LA GUERRA DEI LIKE: VITTIME DI BULLISMO, CHIEDETE AIUTO

Il libro di Alessia Cruciani affronta il bullismo parlando ai ragazzi, con una storia coinvolgente che diventa nelle scuole strumento di prevenzione

Cristiana Saitta fa la terza media. Ama la cucina e la danza, e sogna la Scuola di Ballo della Scala. Ruggero Rettagono frequenta un’altra sezione della stessa scuola. È minuto, è il più basso della classe ed è il più bravo. Per la Divina Faina e il suo gruppetto di Adulatrici Cospiratrici dai lunghi capelli e i vestiti firmati, Cristiana ha la colpa di piacere al ragazzo più bello della scuola. E per questo va punita. Da allora diventa “Saittastaizitta”, quella con più pancia che seno. Per GTA e la gang dei Fulminati Spettinati Ruggero è troppo intelligente e piace troppo ai professori: così lo trasformano in “Ruggero Gattonero”, il portasfiga della scuola. Per Cri e Rug la scuola si trasforma in un inferno e ogni notifica sul telefonino in un incubo.

 

la guerra dei like cruciani
Alessia Cruciani

Sono le storie di un libro, ma potrebbero essere quelle di un qualunque ragazzino di oggi. Alessia Cruciani, giornalista sportiva (La Gazzetta dello Sport e SportWeek) le racconta in un romanzo, La guerra dei like (Edizioni PIEMME), che prende di petto il problema del bullismo (e quello, strettamente legato, della popolarità sui social) parlando direttamente ai ragazzi, con un linguaggio accattivante e una storia evocativa e coinvolgente. Ha cominciato a interessarsi al problema colpita dai fatti di cronaca e, da madre, ha pensato di parlare con i ragazzi. Per dire loro che una via d’uscita c’è sempre. Il dialogo, iniziato con il libro, è continuato con una serie di incontri nelle scuole dove i ragazzi hanno provato a raccontarsi, e le storie del libro si sono incrociate con quelle vere, così simili.

 

La guerra dei like è pensato per parlare direttamente ai ragazzi…
Io mi occupo di argomenti che nulla hanno a che fare col bullismo, perché gli atleti sono fenomeni già in tenera età. Sono rimasta sconcertata facendo il confronto tra ragazzi molto giovani di successo e coetanei che potrebbero avere le stesse opportunità e si trovano a scegliere il suicidio perché pensano che nella vita non ci siano alternative, convinti di essere loro quelli sbagliati. Una cosa del genere mi sconvolge anche da madre.
Allora ho pensato di scrivere un racconto che parlasse proprio a loro, che facesse capire loro che ci sono delle vie d’uscita. È stata una mia idea, nasce dalla lettura dei fatti di cronaca sui giornali. Ora sto girando per le scuole, ricevo inviti perché alcuni docenti hanno apprezzato il libro, alcuni genitori e ragazzi lo hanno letto, spesso insieme, e hanno avuto modo di parlarne.

 

Come è riuscita a entrare così bene nel mondo delicato della preadolescenza?
Avevo in mente di fare qualcosa sul bullismo. E ho incontrato un professore di Lecce, Daniele Manni, che ha creato il movimento anti bullismo MaBasta, insieme agli studenti del liceo Galilei-Costa. È un professore molto particolare, quello che ogni studente vorrebbe avere, e mi ha detto che se volevo fare una cosa del genere dovevo rivolgermi alle scuole medie perché poi è troppo tardi, i ragazzi sono già formati. Si sa che gli idoli dei ragazzi sono gli youtuber, sono tanti i fenomeni che vengono da quel mondo lì.
Ho sempre pensato che se una cosa te la dice tua madre o te la dice un personaggio che adori non è lo stesso. “Attento a non scrivere cose che ti potrebbero mettere nei guai”, se te lo dice Cristiano Ronaldo ha un altro potere. Per questo ho chiesto l’aiuto di uno youtuber, bravo e capace di parlare ai ragazzi. Poi ho parlato con molti di loro, ho visto i telefonini di amici di amici, per vedere come scrivono. Mi ha sconvolto soprattutto la naturalezza con cui mostravano i loro telefoni: scrivevano insulti ma per loro era così normale che nel fatto che l’amica della mamma leggesse quello che scrivevano non vedevano nulla di male. Al di fuori del mondo social, poi, questi ragazzi sono normalissimi.

 

 

Il bullismo c’è sempre stato. Ma i social media hanno cambiato le cose?
Il bullismo c’è dalla preistoria, ma avveniva in determinati contesti: se un bullo ti prendeva di mira la persecuzione avveniva a scuola e a casa eri tranquillo, vicino a i tuoi genitori. Con i social non c’è orario, i limiti non sono fisici: arrivano al cuore, è l’animo che si riempie di ferite, a volte davvero incurabili. Un genitore vede il figlio al computer, tranquillo, a casa, e magari sta subendo una violenza psicologica tremenda: non serve una gang ma basta una persona in forma anonima che ti ricatta. Ma il problema non è solo il bullismo, è questa dipendenza dai like, dalla popolarità: prima uno poteva dire “meglio questa, meglio quell’altra”, oggi davanti agli occhi di tutti ci sono classifiche, il numero dei follower che hanno i ragazzi, se ne hai pochi sei uno sfigato. Ragazzi e ragazze fanno di tutto per aumentare la propria popolarità, rischiando di esagerare: a volte mettendo a rischio la propria incolumità, soprattutto per i maschi, magari postando foto troppo sexy per la loro età, soprattutto per le femmine, e finendo vittima di ricatti.

 

Qual è il ruolo degli adulti?
È fondamentale nel trasmettere ai ragazzi questo messaggio, che ho voluto fosse quello del libro: se siete in difficoltà chiedete aiuto; il genitore o docente ti rimprovera ma non ti ammazza, non ti toglie il telefonino. Si arrabbia, ma dopo l’arrabbiatura arriva l’aiuto.
E l’aiuto di un adulto è utile.  Genitori e docenti devono avvisare ed essere informati dei rischi che questa autonomia in rete offre ai ragazzi. Devono metterli in guardia dai rischi che corrono, e anche dei reati che possono commettere, perché offendere un compagno, organizzare una chat contro di lui, è diffamazione; ma poi devono rassicurarli e spiegare che in caso di difficoltà loro ci sono. Il senso è questo: intervenire, reagire è una prova di coraggio, subire in silenzio è sbagliato. Ma ci vuole una grandissima dose di fortuna: si sono tolti la vita ragazzi belli, simpatici, bravi a scuola, il figlio modello che tutti vorrebbero avere, e non ti rendi conto che dentro sta vivendo un inferno, e lo scopri solo dopo che si è ammazzato. La foto rubata, ragazzi che non hanno coraggio di parlare e nascondono tutto alle famiglie per la vergogna, e tu genitore come fai a capirlo? È difficile anche interpretarlo dai sintomi di malessere fisico, perché si confondono con altro: vedi un mal di testa o un mal di pancia, e pensi che ha dormito poco, o mangiato male.

 

la guerra dei like

Sta girando le scuole insieme al libro. Quali sono state le reazioni dei ragazzi?
La risposta per me è veramente soddisfacente: si vede che l’argomento è loro, tutti temono di essere vittime di cyberbullismo. Ogni volta che incontro i ragazzi i docenti mi dicono che non sono mai stati così attenti. Faccio molti esempi, li rassicuro spiegando che, se a volte personaggi che hanno tanti like probabilmente se li meritano, per altri è meglio non scoprire perché. Faccio sempre il confronto tra un video di Roberto Bolle e quello di una ragazza tutta rifatta che ha preso più like di lui, e capisci che nessuno vorrebbe scambiarsi con lei. La popolarità non sempre corrisponde al merito. Quello che succede dopo un po’ è che i ragazzi cominciano ad aprirsi: il mio obiettivo è far capire loro che qualunque sia il problema la soluzione c’è. E allora alzano la mano e cominciano a raccontarsi. O a chiedere che faresti in quella situazione. È emozionante. Lo è soprattutto quanto ti scrivono le insegnanti e ti dicono che dopo l’incontro molti ragazzi si sono aperti: non solo vittime del bullismo, ma anche bulli che dicono “ho un problema, non ne posso più di fare il bullo”.

 

Qual è il lavoro di prevenzione che fanno scuole e istituzioni?
Nelle scuole fanno mille cose, la legge prevede che ci sia un referente per il bullismo, ma tutti i presidi prendono iniziative, soprattutto incontri con la Polizia Postale. L’anno prossimo, a Torino e Roma, dal libro saranno tratte delle rappresentazioni teatrali: come nel metodo Stanislavskij entrare nella parte del bullo o della vittima porterà i ragazzi a vivere quella realtà e poi a discuterne e provare a risolverlo.

 

C’è qualche storia che l’ha colpita incontrando i ragazzi?
Una ragazza di 14 anni mi ha detto che i genitori, una volta venuti a conoscenza dell’inferno che aveva vissuto, non solo hanno cambiato scuola, ma sono andati a vivere da un’altra parte. Non volevano che ripassasse da quelle strade, che rivedesse zone che le riportassero alla mente delle esperienze così dolorose. Mi ha colpito vedere con quanto dolore vivesse questa cosa: dolore nei confronti dei genitori che hanno dovuto fare questo sacrificio piuttosto che farle respirare quell’aria che potesse riportarle alla mente quei momenti. Un altro caso è quello del bullo che ha chiesto aiuto: il padre è alcolista e lo picchiava. E sono intervenuti i servizi sociali, che stanno aiutando il ragazzo e suo padre a risolvere i loro problemi.

 

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la guerra dei likeAlessia Cruciani
La guerra dei like
Edizioni PIEMME, 2018
pp. 240, € 15,00

 

 

 

 

 

 

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