RIFLESSIONI SUL FONDO DESTINATO DAL CODICE DEL TERZO SETTORE A SOSTENERE LO SVOLGIMENTO DI ATTIVITÀ DI INTERESSE GENERALE

Tesi. Le risorse, nate per “sostenere” iniziative e progetti promossi da ODV, APS e Fondazioni del Terzo Settore, sono progressivamente diventate risorse per sostenere attività definite dalla Pubblica Amministrazione. In questo percorso gli enti di Terzo Settore rischiano di diventare esecutori di attività e progetti non promossi da loro.

di Mario German De Luca

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Argomentazioni

Tutto inizia con l’articolo 72 del Codice del Terzo Settore che, al comma 1, esplicita che:

Il Fondo è destinato a sostenere lo svolgimento di attività di interesse generale di cui all’articolo 5, costituenti oggetto di iniziative e progetti promossi da organizzazioni di volontariato, associazioni di promozione sociale e fondazioni del Terzo settore, iscritti nel Registro Unico Nazionale del Terzo Settore.

Questo primo comma sembra sostenere l’attivazione di un sostegno non condizionato alle attività di interesse generale previste negli statuti delle organizzazioni: in pratica non ti dico cosa fare, ma finanzio le tue attività proprio perché sono di interesse per la collettività.

Al comma 3, però, viene introdotto un atto di indirizzo del Ministero per determinare: gli obiettivi generali, le aree prioritarie di intervento e le linee di attività finanziabili.

Il comma 3 appare come una prima regolazione. Non più tutte le attività di interesse generale hanno lo stesso peso e valore, ma solo quelle che il Ministero definirà come rientranti negli obiettivi generali, nelle priorità e nelle attività da esso stesso definite.

Negli anni gli Atti di Indirizzo sono stati abbastanza rispettosi della centralità di tutte le attività di interesse generale e l’introduzione di una divisione del Fondo in due filoni, a parte qualche eccesso per il Fondo Nazionale, non ha compromesso la sostanza del comma 1 dell’art. 72.

In pratica gli Atti di Indirizzo hanno assegnato una parte del Fondo a programmi nazionali ed un’altra parte a programmi su base territoriale, affidando le risorse territoriali alle Regioni. Negli ultimi anni è stato inserito il riferimento a numerosi obiettivi dell’Agenda 2030 che non hanno compromesso anzi hanno rilanciato, anche se non tutte, le attività di interesse generale definite nel Codice del Terzo Settore.

A questo punto, sia il Fondo Nazionale che i Fondi Regionali sono stati trattati, però, come risorse da mettere a bando competitivo tra gli enti di Terzo Settore al fine di selezionare i progetti che meglio corrispondevano ad alcune delle indicazioni degli atti di indirizzo ministeriali. Questa appare un’interpretazione estensiva e, si potrebbe dire, impropria del comma 4 dell’art. 72.

Il comma quattro, infatti, prescrive che occorre individuare i soggetti attuatori degli interventi finanziabili attraverso le risorse del Fondo, mediante procedure poste in essere nel rispetto dei principi della Legge 7 agosto 1990, n. 241.

I principi definiti da questa legge, però, non impongono procedure selettive e competitive.

L’art. 1 – Principi generali dell’attività amministrativa – prescrive, infatti, che l’azione amministrativa sia retta da criteri di ECONOMICITÀ, DI EFFICIENZA, DI IMPARZIALITÀ, DI PUBBLICITÀ E DI TRASPARENZA. I summenzionati principi – ed anche il riferimento ai principi dell’ordinamento comunitario – rappresentano regole generali della buona amministrazione e non una indicazione su obbligo di procedure competitive. Tutto questo nonostante che nell’atto di indirizzo 2025 si ribadisca il principio delle sussidiarietà e della leale collaborazione al fine di promuovere, tra l’altro, il “coinvolgimento attivo” degli enti di Terzo Settore, previsto dall’art. 55 del Codice.

Si potrebbe dedurre che, in questo caso, il comportamento delle pubbliche amministrazioni, implementando alcuni articoli del Codice del Terzo Settore, come la destinazione e le modalità di erogazione del Fondo, abbia completamente ignorato altri articoli del Codice stesso che definiscono le modalità di coinvolgimento attivo degli enti di Terzo Settore.

In particolare l’art. 55 prevede che le P.A. nell’esercizio delle proprie funzioni di programmazione e organizzazione a livello territoriale degli interventi e dei servizi nei settori di attività di cui all’art. 5, assicurino il coinvolgimento attivo degli enti di Terzo Settore, attraverso forme di co- programmazione e co-progettazione e accreditamento, poste in essere nel rispetto dei principi della legge 7 agosto 1990, n. 241

La progressiva riduzione delle attività ammissibili a finanziamento è stata accompagnata anche da un aumento degli importi minimi da richiedere.

In pratica, se si devono presentare proposte nazionali per un minimo di 250.000 euro e proposte territoriali per 50.000 euro, di fatto, si preclude l’accesso ai contributi a una stragrande maggioranza di ODV ed APS anche in aggregazione. La circostanza è ancora più preoccupante visto che il Fondo è destinato prevalentemente a ODV e APS per sostenere le loro attività di interesse generale. Questa oggettiva torsione potrebbe essere stata generata dalla non completa comprensione che questo Fondo non è destinato a scelte definite dalla Pubblica Amministrazione per affrontare specifiche questioni. Le specifiche questioni, come ad esempio, interventi sociali, sull’inclusione o sulla povertà sono politiche pubbliche che vanno altrimenti finanziate e garantite.

Questa propensione si nota anche nella nostra regione, che sin dalle prime annualità ha indicato come finanziamento minimo da richiedere un importo di € 50.000 e che nel corso del tempo ha gradualmente definito e ristretto i temi e le azioni finanziabili per risponde a bisogni generali individuati (ovviamente spesso reali e drammatiche esigenze).

L’ultima Delibera ha accentuato questa tendenza agendo su tre fronti. Ha eliminato la precedente suddivisione delle risorse per tutti i territori della Regione. Ha innalzato il minimo richiedibile a 150.000 euro ed ha scelto di accettare richieste esclusivamente a progetti che si focalizzano sull’applicazione dell’Intelligenza Artificiale (IA) a sostegno dell’inclusione sociale, in particolare, di persone fragili, a rischio di povertà, isolamento o molto distanti dal mercato del lavoro”.

Anche se questa scelta è prevista dall’Atto di indirizzo nell’area prioritaria: “intervento dell’intelligenza artificiale”, non può certo trasformarsi in una scelta unica e cosi settoriale.

In merito al criterio economico, alla luce della natura delle Associazioni del Lazio e della media dei loro rendiconti si può certamente ipotizzare che la stragrande maggioranza di esse, che avrebbe maggior bisogno di supporto e sostegno, non potrà neanche accedere alla selezione.

Infine, anche l’eventuale costruzione di partenariati di molte associazioni, che è sempre una strada percorribile, potrebbe non essere sufficiente a rispondere ai criteri definiti nell’Avviso.

Queste ultime considerazioni sono ancor più cogenti alla luce delle esigenze ribadite a pagina 8 Atto di Indirizzo 2025:

“… Dall’altro si ribadisce la necessità di sostenere la capacità anche degli enti di dimensioni più ridotte, ma particolarmente radicati sui territori di riferimento, di operare in un contesto di prossimità, implementando le attività di interesse generale al fine di assicurare un soddisfacimento mirato dei bisogni emergenti locali…”.

Tutto ciò è legittimo sul piano amministrativo? Certamente sì, anche conoscendo lo scrupolo dei dirigenti e funzionari regionali. Ma è una scelta che esclude.

Si potrebbe dire che essa sia legittimamente politica, ma anche legittimamente confutabile e da discutere nella sua efficacia.

In conclusione

Questo percorso corre il rischio progressivo di smentire l’art. 72 comma 1 del Codice del Terzo Settore che prescrive: “Il Fondo è destinato a sostenere lo svolgimento di attività di interesse generale di cui all’articolo 5, costituenti oggetto di iniziative e progetti promossi da organizzazioni di volontariato, associazioni di promozione sociale e fondazioni del Terzo Settore, iscritti nel Registro Unico Nazionale del Terzo settore

Sembra che, con le risorse destinate prevalentemente alle autonome attività di ODV ed APS nel loro ruolo costituzionale sussidiario e non sostitutivo, le P.A. destinino queste risorse a proprie esigenze che dovrebbero affrontare con altre risorse.

Un’ultima considerazione per il futuro

Si sente sempre di più l’assenza di una legge regionale sul terzo settore, che con la previsione di un Consiglio Regionale del Terzo Settore, avrebbe aiutato l’interlocuzione con un organismo di partecipazione e rappresentanza con cui discutere le scelte da fare per la programmazione delle risorse destinate dal CTS ad ODV ed APS.  La possibilità di inserire nella legge anche la Conferenza Regionale e le Conferenze Territoriali di ODV ed APS, come proposto negli anni passati dalla Conferenza Regionale del Volontariato, avrebbe potuto avviare un percorso di co-programmazione territoriale diffuso direttamente con i soggetti coinvolti.

Per questo sarà utile sviluppare un confronto con gli orientamenti della Regione Lazio ed interloquire con l’Assessore alle Politiche Sociali che ha manifestato interesse alla definizione di una legge regionale del Terzo Settore.

 

 

 

 

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