
FEMTECH. QUANDO LA CURA DELLE DONNE È IN MANO ALLE DONNE (E ALLA TECNOLOGIA)
Tech4Fem è il primo network italiano dedicato al FemTech, alla salute e al benessere delle donne, una delle esperienze nel nostro Paese in cui sono le donne a prendersi cura delle donne. La fondatrice Valeria Leuti: «Il benessere al femminile è una questione sociale, economica e di salute pubblica»
20 Luglio 2025
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È il primo network italiano dedicato al FemTech (aziende che si occupano della salute femminile attraverso l’uso di tecnologie), alla salute e al benessere delle donne. È Tech4Fem, associazione non profit che ha l’obiettivo di promuovere la salute delle donne attraverso i dati e l’innovazione. «Grazie a questa nuova realtà stiamo lentamente passando dalla poca visibilità del FemTech in Italia ad una presenza ben visibile e rappresentativa del potenziale innovativo del nostro Paese quando parliamo di salute», dice Valeria Leuti, fondatrice e presidente di Tech4Fem.
80 realtà in Italia, in crescita
«La prima indagine dell’Osservatorio FemTech sta già raccontando una storia molto interessante: in Italia il FemTech cresce esponenzialmente anno dopo anno, con un picco dal 2023 ad oggi. Indice di un fermento e di un potenziale dei quali abbiamo visto solo l’inizio. Ad occuparsi della salute delle donne sono soprattutto le donne, presenti in quasi l’80% delle realtà nate in questi anni. Numeri assolutamente in linea con quelli internazionali», afferma Leuti. Secondo i primi dati raccolti dall’Osservatorio FemTech, sono circa 80 le realtà FemTech mappate in Italia, di queste il 44% sono nate dal 2023 ad oggi, il 58% sono startup, il 15% sono società benefit. Salute mestruale, benessere generale e gravidanza-maternità sono i segmenti con più realtà Femtech, mentre violenza di genere, salute mentale e menopausa sono i segmenti più attenzionati. Il 40% delle realtà femtech non ha mai fatto fundraising, una su due ha avuto difficoltà da moderate ad alte con la censura online e i pregiudizi.

Innovazione e tecnologie per aiutare le altre donne
Un dato interessante è che circa un terzo delle realtà FemTech in Italia è fondata da una sola persona, quasi sempre una donna. «C’è la forte urgenza per molte donne di trasformare il proprio vissuto personale in una missione di aiuto e sostegno ad altre donne, sfruttando innovazione e tecnologie. Per me poter aiutare questo settore a crescere è un onore e un impegno che ho preso con passione e rispetto. C’è ancora tantissimo da fare, ma la community ora esiste ed è connessa a livello globale con tutto il FemTech», continua Leuti. «Sarà bellissimo scoprire insieme cosa potremo fare per le donne nei prossimi anni. Il benessere delle donne è una questione sociale, economica e di salute pubblica». Il report completo dell’Osservatorio FemTech verrà presentato in occasione della Rome Future Week (15-21 settembre 2025).
Dare alla violenza di genere una valenza sanitaria
«Epi_we, Epigenetics for WomEn, è un progetto multicentrico per la prevenzione di precisione, iniziato un anno e mezzo fa», spiega, in un’intervista rilasciata a Reti Solidali, Simona Gaudi, coordinatrice di epi_we, ricercatrice del Dipartimento Ambiente e Salute dell’Istituto Superiore di Sanità. «È importante studiare gli effetti a breve e a lungo termine che la violenza di genere può causare anche a livello del nostro genoma. Per poter fare questo, abbiamo istituito un questionario che indagasse anche le condizioni psicologiche della persona, e un prelievo di sangue per vedere le modificazioni epigenetiche a livello del genoma completo», continua Gaudi. «Questa è una fase successiva ad un primo studio pilota che aveva evidenziato, nelle donne che avevano subito violenza, l’ipermetilazione di tre geni coinvolti nel disturbo da stress post-traumatico. La violenza può influenzare il corretto funzionamento del genoma, quindi la corretta espressione dei geni».
Nella seconda fase dello studio «ci siamo prefissati di raccogliere campioni in cinque regioni: Liguria, Lombardia, Lazio, Campania e Puglia. Ma è solo l’inizio. Speriamo di avere la possibilità, negli ospedali, nelle Asl, magari in futuro anche in farmacia, di associare i dati del questionario (che prevede il contesto della violenza, il rischio di recidiva, il rischio di avere il disturbo da stress post-traumatico e la depressione) ai dati biologici. È una piccola rivoluzione. Noi vogliamo cercare di identificare dei mark molecolari (in questo caso le metilazioni) che siano predittivi, quindi applicare una prevenzione di precisione, nell’insorgenza di patologie croniche nel lungo periodo. La cosa importante è dare alla violenza una valenza non solo sociale, ma sanitaria. Subire violenza vuol dire inficiare la qualità della vita e l’aspettativa di vita in salute di una donna, e non solo», prosegue Gaudi. Il progetto dovrebbe durare un altro anno, «speriamo che venga rinnovato. È importante perché durante questi due anni e mezzo si istituisce la compilazione di un questionario elettronico con la centralizzazione dei dati all’Iss. Non esistono più schede certificate, i dati elettronici sono conservati in sicurezza in tempo reale nel cloud dell’Istituto superiore di sanità».
“Procreazione medicalmente assistita per tutte”
«Oggi, in Italia, molte donne singole che vogliono diventare madri si trovano davanti a una legge che glielo impedisce: la legge 40 del 2004. Che vieta a persone singole e a coppie dello stesso sesso di accedere alla procreazione medicalmente assistita», dice Francesca Re, avvocata e coordinatrice di PMA per tutte, una campagna di informazione e sensibilizzazione dell’associazione Luca Coscioni sul tema, con l’obiettivo di chiedere la cancellazione di questo divieto discriminatorio e garantire l’accesso alla fecondazione assistita a tutte le persone, indipendentemente dal loro stato civile. Questo divieto spinge molte donne ad andare all’estero per accedere alla fecondazione assistita, rendendo di fatto questo percorso accessibile solo a chi ha le risorse economiche necessarie, creando un’ulteriore discriminazione sociale. «Siamo in attesa della sentenza della Corte costituzionale, in merito al caso di Evita, donna single di Torino che vorrebbe diventare mamma, che aveva chiesto di accedere alle tecniche per la procreazione medicalmente assistita in un centro in Toscana, ma si è vista respingere la sua richiesta, perché la legge in vigore glielo vieta».

L’arte in aiuto della malattia
Sono molte le donne che si impegnano per la salute femminile in vari ambiti. «Il mio progetto con Victoria’s cells è aiutare le persone attraverso l’arte, portare il benessere personale per superare il pathos che la malattia porta con sé per definizione e capire che, anche queste immagini, così brutte non sono», dice a Reti Solidali la citopatologa Vittoria Lombardo. «Ho imparato negli anni ad individuare delle sagome, degli elementi comuni con i quali le cellule si alleano creando un particolare inno visivo alla prevenzione. Quando intravedo una sagoma decido se è un animale, un oggetto, un monumento e associo l’immagine che evoca. Si crea così un connubio tra la cellula e la sua “controfigura”. Ad un fibroadenoma (tumore benigno) mammario, ho associato l’immagine di una Lambretta, che ci assomigliava molto. È un modo per sdrammatizzare, per rendere bello ciò che bello non è, di farci amicizia, di venirne a compromessi, se necessario. Purtroppo la malattia c’è, però bisogna affrontarla nel giusto modo», continua Lombardo. «Ho iniziato tanti anni fa, quando ancora non esistevano le macchine fotografiche al microscopio. Durante il lockdown, ho trovato un’agenda con i codici di tanti vecchi vetrini che avevo segnato ma che non avevo potuto fotografare. Il mio lavoro nasce nel 2018, quando abbiamo cercato di fondare uno screening per le donne, in Uganda, a Campala, dove l’85% soffre di malattie sessualmente trasmesse. Facevo delle lezioni a distanza, mandavo loro queste immagini e loro capivano quale fosse il vetrino in cui si poteva riscontrare una formazione tumorale o meno. Ora il mio lavoro è dedicato alla prevenzione e alla cura contro l’Hpv, basterebbe rendere obbligatorio il vaccino per debellare il cancro al collo dell’utero».
In copertina immagine di Vonecia Carswell su Unsplash
