
INDICAZIONI NAZIONALI. NO A UNA SCUOLA RIVOLTA AL PASSATO
Lo afferma con forza il Tavolo nazionale per la scuola democratica, che rilancia la mobilitazione nazionale che il 18 ottobre 2025 sarà in ben 40 città per «contrastare il disegno culturale e pedagogico dell’Esecutivo». Ridolfi: «Si passa dalla centralità dello studente alla figura del magister, in una prospettiva nazionalistica e reazionaria»
15 Ottobre 2025
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Se l’istruzione, usando una celebre battuta di Albert Einstein, “è ciò che resta dopo che uno ha dimenticato quanto imparato a scuola”, allora questa complessa vicenda non riguarda solamente un programma da somministrare agli alunni o la scelta di un metodo di insegnamento. Con le nuove indicazioni nazionali per le scuole elementari e medie, volute dal ministro Valditara e volte a scardinare in buona parte i principi fissati nel 2012, c’è in gioco la visione che la politica ha del Paese che sta governando. Gli studenti di oggi, dopotutto, saranno i cittadini di domani: voteranno, lavoreranno, pagheranno le tasse, educheranno i loro figli. Ecco perché chi amministra il potere, che sia di destra, di sinistra o di centro, che lo faccia in modo autoritario o in forma democratica, nel corso della storia ha sempre avanzato le proprie mire sulla gestione dell’istruzione pubblica, per poi magari dimenticarla quando avrebbe bisogno di investimenti concreti in personale e infrastrutture.
In Italia, da sei mesi circa, non si parla d’altro che del latino come lingua opzionale dalla seconda media (“un’eredità condivisa e un elemento di continuità tra le diverse culture europee”), dello studio della Bibbia insieme a quello dei grandi classici, dell’integrazione nei programmi dell’intelligenza artificiale, del rifiuto dell’infarinatura come metodo per studiare quanti più testi di letteratura possibile, della riscoperta del piacere di imparare a memoria e dello sviluppo delle cosiddette competenze “Stem” per connettere scienze, tecnologia e ingegneria. Nella nuova visione del ministero, la storia, della quale si raccomanda l’apprendimento a partire dalla sua dimensione narrativa piuttosto che affidarsi al classico studio delle fonti (meno enciclopedismo alla primaria e alla secondaria di primo grado, è l’indicazione), è di nuovo scissa dalla geografia, con un’attenzione particolare a quella di Roma, alle radici cristiane e poi a quella nazionale italiana, a partire dal Risorgimento. Il tutto seguendo un approccio europa-centrico. Gli ideatori delle linee guida citano Marc Bloch, uno studioso e partigiano francese al quale è attribuita la famosa massima “Solo l’Occidente conosce la Storia”.
Ridolfi: «La scuola italiana rischia di diventare un luogo incapace di abbracciare le diversità e strutturare un pensiero critico sul futuro»
Così, mentre il ministro parla di «grande svolta culturale», difendendo il progetto del governo che, nonostante le critiche, è sostenuto ancora in larga parte dagli italiani (questo dicono gli ultimi sondaggi), c’è chi esprime perplessità per un’idea di scuola «rivolta al passato», come hanno spiegato i componenti del Tavolo nazionale per la scuola democratica, riuniti martedì mattina in una conferenza stampa a Roma nella sede di Libera, la rete di associazioni in lotta contro le mafie. Dalla Capitale è stato rilanciato l’appuntamento di sabato 18 ottobre: una mobilitazione nazionale in ben 40 città, da Pordenone a Reggio Calabria, tra presìdi (a Roma, davanti al ministero, il principale farà da regia con gli altri), sit-in, flash mob, concerti, laboratori e letture per ragazzi. L’obiettivo? «Contrastare il disegno culturale e pedagogico dell’Esecutivo». Sarà una festa, prima ancora che una protesta, assicurano gli organizzatori. Anche se non mancano le preoccupazioni. Secondo Gabriele Vitello del Movimento di Cooperazione Educativa, ad esempio, emergerebbe «una scuola volta a valorizzare i talenti anziché impegnata a livellare le disuguaglianze». Una scuola “del merito” in senso stretto, come si evince del resto dal nome scelto per il ministero, un luogo dove i migliori vanno avanti in un approccio che sembra più competitivo che inclusivo. «Si passa dalla centralità dello studente alla figura del magister, in una prospettiva davvero nazionalistica e reazionaria» è il pensiero di Carlo Ridolfi, tra i coordinatori della protesta. «Così la scuola italiana, oggi frequentata da bambini e ragazzi provenienti da ogni parte del mondo, rischia di diventare un luogo incapace di abbracciare le diversità e strutturare un pensiero critico sul futuro». Il testo, secondo chi lo osteggia, tratteggia un modello di istruzione distante dai bisogni e dalla realtà attuali di alunni, insegnanti e genitori.
Crostella: «Viene meno il mandato costituzionale della scuola a favorire un’integrazione con l’alunno al centro dei processi educativi»
Un pensiero che è andato rafforzandosi dopo la decisione del Consiglio di Stato di sospendere il parere sul testo, chiedendone la revisione parziale a causa di diverse «lacune strutturali»: dalla mancanza di un confronto con le raccomandazioni dell’Unione Europea ai dubbi sull’effettiva disponibilità di risorse economiche, fino a quelle motivazioni ritenute non sufficienti per revisionare le indicazioni del 2012. Sul fronte dei contenuti, le criticità principali riguardano soprattutto la nuova impostazione della storia, che secondo Ridolfi «descrive un impianto ideologico con un’impronta ottocentesca». Per il ministro si tratta viceversa di rilievi di lieve entità che non interromperanno un processo ormai irreversibile. «In questo nuovo modello alla famiglia si affida l’educazione, mentre alla scuola l’istruzione, con una separazione netta delle competenze», ha evidenziato nel corso della stessa conferenza stampa Susanna Crostella del Coordinamento Genitori Democratici. «In questo modo viene meno il mandato costituzionale della scuola che invece dovrebbe favorire un’integrazione con l’alunno al centro dei processi educativi», ha aggiunto. Tra la prima e la seconda versione del testo, il ministero ha attuato alcune modifiche includendo ad esempio una riflessione più articolata sul ruolo della comunità educante, sottolineando il coinvolgimento del terzo settore. Per i componenti del tavolo questo sforzo non è ancora sufficiente e, in vista delle prossime indicazioni sulla scuola secondaria di secondo grado, l’allerta delle associazioni e dei sindacati resta alta. Organizzazioni come la FLC CGIL hanno inoltre acceso un faro sulla figura del docente, che rischia di essere inquadrato in un’ottica più autoritaria. È l’idea che, in qualche modo, aveva predetto Ernesto Galli della Loggia, uno degli ispiratori di questa riforma, parlando di necessità di ritornare alla “scuola della predella”, quel posto dove la cattedra emerge, magari rialzata, e l’insegnante è predominante rispetto alla classe. La separazione dei ruoli resta uno dei capisaldi di un rapporto tra docente e discente oggi abbastanza sfaldato – con la figura degli insegnanti decisamente svilita – ma la rigidità della lezione frontale, tipica di una certa scuola, è considerata anacronistica da pedagogisti, educatori ed esperti del settore.
