CI SONO BOCCIOLI CHE CRESCONO NEL FANGO DELLA GUERRA

“Boccioli nel fango” è un libro sulla guerra in Siria e sui bambini dei campi profughi. Scritto sapendo che con le parole si può cambiare il mondo

“Cambiare il mondo, una parola alla volta”. Questo il motto di Maricla Pannocchia, autrice del libro “Boccioli nel fango”, in uscita il 20 marzo, a 11 anni dallo scoppio della guerra in Siria.

«Ho camminato fra le vie fangose di un campo profughi e, nelle prossime pagine, di questo vi racconterò».  Inizia così l’introduzione di “Boccioli nel fango” (in self publishing) di Maricla Pannocchia, autrice impegnata nel sociale. Il libro esce in concomitanza dell’anniversario dell’inizio della guerra in Siria: era il 15 marzo 2011. In questo paese il conflitto ha causato 13,5 milioni di profughi, più della metà della sua popolazione. La scrittrice racconta la sua missione in un campo di profughi siriani in territorio turco, al confine con la Siria, insieme alla Onlus Support and Sustain Children (SSCh), a cui andranno i proventi della vendita del libro.

Chi sono i “boccioli nel fango”?
«Sono i bambini del campo profughi in cui sono stata. Bambini che, non so come, riescono a ridere, giocare, sognare, nonostante tutto quello che gli è stato tolto. Hanno delle tende al posto delle case. Molti di loro non hanno giubbotti, né scarpe o calzini, nonostante il freddo dell’inverno. Una persona si aspetterebbe di incontrare dei bambini provati, tristi, demotivati, ma non è così. Se gli adolescenti affrontano la situazione con più difficoltà, perché si rendono conto che non tutto il mondo vive come loro, i “boccioli” sono proprio quei bambini che, nonostante tutto, ancora sperano, amano e fioriscono fra il fango del campo profughi, seminando semi di coraggio e speranza».

guerra in siria
Maricla Pannocchia durante il suo viaggio in Turchia, in campo profughi al confine con la Siria (foto Paolo Messina)

È difficile, ma puoi raccontarci in breve il viaggio di una settimana che ripercorri nel libro?
«Sì, è difficile, anche perché penso che non ci siano parole adatte a descrivere quello che si prova e si vede in tale contesto. Forse il termine più adatto è: un’esperienza “agrodolce”. Negare le difficoltà della vita quotidiana di quelle persone e di quei bambini è impossibile. Al campo manca proprio il tessuto sociale, non ci sono edifici in mattoni, non esistono parchi giochi, teatri, cinema e le persone non pianificano aperitivi con gli amici o una settimana di vacanza al mare ad agosto. Nonostante questo, lì ho sperimentato non solo l’accoglienza siriana, ma proprio un senso di umanità che fatico a trovare qui in Occidente».

Ti è rimasta impressa una storia un particolare?
«Tra le storie più toccanti, quella di Alah, quindici anni, sorella di un ragazzino di undici anni malato di cancro. La famiglia vive in una casa molto modesta ad Adana e non propriamente nel campo. La mamma ha deciso di non mandare più la figlia a scuola e Alah trascorre il tempo a far niente, a fare le faccende domestiche o a dare una mano al fratello di sedici anni, che è diventato l’uomo di casa dopo la morte del padre, raccogliendo plastica in giro per poi rivenderla. Ho parlato un po’ con Alah e, alla fine, le ho chiesto cosa sogna per il suo futuro. La risposta rimarrà sempre con me: “Niente”. Tutte le ventenni e molte delle diciottenni che ho incontrato sono già mogli e mamme, spesso di più di un bambino».

Nell’introduzione scrivi “Ho camminato fra i risultati del lato peggiore della razza umana”…
«È importante ricordare che nessuno sceglie di diventare un profugo o un rifugiato. Quando le persone scappano di casa, quando salgono, spesso con i propri figli, su un barcone, molte sanno che qualcosa potrebbe andare storto, ma la situazione nel loro Paese è talmente rischiosa e drammatica che non hanno altra opzione, se non quella di scappare. È importante, di fronte a milioni di persone in fuga, domandarci cosa succede all’interno di quel Paese, per causare questa migrazione forzata e come mai nessuno abbia fatto niente per prevenire la causa che adesso fa sì che tutte queste persone stiano scappando. Le guerre, le persecuzioni e persino i cambiamenti climatici – le tre principali cause degli elevati numeri di persone rifugiate e internamente disperse – sono causate dall’uomo, ecco perché al   campo ho avuto l’impressione di trovarmi davanti alle conseguenze del lato peggiore della nostra razza».

In che modo dovremmo diventare tutti “cittadini del mondo”?
«Per me essere “cittadina del mondo” significa essere italiana, ma anche sentirmi parte del mondo intero. Mi piace l’idea di avere proprio il mondo come casa. Penso che, per essere “cittadini del mondo”, sia importante informarsi su cosa accade in altri Paesi, anche in quelli lontani da noi, tramite   dei   canali   adeguati e   preoccuparci per  gli altri, come ci preoccupiamo per noi stessi e per i nostri cari. Dobbiamo iniziare a capire che le persone rifugiate, ad esempio, non sono solamente numeri, bensì madri, figli, padri, sorelle, mogli, mariti. Sono persone come me e come te. Allo stesso modo, penso sia importante conoscere le altre culture e tradizioni. Per me, il “cittadino del mondo” celebra e ama le differenze, non ne è spaventato perché sa che sono proprio le differenze ad arricchirci. Queste ci permettono di imparare gli uni dagli altri e di crescere. Pensateci bene, un mondo dove siamo tutti uguali, non sarebbe noioso?»

guerra in Siria
Gli adolescenti soffrono di più, perché sono maggiormente consapevoli (Foto Paolo Messina)

Perché preferisci usare il termine “equi” a uguali?
«Il termine “uguali” mi fa venire in mente il voler o dover cancellare le differenze, come se i tratti peculiari, nostri o altrui, dovessero essere nascosti o quantomeno messi in secondo piano, invece che celebrati e apprezzati. Il termine “equo” significa “che dimostra equità”. Quindi, penso che tutti abbiamo gli stessi diritti, sin dalla nascita, ma non siamo tutti uguali, e questo è bellissimo».

In che modo possiamo aiutare i profughi di cui racconti?
«Si può sostenere Support and Sustain Children comprando il libro, oppure si può visitare la sua pagina Facebook, dove è possibile trovare aggiornamenti su come supportare i loro progetti. È importante donare a favore delle associazioni che sostengono i profughi e rifugiati siriani, preferendo quelle locali, in quanto più consapevoli dei loro reali bisogni. Il settore in cui dovremmo investire maggiormente è l’istruzione, che può davvero cambiare il futuro di un bambino. Inoltre, è importante tenersi informati, per non dimenticare la guerra in Siria così come tutte le altre guerre attualmente in corso nel mondo. L’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, stima che l’1% della popolazione mondiale sia in fuga a causa della guerra, dei cambiamenti climatici e/o delle persecuzioni. Stiamo parlando di 79,5 milioni di persone, numero raddoppiato negli ultimi dieci anni. Nonostante gli aiuti umanitari siano fondamentali per mantenere in vita queste persone e cercare di offrire loro vari tipi di supporto, è importante ricordare che non possono risolvere un problema come quello della migrazione forzata, ormai una costante sempre in crescita. La capacità di risolvere queste situazioni, anzi di prevenirle, è in mano alle leggi e alla diplomazia, che però spesso non vengono usate in maniera appropriata per aiutare profughi e rifugiati a non lasciare i loro Paesi oppure ad avere una vita dignitosa».

 

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guerra in siria“Boccioli nel fango”
Maricla Pannocchia
Self publishing
€ 12,00

Per acquistare il libro: italiano – MARICLA PANNOCCHIA

 

 

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