GAZA, TRA LA PAUSA UMANITARIA E L’OCCUPAZIONE DEFINITIVA

Israele ha aperto agli aiuti, ma dal 28 luglio sono entrati solo 674 camion, mentre è di ieri l’ipotesi di un’occupazione definitiva. Intanto cresce il numero delle vittime della carestia forzata. Con ActionAid e CISS, tra le 109 Ong firmatarie dell’appello per entrare a Gaza

di Maurizio Ermisino

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È di ieri la notizia che Israele avrebbe deciso di occupare definitivamente Gaza. «Occuperemo la Striscia di Gaza. La decisione è stata presa», ha riferito un funzionario dell’ufficio di Netanyahu a Channel 12. La notizia arriva in una situazione già allo stremo, in cui gli aiuti continuano ad arrivare a stento e a intermittenza e le persone continuano a morire. Qualche giorno fa 109 Ong hanno lanciato un appello per poter entrare nella Striscia di Gaza, dove gli unici aiuti, da oltre due mesi, sono gestiti dalla Gaza Humanitarian Foundation, un meccanismo controllato dal governo israeliano. Domenica 28 luglio Israele ha aperto al passaggio di alcuni camion di aiuti umanitari, ma la mossa, secondo le notizie che arrivano e le Ong con cui abbiamo parlato, è poco più di un’operazione di facciata. Per l’Onu da maggio solo il 10% degli aiuti ha raggiunto i civili palestinesi. E, anche dopo le aperture di questa settimana, è praticamente solo un decimo degli aiuti quello che raggiunge chi ne ha bisogno. Israele starebbe bloccando deliberatamente l’ingresso nella Striscia di oltre 22mila camion delle Nazioni Unite e ad altre organizzazioni umanitarie che trasportano aiuti.

La malnutrizione sta devastando madri e neonati

Con ActionAid e CISS – Cooperazione Internazionale Sud Sud abbiamo provato a capire cosa sta succedendo. «All’ospedale Al-Awda assistevamo circa 200 donne e bambini al giorno, oggi sono più di 2mila. Non riusciamo a far fronte alla situazione. La malnutrizione sta devastando madri e neonati. Registriamo un netto aumento dei parti cesarei, degli aborti spontanei e dei bambini nati sottopeso» ha raccontato una settimana fa il dottor Salha dell’Ospedale Al-Awda, tramite un comunicato di ActionAid. «Non ci sono latte artificiale né alimenti, la situazione non è mai stata così grave. Il nostro personale sopravvive con un solo pasto al giorno. Tre colleghi sono crollati nel pronto soccorso la scorsa settimana a causa della fame, mentre lavoravano senza sosta per assistere i pazienti. Questa è una catastrofe umanitaria».

Gaza: le conseguenze saranno profonde e generazionali

«Gli aiuti limitati che riusciremo forse a consegnare nei prossimi giorni non sono affatto sufficienti rispetto ai bisogni urgenti. Le conseguenze a lungo termine della guerra e della fame, in particolare su donne e bambini, saranno profonde e generazionali», ha invece spiegato Jamil Sawalmeh, Direttore di ActionAid Palestina. «Un maggiore accesso agli aiuti umanitari è certamente positivo, ma sia chiaro: si tratta di misure temporanee». Per Riham Jafari, coordinatrice comunicazione e advocacy di ActionAid Palestina, che abbiamo raggiunto telefonicamente mentre si trovava nel West Bank, «la situazione a Gaza è catastrofica. I camion degli aiuti non superano i 100 ogni giorno. Ma il bisogno reale per Gaza sarebbe di oltre un migliaio. Il passaggio dei camion di soccorso è molto limitato perché alcuni vengono sottoposti a controlli dalle forze israeliane e indirizzati verso luoghi sotto il controllo di Israele. Dei camion che sono passati alcuni non sono riusciti a raggiungere la loro destinazione, alcuni sono stati svuotati. Quelli che sono riusciti a distribuire cibo alla gente affamata e denutrita sono una goccia nel mare».

In otto giorni sono entrati solo 674 camion

Anche Amal Khayal, Gaza area manager di CISS – Cooperazione Internazionale Sud Sud, conferma con i dati quello che le Ong stanno denunciando da giorni.  «Nell’ultima settimana Israele ha indetto una una pausa umanitaria dalle 10 della mattina alle 8 della sera» ci ha spiegato. «E il primo giorno, il 27 luglio, durante questa finta pausa umanitaria, sono entrati 73 camion, qualcosa che non risolve niente. In quel giorno c’è stata una grande propaganda sulla pausa umanitaria. Per tutta la settimana i numeri dei camion entrati sono stati molto limitati: 87 il 28 luglio, 109 il 29, 112 il 30, 104 il 31, 73 il 1° agosto, 36 il 2 e 80 il 3 agosto. In otto giorni sono entrati 674 camion. Quando gli israeliani hanno dichiarato la pausa umanitaria hanno detto che avrebbero fatto entrare ogni settimana 4mila camion, 600 al giorno. Sui convogli c’è qualche medicina, cibo, latte in polvere, e i materiali per trattare l’acqua». Questa modalità è palesemente insufficiente, e pericolosa. «Quando i camion riescono ad entrare, all’autista viene detto di fermarsi in zone specifiche sotto il controllo dell’esercito», spiega Amal Khayal. «Quando vedono un camion pieno di cose da mangiare le persone iniziano a correre nelle strade. La cosa assurda è che solo il 10 per cento degli aiuti è arrivato ai magazzini delle Ong ed è stato distribuito alla gente. Le persone ammazzate dalla carestia forzata fino a oggi sono 182, tra cui 95 bambini».

Gaza Humanitarian Foundation: spari per dire che gli aiuti sono finiti  

Negli ultimi due mesi gli aiuti sono stati gestiti dalla Gaza Humanitarian Foundation, gestita da Israele. «I punti in cui distribuisce gli aiuti sono 4 in tutta la Striscia di Gaza» spiega Amal. «Uno a nord, il secondo in corrispondenza del corridoio di Netzarim, dove c’è l’esercito israeliano. E gli altri due a sud. Tutti i 4 centri sono sotto il controllo dell’esercito. Di questi, il più vicino alla gente è a un chilometro e mezzo. Gli altri, ad esempio quelli al sud, sono a 13 chilometri, in zone completamente rase al suolo. Gaza Humanitarian Foundation mette un post su Facebook in cui scrive che il giorno dopo c’è una distribuzione dalle ore 6. Le persone sfollate, quando leggono questa cosa, iniziano a camminare dalla città di Gaza, per esempio fino a Rafah, per arrivare prima. Se la distribuzione apre alle 6 devono iniziare a camminare prima di mezzanotte. Quando i mercenari israeliani sparano un colpo nell’aria, le persone sanno che possono iniziare a correre per prendere un pacco. All’improvviso iniziano a sparare bombe al gas e al pepper spray, o con proiettili di gomma: così la gente sa che sono finiti i pacchi. Un veterano dell’esercito americano che lavora lì ha confessato che stavano iniziando ad ammazzare la gente, e che erano orgogliosi di quanti ne avevano colpiti, contandoli, ridendo. Fino a oggi quelli di Gaza Humanitarian Foundation hanno ammazzato 1516 persone, e sono quelli che sono arrivati all’ospedale, e ne hanno ferite altre 10.067».

Il ponte aereo è pericoloso e non serve

Nel frattempo alcuni aiuti sono stati trasportati con il cosiddetto “ponte aereo”, lanciando grandi casse di aiuti con il paracadute. «Da tre giorni hanno fatto cadere quasi 30 paracadute» ha spiegato Amal. «Gli aiuti lanciati da due aerei sono circa il carico di un camion. Oggi una persona dell’esercito israeliano ha confessato che il lancio degli aiuti umanitari è solo uno show». Gli aiuti via ponte aereo sono arrivati dalla Giordania, dagli Emirati Arabi ed Egitto e Francia, Spagna e Inghilterra. «Ma se due aerei portano il carico di un camion, non vale la pena di spendere tutti questi soldi per così pochi aiuti» commenta Amal. «C’era già un sistema, che ha funzionato per tutto il genocidio. Gli aiuti umanitari stavano arrivando alla gente con dignità. Con questi paracadute stanno ammazzando la gente, stanno cadendo sopra le loro teste, sopra le loro tende. Da gennaio ad oggi più di 30 persone sono state ammazzate in questo modo.  Gli aiuti, poi, o cadono nelle zone controllate dall’esercito israeliano, o in quelle dei coloni israeliani, o cadono in mare». «Gli air drops non possono essere la soluzione» conferma Riham. «Sono molto pericolosi. L’87% dell’area di Gaza è sotto il controllo militare. Come possono fare le persone a raggiungere queste aree dove cadono gli aiuti?»

Le Ong sono costrette a registrarsi di nuovo

Ma c’è ancora un aspetto inquietante in questa storia. «Israele ha dichiarato che le Ong devono fare una seconda registrazione in cui dichiarano che Israele è una nazione di ebrei e democratica» spiega Amal Khayal. «Eravamo già registrati. Ma hanno cancellato le registrazioni di moltissime organizzazioni e adesso le stanno rivalutando e riapprovando. E questo progetto prende mesi. Fino ad adesso solo 3 Ong dell’Onu e 5 Ong internazionali risultano registrate. Su quale principio hanno cancellato tutte le altre?».

La comunità internazionale ha fallito

Gaza ha bisogno di un cessate il fuoco immediato e permanente. Ma cosa deve ancora succedere perché avvenga? «Che cosa stanno aspettando la comunità internazionale e il mondo occidentale per rompere i rapporti con Israele?» si chiede Amal Khayal. «L’Italia sta continuando a votare contro la rottura delle relazioni e continua a rifornire Israele di armi. Abbiamo già dato la prova che l’Italia è complice». «La comunità internazionale ha fallito. Non è capace di far applicare il diritto internazionale» ribadisce Riham Jifari. «Questa carestia, questa catastrofe che sta accadendo a Gaza è colpa della comunità internazionale, incapace di fare pressione su Israele in nome del diritto internazionale per aprire i valichi e far rispettare le leggi che dicono di risparmiare i civili, le donne e i bambini». «Poco prima di questa intervista», conclude Riham, «una collega mi ha detto che non mangiava da due o tre giorni, che sta tenendo del pane per i suoi bambini, per non far patire loro la fame. Sa che lei e il marito possono soffrire la fame per alcuni giorni in più. Cercano di far durare il pane».

Immagine di copertina gloucester2gaza

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