
LINDA: « CONTINUERÒ A PARLARE AFFINCHÉ NON CI SIA PIÙ VIOLENZA CONTRO LE DONNE»
Quella di Linda Moberg è una vicenda di violenza lunga vent’anni e di un iter giudiziario senza fine. Ma è anche la storia di una donna che ha salvato se stessa e i suoi figli e che continua a portare la sua testimonianza nelle scuole. Le due vite di Linda, scritto con Simona Berterame e Mauro Valentini, è la sua storia, presentata in un incontro di AVO Roma al CSV Lazio
di Redazione
22 Dicembre 2025
6 MINUTI di lettura
ASCOLTA L'ARTICOLO
«Sopravvissuta». Così si definisce Linda Moberg, vittima di un uomo violento nella sua prima vita e oggi in prima linea per difendere le donne vittime di quella che, con una locuzione un po’ vaga, si definisce oggi violenza di genere. «Sento una grande responsabilità, quella di parlare anche a nome delle altre, di tutte le donne che non hanno voce. Non tutte riusciamo a trovare il coraggio di denunciare, per questo voglio rappresentare anche quelle che stanno ancora subendo e quelle che non ci sono più», ha detto lo scorso 15 dicembre nella sede del CSV Lazio di Via Liberiana a Roma, durante la presentazione organizzata da AVO Roma ODV con il supporto di CSV Lazio del libro Le due vite di Linda, che ha scritto per Armando Editore insieme ai giornalisti Simona Berterame e Mauro Valentini.
Una spirale di violenza lunga 20 anni: «Ero completamente sola, non avevo più nessuno»
Linda Moberg viene dalla Svezia e vive a Roma, dove ha incontrato quello che poi diventerà suo marito, il padre dei suoi due figli e soprattutto l’uomo che l’ha tenuta prigioniera in una spirale di violenza fisica e psicologica per oltre 20 anni. L’ultima brutale aggressione in casa risale al 2019. «Era il 12 maggio: la Festa della mamma e il giorno del mio compleanno», ha raccontato nel corso dell’incontro. «Ma già dal giorno precedente, io e mio figlio maggiore, Riccardo, avevamo capito che c’era qualcosa che non quadrava. Il mio ex marito aveva insistito per festeggiare in anticipo e aveva preparato una cena sontuosa, imbandendo la tavola con ogni tipo di cibo e bevande, tra cui pesce fresco e vini pregiati». A quell’epoca Linda aveva cominciato da appena qualche giorno un nuovo lavoro: una strada verso l’indipendenza economica che l’avrebbe aiutata ad affrancarsi dal controllo dal marito, un imprenditore della ristorazione al cui fianco aveva lavorato fino a quel momento. «Dopo 20 anni di violenze subite, sapeva che quell’impiego poteva rappresentare una strada verso l’affermazione della mia libertà e per questo lo avvertiva come un pericolo», ha sottolineato. Come se non bastasse, si trattava di un lavoro a contatto con il pubblico, una prospettiva che per quell’uomo violento suonava come un’ulteriore minaccia. «La mia famiglia viveva in Svezia e col tempo mi aveva progressivamente allontanato da tutti. Non voleva che vedessi persone, non voleva che frequentassi le amiche. Ero completamente sola, non avevo più nessuno».
L’ultimo atto della storia: «Ero convinta di morire, ma pensavo solo ai miei figli»
Quando Linda torna a casa dal lavoro, il figlio l’avverte che il marito ha cucinato tutto il giorno. «Poi lui esce dalla sua stanza per venirmi incontro nel corridoio dove, 24 ore più tardi, sarò trovata dai soccorsi. Mi guarda trionfante e mi dice: “Vuoi vedere che ha preparato il tuo maritino?”». Quella frase, apparentemente affettuosa, suona alla donna come un campanello d’allarme. Guarda il figlio e quello ricambia lo sguardo, negli anni hanno imparato a decodificare ogni singolo gesto, ogni timbro di voce, ogni movimento di quell’uomo violento. «In cucina la tavola è imbandita a festa, io e mio figlio ci guardiamo di nuovo perché continuiamo a sentire odore di pericolo. Avevo paura: era come se avesse preparato la mia ultima cena». Quella sera nessuno riesce a mangiare, la tensione è troppo forte. Linda chiede spiegazioni circa quel festeggiamento anticipato, ma questa richiesta non fa che innervosire l’uomo violento, che alla fine getta tutte le pietanze in un sacco della spazzatura. «La domenica mattina, il giorno del mio compleanno, si sveglia arrabbiato. È chiaro che ce l’ha con me», prosegue il racconto di Linda. «Mi accusa di avere un altro, l’atmosfera è tesa. I ragazzi escono, il maggiore porta il più piccolo al cinema. E durante la loro assenza accade il peggio: lui mi sputa addosso, mi trascina per i capelli, mi riempie di insulti. Poi torna in camera a leggere e io non provo neppure a scappare, perché non so dove andare e perché i miei figli devono ancora tornare a casa. Ma a un certo punto le cose precipitano: lui torna sui suoi passi, mi spinge e cado a terra. Con la coda dell’occhio lo vedo afferrare il mocio e un attimo dopo comincia a colpirmi. Provo a proteggermi la testa, ma i colpi non si fermano, sembrano durare all’infinito. Finché sento non riesco più neppure a provare dolore, e mi convinco che è arrivata la mia ora. Penso solo ai miei figli, a come mi troveranno rientrando a casa e a cosa sarà di loro».
La violenza non nasce all’improvviso, necessario imparare a riconoscere i segnali
Qualche ora più tardi Linda si sveglierà in un ospedale romano, dove verrà a sapere che è stato suo figlio a chiamare i soccorsi dopo averla trovata svenuta in una pozza di sangue. «È stato l’evento che ha segnato la fine» ha detto, «se Riccardo non mi avesse trovata, sarei entrata a far parte delle statistiche dei femminicidi di quell’anno». Tuttavia, quello è stato anche il principio di una nuova vita e, allo stesso tempo, di un lungo e complicato iter giudiziario, ancora in attesa della pronuncia della Cassazione. Linda ha finalmente trovato la forza di salvare se stessa e i suoi figli. E oggi è una donna serena: «Apprezzo il fatto di essere ancora viva», ha detto, «e continuerò a parlare e a combattere affinché un giorno non ci sia più violenza contro le donne». Per questo porta la sua testimonianza nelle scuole, dove puntualmente viene fermata da ragazze giovanissime che hanno già qualcosa da confidare. «Un giorno una studentessa si è avvicinata per chiedermi se una persona violenta può cambiare. Io le ho risposto di no e lei è scoppiata a piangere». Ma Linda non ha dubbi: «È fondamentale imparare a riconoscere i segnali, quando arriva il primo schiaffo è già troppo tardi. Perché quello schiaffo è stato sicuramente preceduto da altri gesti, come mobili ribaltati e pugni contro il muro. La violenza non nasce all’improvviso».
Il contrasto alla violenza contro le donne richiede un cambiamento culturale
All’incontro è intervenuto anche Francesco Menditto, già procuratore di Tivoli, che ha offerto una riflessione sul contesto giudiziario e sociale in cui le storie di violenza contro le donne prendono forma. «Per molti anni mi sono occupato di criminalità organizzata a Napoli, ma se dovessi riassumere la realtà che ho incontrato a Tivoli a partire dal 2016 in poi dovrei citare “Blade Runner”: “Ho visto cose che voi umani non potete immaginare”», ha esordito. I dati Istat parlano di una donna su tre vittima di violenza nel corso della vita. I femminicidi sono circa cento l’anno. «Ma rappresentano solo la punta dell’iceberg», ha spiegato Menditto. «Sotto ci sono migliaia di donne che subiscono violenza ogni giorno». Per il procuratore Menditto, infatti, quello della violenza contro le donne è un tema poco denunciato e quindi difficile da far emergere: «Un fenomeno fatto di morti, per chi non è sopravvissuta, e di ferite, tante, per tutte le altre. Quante volte una donna viene colpita prima di arrivare in ospedale? Spesso troppe. E non sempre ci arriva». Fino a pochi anni fa, prima dell’approvazione del Codice Rosso del 2019, questo crimine veniva ampiamente sottovalutato. «I giornali parlavano di raptus della gelosia, i medici minimizzavano, gli avvocati non credevano alle vittime, le forze dell’ordine non erano adeguatamente formate. E anche i magistrati», ha ricordato Menditto, «sono figli della società in cui vivono e portano con sé stereotipi e limiti culturali». Per questo, ha spiegato il procuratore, bisogna prestare particolare attenzione alle parole. «Non violenza di genere, espressione cauta e neutra, ma violenza maschile contro le donne, come riconoscono ormai le leggi e le convenzioni internazionali». Perché, come per la mafia, il vero spartiacque non è solo nelle leggi, «ma nella capacità di riconoscere il fenomeno come strutturale e di intervenire prima che la violenza diventi irreversibile».
——————————————
Linda Moberg, Mauro Valentini, Simona Berterame
Le due vite di Linda
Armando Editore, 2025
pp.172, € 15,00







