EDUCARE AL SENSO CRITICO NELLA SOCIETÀ DEL CAPITALISMO DIGITALE

In un convegno sull'intelligenza artificiale si è parlato anche di educazione. Indispensabile per servircene, senza esserne schiavi

All’indomani del lockdown imposto dall’emergenza coronavirus, un nodo importante è venuto subito al pettine: le nuove tecnologie, il cui impatto è divenuto sempre più radicale e onnipresente, richiedono la condivisione di un linguaggio comune, per scongiurare realtà come il digital divide e per superare visioni tecnocratiche regolate dal fattore economico.

In quest’ottica risulta dunque fondamentale il ruolo dell’educazione, filone a cui è stata dedicata, venerdì 25 settembre, un’articolata e approfondita sessione nel corso del convegno online dal titolo “Intelligenza artificiale: per una governance umana. Prospettive educative e sociali”, promosso dalla facoltà di Scienze della comunicazione sociale dell’Università pontificia Salesiana di Roma.

Una lunga riflessione a più voci che ha inteso definire, tra le altre cose, i contorni di una innovazione tecnologica sempre più pervasiva e di una società, quella della conoscenza, caratterizzata dalla centralità di due strumenti chiave: la formazione e le competenze.

La saggezza digitale

Formazione continua e competenze trasversali, quali pensiero critico, creatività, capacità comunicativa e collaborazione, sono dunque fondamentali non solo per perseguire dinamicità nel mondo del lavoro, ma anche per costruire e produrre nuove idee nella realtà scolastica, chiamata a fare i conti oggi più che mai con l’uso delle tecnologie digitali. «Il modo di apprendere delle nuove generazioni sta cambiando, per questo la scuola è chiamata a rivedere le strategie didattiche», ha spiegato la professoressa Donatella Cesareni del Dipartimento di Psicologia dei processi di sviluppo e socializzazione presso l’Università Sapienza di Roma. «Viviamo in un periodo di profonda trasformazione e la scuola ha una responsabilità enorme nel far sì che tutto ciò sia un vantaggio per la nostra cultura e non un problema».

Perché questo sia reso possibile è necessario però adottare le tecnologie nella direzione di una didattica di tipo attivo, che conduca verso ciò che viene definito come saggezza digitale, ovvero «il saper usare la tecnologia per potenziare le proprie capacità sensoriali e cognitive, fondamentali per collaborare con gli altri», ha precisato la docente. «Compito della scuola è essenzialmente educare a questa saggezza». Ma come la scuola può adempiere a questa funzione? «Le lezioni sono importanti, ma non sono l’unica tecnica didattica», ha aggiunto. «Dobbiamo rivolgerci a un uso attivo delle tecnologie perché il fare e il collaborare siano la base di ogni apprendimento».

Insomma, i nuovi dispositivi tecnologici hanno ormai invaso ogni ambito della nostra esistenza, investendo le relazioni sociali e, soprattutto, la formazione, a qualunque grado si faccia riferimento. Anche per questo oggi risulta necessario uscire da schemi puramente teorici quando si riflette sull’intelligenza artificiale in relazione ai processi educativi. «Bisogna produrre delle ricerche e, soprattutto, dei metodi di intervento concreti in rapporto all’utilizzo che i bambini e i giovani fanno delle tecnologie», ha riferito Angelo Romeo, ricercatore di sociologia. «A ciò si aggiunge poi la centralità del lavoro di formazione che va fatto all’interno della famiglia, la quale dovrebbe iniziare a conoscere più da vicino questi strumenti».

Alfabetizzare al tempo dell’intelligenza artificiale

Riflessioni che aprono la strada ad una valutazione multilivello di alfabetizzazione mediatica, ovvero di alfabetizzazione mediatica, il cui obiettivo «cessa di essere l’addomesticamento degli strumenti in vista», ha spiegato Pier Cesare Rivoltella, direttore del Centro di ricerca sull’educazione ai media, all’innovazione, alla tecnologia (Cremit). «Il risvolto educativo prevede quindi un empowerment del senso critico come skill di cittadinanza».

Da una parte occorre dunque correggere la prospettiva di alfabetizzazione mediatica con un’attenzione ai linguaggi e alla soglia etica, mentre dall’altra sarà opportuno comprendere cosa significhi vivere ed educare in una società degli algoritmi, ovvero in «una società della datificazione, del capitalismo digitale e del codice». «Si tratta di questioni», ha concluso Rivoltella, «che una media literacy contemporanea e al passo con i tempi dovrebbe sviluppare nell’attenzione delle famiglie, della scuola e dei contesti educativo-sociali».

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