoni», ha aggiunto Rinaldi.
«Le richieste relative ai servizi scolastici (come orari prolungati, attività aggiuntive e asili nido aziendali) evidenziano quanto sia cruciale disporre di un sistema di supporto che permetta alle donne di lavorare con continuità e di dedicare tempo alla propria salute e al proprio benessere», si legge nel Report.

DONNE, LA SCARSITÀ DI TEMPO È UN INDICATORE ECONOMICO

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