
EMIR KUSTURICA: «GUARDAVAMO IL MONDO ATTRAVERSO L’ITALIA»
Con Ti ricordi di Dolly Bell? Emir Kusturica ha concluso l’Euro Balkan Film Festival 2025. Fra rapporto con l'Italia, comunismo, cinema, cultura e business. «Qui state lottando contro una forma di forte capitalismo, state riportando il cinema alla cultura»
19 Novembre 2025
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Gli altoparlanti sparano a tutto volume 24mila baci di Adriano Celentano. Siamo in Bosnia, vicino a Sarajevo, che allora era Jugoslavia, negli anni Sessanta. Europa dell’Est e dell’Ovest sono due mondi nettamente separati. Eppure tra quella che era la Jugoslavia e l’Italia c’era più di qualche legame, i confini non erano così netti. La nostra cultura arrivava oltre cortina e portava uno sguardo sull’Occidente. Adriano Celentano nella musica, ma anche Federico Fellini nel cinema. Tutto questo entra in Ti ricordi di Dolly Bell?, il film del 1981 del regista serbo Emir Kusturica, il più grande esponente del cinema balcanico, il degno ospite per concludere l’Euro Balkan Film Festival 2025, il 6 novembre, con una serata al Cinema Troisi di Roma.
Gli anni Sessanta, Celentano e quel fascino per l’Italia
Ti ricordi di Dolly Bell? ci porta nella Jugoslavia degli anni Sessanta. Il giovane Dino si unisce ad una band istituita dalla Casa del Popolo del suo paesino, e ben presto si appassiona alla musica ed alla cultura italiana, importando nel repertorio Celentano ed altre star del nostro Paese. Accanto alla passione per la musica Dino comincia a scoprire quella per le ragazze, l’amore e il sesso. Mentre intorno a lui si disserta di utopia e comunismo. Ti ricordi di Dolly Bell è un film che racconta il senso di liberazione degli anni Sessanta all’interno del contesto del regime jugoslavo, ma anche il fascino per l’Italia che ha pervaso i Balcani.
Nel segno di Federico Fellini
Nanni Moretti diceva che Kusturica è l’unico regista al mondo che gira come Fellini. E, come suoneria del telefono, Emir Kusturica ha la musica di Amarcord. «Non vorrei insultare Fellini» risponde il cineasta serbo alla domanda di Mario Sesti. «Ma sì. È ancora qui di fronte a me». Sì, c’è un che di felliniano in questo film e nel cinema di Emir Kusturica. Ma quello dell’artista balcanico è stato, sin dall’inizio, un cinema che nessuno aveva mai fatto prima. O che, almeno, nessuno di noi aveva mai visto. Surreale, sospeso e allo stesso tempo terreno, caotico, umano, sentimentale.
I Balcani e l’Italia
Da Ti ricordi di Dolly Bell? viene fuori molto bene il rapporto tra quella che un tempo era la Jugoslavia e il nostro Paese. L’Italia, per chi viveva oltre il confine, era un posto di osservazione privilegiato, lo sguardo sull’Occidente e quindi sul mondo. Dall’Italia arrivavano idoli come Celentano, una pop music che veniva da un Paese con un forte partito comunista. «Ci siamo visti alcune volte e siamo diventati amici» racconta Kusturica a proposito del Molleggiato. «Tra il 1974 e il 1978 il mondo ha subito un grande cambiamento grazie alla cultura pop. Europa di notte (di Alessandro Blasetti, del 1959, ndr) è stato un film molto visto a Sarajevo. I cantanti che arrivavano dall’Italia erano molto più accettabili per noi di quelli che arrivavano dagli altri paesi occidentali ed eravamo estremamente grati al vostro Paese. Guardavamo attraverso la finestra dell’Italia e potevamo importare qui tutti i modelli sociali nei nostri processi artistici e creativi. Ho i miei jeans italiani da 50 anni». In Europa di Notte appaiono le immagini di Dolly Bell, spogliarellista che accende i sogni dei ragazzi a Sarajevo che dà il titolo al film.

Il comunismo era ancora un sogno
«Il comunismo arriverà prima del Duemila» dice un personaggio del film. Allora il comunismo, inteso come la sua piena realizzazione, era un sogno. Parliamo di persone cresciute a dottrina e ideologia, ma che comunque credevano sinceramente in un mondo migliore, più equo e più giusto. Rivedere il film oggi, dopo il crollo delle ideologie, del comunismo, ha un retrogusto più amaro. E poi c’è la Sarajevo degli anni Sessanta, ripresa nei primi anni Ottanta, povera ma ancora felice, ancora ignara della guerra che l’avrebbe ferita poco più di dieci anni più tardi. «Quel film è stata l’occasione per scoprire il mio idealismo, il mio distanziamento ironico dal comunismo, l’amore per mio padre e la mia famiglia. E quello che avevo imparato alla scuola di cinema ceca tra gente che beveva birra. Come dice il padre nel film, che dice che il comunismo si sarebbe compiuto intorno al Duemila, non sapevi se scherzavano o meno. Ma in realtà erano molto seri» racconta Kusturica. «Qui al Cinema Troisi siamo sulla buona strada per diventare comunisti» continua. «Perché state lottando contro una forma di forte capitalismo, state riportando il cinema alla cultura. E questo non avviene molto spesso nell’emisfero occidentale. Credo che il bisogno di consapevolezza sociale e di cultura qui sia forte e prevarrà, anche se oggi non sembra che sia questa la strada. Non è un caso che l’azione del cinema Troisi fosse fatta in sintonia con la Chiesa: la religione è la fonte da cui viene la cultura». «Dopo la Seconda Guerra Mondiale, tra il ’45 e il ’48, il vostro paese era essenzialmente comunista. Non voglio dirvi cosa è successo alla fine del vostro comunismo» continua sorridendo. «Ma so per certo che la CIA aveva un programma: fare una nuova religione con il cinema. Nella pratica non è diventata una forma religione ma i grandi attori di Hollywood sono una sorta di santi. Brad Pitt che indossa i vestiti ed è molto fotogenico. George Clooney potrebbe essere il Dio dell’espresso o del macchiato».
Quella maestria nelle scene corali
In Ti ricordi di Dolly Bell? c’è tutto il cinema di Kusturica. C’è la musica onnipresente e portante: «Fellini diceva che c’è più assonanza tra il cinema e la musica che tra il cinema e la letteratura» dice il regista. C’è l’ironia. C’è la sua grande maestria nella costruzione delle scene corali. Guardate il pranzo in cui la famiglia è da un amico: mentre in primo piano il padrone di casa canta una canzone così triste che fa il giro e diventa comica, sullo sfondo i due figli maggiori della famiglia ospite si picchiano mentre il figlio più piccolo fa avanti e indietro con una bicicletta troppo grande per lui. E che ritorna nella scena seguente con esiti esilaranti. Kusturica già allora era il miglior regista nel dirigere gli animali in scena. Non siamo ancora ai livelli di Gatto nero, gatto bianco, ma qui in scena ci sono un coniglio e diversi piccioni.
La sessualità, Freud e Fellini
Ti ricordi di Dolly Bell? è un film sociale e politico, ma è soprattutto un romanzo di formazione. Kusturica segue il suo giovane protagonista con tanta tenerezza. Guardate quando si veste da “adulto” per incontrare il suo amore. E mette nelle scarpe del fratello maggiore della carta da giornale perché sono troppo grandi. O quando riprende la sua storia d’amore da dove era stata interrotta, versando dell’acqua sulla testa della sua amata. «Quello che ho preso da Fellini, più che la sessualità, che era un aspetto molto forte, è però la malinconia» commenta.
I Sex Pistols, i Clash, Maradona: poi il nulla
Kusturica deve molto ai suoi maestri. «Ho vissuto Fellini, Antonioni, Bergman, Bob Fosse» racconta. È stato il periodo del cinema d’autore». «È stato lo stesso con il rock’n’roll e il calcio» continua. «Ci sono stati i Sex Pistols, Joe Strummer e i Clash, e Maradona, che è stato uno degli ultimi calciatori a parlare di politica e giustizia. Dopo è arrivata la superficialità totale. Nessun autore è riuscito a dare un senso alle cose. Forse nella letteratura ci si prova ancora». «In Italia avete 3, 4 giovani autori, che rappresentano quello che abbiamo appena detto, una new wave del cinema italiano. All’epoca erano molti di più». «George Clooney Dio dell’espresso è una battuta per dire come abbiamo perso la battaglia per la cultura» continua. «Non sto dicendo che non abbia interpretato ruoli importanti in bei film, ma rappresenta il momento in cui il cinema si è allontanato dalla cultura ed è diventato commercio. Il linguaggio del cinema sta cambiando. Non puoi far ridere al cinema quanto riesce a farlo YouTube. A meno che tu non voglia usare il linguaggio della pubblicità. O fai cinema d’autore, che in questa corsa non può certo vincere».






