LEGAMI DI LIBERTÀ: TRA ITALIA E SPAGNA, 50 ANNI DOPO FRANCO

Un progetto e quattro appuntamenti gratuiti per raccontare i legami forti e spesso clandestini con il movimento antifranchista spagnolo, a cinquant’anni dalla caduta dell’ultimo dittatore fascista dell’Europa occidentale del Novecento. Un intreccio tra parola, musica e teatro, tra grande storia e vicende personali per continuare a ricordare. E a resistere

di Giorgio Marota

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L’ultimo dittatore del Novecento, il “generalissimo” che ammirò Hitler e Mussolini ma senza farsi coinvolgere nella loro disastrosa guerra, è morto nel proprio letto, a 82 anni, cinquant’anni fa. Le connessioni tra il nostro paese e il movimento antifranchista, spesso forti ma clandestine, davano forza a chi in Spagna lottava per un futuro migliore. A raccontarli, mezzo secolo dopo, è Legami di libertà, un progetto della Scuola popolare di musica di Testaccio co-organizzato con il Dipartimento di Studi Europei, Americani e Interculturali dell’Università La Sapienza e mosso dall’interesse di esplorare una prospettiva decisamente peculiare eppure autentica, intrecciando i linguaggi sonori e visivi con l’approfondimento storico. Quello che l’8 novembre andrà in scena (alle ore 21) presso il Nuovo Teatro Ateneo di Roma, con la regia di Gaston Troiano e il contributo del chitarrista Matteo D’Agostino, è un viaggio emotivo che parte dagli anni duri della repressione di Francisco Franco e, toccando l’Italia, arriva fino alla Spagna di oggi, una nazione ancora immersa nel faticoso percorso del ricordo.

Legami di libertà

Legami di libertà: quattro gli eventi gratuiti in programma

Sono in realtà quattro gli eventi in programma in questi giorni e lo spettacolo Nubes y esperanza avrà il compito di chiudere il cerchio. Il 6 novembre, all’università La Sapienza, si terrà un seminario dal titolo Acordes como balas: música político social en la Universidad antifranquista tenuto da Alberto Carrillo-Linares, storico dell’Università di Siviglia. Il giorno successivo il centro congressi Frentani, sempre a Roma, ospiterà il convegno Cuentos de la dictadura. Storia e memoria dell’antifranchismo in Italia e Spagna e, nello stesso giorno, presso il Nuovo Cinema Aquila, verrà proiettato il documentario Un pueblo que canta no muere girato da Pablo Gil Rituerto.

In questa rappresentazione, che è sia teatrale sia musicale, la grande storia e le vicende personali s’intrecciano in un racconto che aiuta lo spettatore a riflettere sull’importanza di mantenere una memoria storica collettiva oltre che di custodirla. Ad accompagnarlo in questo viaggio saranno una radio, una chitarra e un coro di 40 persone, il coro Inni e Canti di Lotta voluto da Giovanna Marini, scomparsa a maggio del 2024. In qualche modo, con questo evento si realizza la grande visione dell’artista: «Le mie ballate nascono dal desiderio di raccontare storie, di raccontare quello che mi succede e quello che vedo intorno a me. Un po’ alla maniera dei cantastorie».

La raccolta clandestina dei Cantacronache

I canti contro la dittatura vennero raccolti clandestinamente nella spedizione in Spagna del gruppo torinese dei Cantacronache, avvenuta nell’estate del 1961. La loro attività era orientata alla creazione di un nuovo tipo di canzone di impegno sociale e di contrasto alle disuguaglianze, che prendesse le distanze dai canoni della canzonetta di consumo dell’Italia nel dopoguerra espressa dal nascente Festival di Sanremo. «La loro era una musica di protesta, una musica sociale che tendeva ad allontanarsi dai temi dell’amore, della famiglia e della patria tanto in voga durante quegli anni», spiega Sandra Alos Cotronei, la direttrice del coro. Provate solo a immaginare che impatto ebbe la spedizione in un paese sotto regime, che vietava i dialetti e censurava le canzoni. «Questa storia ci affascinava e volevamo saperne di più», ha ammesso Sandra.

Non tutti, ad esempio, sanno che nella Spagna franchista non si poteva cantare liberamente. Dagli anni Sessanta, l’esplosione della musica pop in Inghilterra e negli Stati Uniti portò una notevole mole di lavoro ai censori che operavano per conto del regime: fino al 1977, questi ultimi vietarono la distribuzione di oltre quattromila canzoni, a causa dei loro contenuti ritenuti a sfondo sessuale, blasfemi o sovversivi. Ecco alcuni esempi. Il pezzo “Good Vibrations” dei Beach Boys fu censurato perché «il testo è stato scritto da un gruppo di tossicodipendenti statunitensi e le vibrazioni di cui parla il brano si riferiscono evidentemente all’orgasmo». “Heroin” di Lou Reed invece non fu vietata in quanto inno alla droga, ma a causa di una parola interpretata male. «”Folking” – scrisse un funzionario – Non riesco a trovare questo termine nei dizionari: credo sia un errore ortografico di “fucking”, per questo dev’essere proibita». In realtà era «for the kingdom», per il regno.

Evadere dal concetto stesso di evasione era il proposito dei Cantacronache, che percorsero oltre 6.000 km insieme a una rete di esuli incidendo ore e ore di nastri su un registratore portatile. Franco, dimenticato da un’Europa troppo impegnata nella ricostruzione del dopoguerra, nel frattempo inaspriva la repressione contro il dissenso. Il clima di paura era talmente diffuso che alla censura si affiancò l’autocensura. Anche testi, illustrazioni, opere letterarie, rappresentazioni, persino canzoni dedicate ai bambini, come “Il Torero Camomillo” dello Zecchino d’oro, furono vietate.

Attiva una campagna di raccolta fondi

Quello che i Cantacronache riuscirono a salvare dalle confische – 25 canti, 8 strofette, 3 testi poetici, 28 partiture e 2 dischi che inneggiavano alla libertà – venne pubblicato da Einaudi, prima di essere sequestrato anche in Italia, con il titolo di “Canti della nuova resistenza spagnola”. «Per settimane, dopo quel mese in Spagna, abbiamo continuato a parlare sottovoce e a spaventarci per dei rumori strani», annotavano gli artisti nei loro diari. Per la direttrice del coro questa è anche una storia famigliare. «Sono catalana da parte di madre e quando ero bambina ricordo che ospitammo due zii esuli a casa nostra a Roma. Il 20 novembre del 1975 stavo per andare a scuola, facevo la seconda elementare, e vidi stappare alle 7 di mattina due bottiglie di champagne con i miei cari che ballavano. Era finita la dittatura. Ballavano anche per un altro mio zio, che era in carcere a Barcellona». Il concerto-spettacolo sarà un evento gratuito per il pubblico. Gratis per chi lo fruisce, ma non per chi lo organizza: dai compensi per gli artisti all’agibilità, dai contributi previdenziali alla SIAE, passando per gli aspetti assicurativi e alla promozione, sono davvero tante le spese vive. Da qui l’ideazione di una campagna di raccolta fondi, che al momento ha raggiunto la quota di 4.245 euro su un obiettivo totale di 6.500.

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