DA FLUMEN 2024. ESSERE OBIETTORE DI COSCIENZA IN PALESTINA E ISRAELE
A Flumen 2024, conclusosi ieri al Teatro del Lido di Ostia, si è parlato di guerra e di obiezione di coscienza, ascoltando le storie di alcuni giovani che, in Palestina e Israele, si stanno mobilitando per la pace
30 Giugno 2024
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«Prima di fare del bene cerchiamo almeno di non fare del male». Sono le parole del Mahatma Gandhi. E le ha citate ieri Mao Valpiana, presidente del Movimento Nonviolento, in occasione della prima giornata di Flumen, il Festival dell’ecologia, della non violenza e delle migrazioni, organizzato da Associazione Io Noi, Biblioteca per la Nonviolenza e Movimento Nonviolento, in collaborazione con CSV Lazio e con il patrocinio del Municipio Roma 10 al Teatro del Lido di Ostia. L’occasione è stato il panel Contro tutte le guerre e la crisi climatica. Si è parlato di guerra, clima, e obiezione di coscienza, ascoltando, in collegamento, le storie di alcuni giovani che, in Palestina e Israele, si stanno mobilitando coraggiosamente per la pace, anche attraverso l’obiezione di coscienza. Mao (Massimo) Valpiana, Presidente nazionale del Movimento Nonviolento, ha parlato della campagna di obiezione alla guerra che è partita già dall’inizio del conflitto in Ucraina e, a maggior ragione, continua dopo l’aggressione di Gaza. «L’idea è presa da Tolstoj» spiega Valpiana. «Davanti a una guerra, a violenza, odio, uccisione la prima cosa da fare è astenersi. Ci si oppone alla guerra non facendo la guerra. Questa cosa non è mai avvenuta su larga scala. Le guerre avvengono perché c’è un immenso meccanismo economico, sociale e culturale che prepara la guerra che poi si realizza ognuno di noi fa parte di questo meccanismo la non violenza ci chiede di sottrarci. Stiamo sostenendo i giovani che in Russia, Ucraina, Israele, Palestina fanno questa scelta. Non è solo una scelta di non violenza, ma una scelta che può dare vita a un movimento».
Russia e Ucraina: i ragazzi scappano perché non vogliono combattere
Secondo Mao Valpiana non si tratta solo solidarietà verso chi fa questa scelta, ma di un’assunzione di responsabilità per tutti noi. «Le guerre che avvengono ai confini dell’Europa ci hanno coinvolto indirettamente» spiega. «Si parla di riprendere la coscrizione obbligatoria. Il capo di stato maggiore italiano ha detto che l’esercito ha bisogno di più tecnologia, cioè più soldi, e più uomini. Si parla di un allargamento della base della popolazione che può combattere, della ripresa del servizio militare di leva, che in Italia è sospeso e non abolito. In tutta Europa si dice che c’è bisogno delle truppe. In Russia e Ucraina hanno bisogno delle truppe: ma i ragazzi si oppongono, scappano perché non vogliono combattere. Non sono ancora obiettori di coscienza, ma sono renitenti alla leva: è il loro modo di non andare in guerra, il loro modo di contribuire alla pace». «La nostra campagna propone una dichiarazione formale di obiezione di coscienza» continua. «Tutti possiamo dichiararci obiettori di coscienza alla guerra. E questo modulo lo inviamo ai decisori politici. Possiamo sottoscrivere un modulo in cui diciamo: mi dichiaro obiettore di coscienza, pacifista, non violento; non voglio partecipare in nessun modo all’organizzazione della guerra».
La storia di Aneera e di Community Peacemaker Team Palestine
Incontrare, anche se in collegamento, i ragazzi che si sono mobilitati in Israele e Palestina, è stato molto emozionante. Aneera, di Hebron, in Palestina, fa parte del gruppo CPT, Community Peacemaker Team Palestine. È un’attivista per i diritti umani e per la pace che si è unita al gruppo CPT dal 2020. La situazione non era tranquilla prima del 7 ottobre, dopo quella data è andata peggiorando. Nella sua zona ci sono due aree: una formalmente sotto l’autorità palestinese, l’altra occupata da quella israeliana. La zona palestinese è circondata da checkpoint e i militari cercano di far spostare più persone possibile verso l’altra area. I volontari di CPT fanno un accompagnamento non violento per i bambini che vanno a scuola, anche se alcune scuole sono chiuse da otto mesi per mancanza di insegnanti. Cercano di stare accanto alla comunità per mantenere attive quelle connessioni che riescono a non radicalizzare gli abitanti della Palestina. In questo mesi hanno realizzato Light, un docu-film che racconta le storie di donne e uomini palestinesi: è una storia di sopravvivenza, di lotta e impegno, resilienza rispetto alle violazioni di diritti umani. E di quelle donne che hanno un’ulteriore lotta da fare.
Yona, Noa e Mesarvot
Abbiano ascoltato anche le storie di Yona e Noa, altri due ragazzi giovanissimi, e di Mesarvot, l’associazione degli obiettori di coscienza alla leva in Israele. Israele è oggi uno dei paesi più militarizzati al mondo, in cui ragazzi e ragazze vengono chiamati regolarmente al servizio militare di leva, che è una sorta di rito di iniziazione. Dal 7 ottobre in Israele ragazzi e ragazze entrano ed escono di prigione, perché questo è il primo effetto della loro obiezione di coscienza. I ragazzi di Mesarvot, con la loro piattaforma, danno supporto legale agli obiettori e li connettono. Noa ha 17 anni e ha dovuto fare questa scelta di obiezione alla guerra, dato il grande militarismo del suo Paese, dove già il solo fatto di non partecipare ad azioni militari ti mette a rischio. Ma per lei, come per tanti altri, è un rischio che merita di essere corso. Questo è il momento di dimostrare con azioni che è possibile agire in un altro modo. Sofia è stata la prima diciottenne a entrare in carcere per la sua scelta dopo il 7 ottobre: ora è fuori ma ci dovrà tornare. Altri ragazzi sono in carcere, tanti dovranno tornarci. La situazione è questa.
Non sono traditori: sono obiettori, ma non transfughi
«Questi ragazzi rappresentano la punta più avanzata del movimento pacifista internazionale» commenta Mao Valpiana. «Stanno vivendo la guerra sulla loro pelle. E sono doppiamente vittime: vittime della guerra e dei loro governi che reprimono l’obiezione di coscienza. Nei paesi in guerra l’obiezione viene vista come tradimento. Non sono traditori, sono obiettori, ma non transfughi: loro amano la loro patria, la loro comunità. Ma vogliono segnare una via diversa a quella suicida intrapresa dai loro governi».
La guerra sporca, e ferisce la Terra
Ma la guerra fa anche male al nostro pianeta. Natalie Sclippa, giornalista de Lavialibera, si è occupata di questo tema in un reportage, “La guerra sporca”, in cui spiega come le guerre peggiorino gli effetti del cambiamento climatico. «Il 5% delle emissioni di CO2 globali sono date dagli eserciti, dallo spostamento dei mezzi armati, dalle armi e dalle bombe» spiega la giornalista. «Questo durante la guerra. Ma poi c’è tutto quello che rimane sotto terra, oltre al dolore umano. C’è la ferita della Terra. Anche questo ci riguarda e rifletterci può essere un modo per disarmare gli animi». Disarmare gli animi è un fatto culturale. Si tratta di trovare uno spazio per parlare di pace oggi che la militarizzazione è dappertutto. «La militarizzazione è presente anche a scuola» spiega Natalie Sclippa. «L’esercito sta riempiendo quei vuoti educativi esistenti e fa in modo che i ragazzi non solo abbiano un senso di appartenenza allo Stato, ma prova a instillare già il senso della violenza, del combattimento in loro. La militarizzazione della cultura esiste. Stiamo lavorando per far capire che un altro modo di fare scuola, educazione, di far crescere una nazione è possibile. Demilitarizzare il linguaggio è una delle cose che possiamo fare tutti insieme».