MATEMÙ: L’ARTE CONTRO L’HATE SPEECH

Art Speech vs Hate Speech insegna l’arte contro l’odio. MaTeMù ha lanciato un crowdfunding per finanziarlo. Furlan: «Vogliamo tenere insieme le geografie, le lingue, le scuole, le culture. Ogni giovane ha diritto al pane e anche alle rose»

Ognuno di noi oggi ha bisogno del pane, ma anche delle rose. Cioè dell’arte. E proprio l’arte, l’energia che sprigiona in chi la fa e in chi ne gode, può essere un antidoto all’odio, a un certo modo di parlare che si può trovare in rete, al bullismo, o all’isolamento che i tempi del Covid ha portato nei giovani, che ancora non ne sono usciti. Per questo c’è un progetto che nasce per insegnare linguaggi d’arte che si contrappongono all’odio. Art Speech Vs Hate Speech è destinato a giovani tra i 10 e i 25 anni che ogni pomeriggio frequentano MaTeMù.  Per finanziare i corsi nel 2024 MaTeMù ha lanciato un crowdfunding sulla piattaforma For Funding di Intesa Sanpaolo.  Ogni corso è completamente gratuito, e in questo modo i corsi potranno essere di più e raggiungere più ragazzi.

Il Covid e il lockdown: l’abbandono della socialità e l’odio in rete

Hate speech
Furlan: «Fare arte educa alla vita, alle differenze, all’intercultura. Diventa percorso per dare strumenti ai giovani per tenersi lontani dal linguaggio di odio»

MaTeMù si trova nel quartiere più multiculturale di Roma, l’Esquilino, e da anni lavora per pareggiare le opportunità̀. L’arte è uno strumento in questo senso, perché coinvolge, attrae anche i più giovani, ha potere trasformativo.  «Il Covid ed il lockdown hanno segnato un momento difficile per MaTeMù e anche per i ragazzi» ci ha spiegato Paola Furlan, responsabile della comunicazione di MaTeMù.  «Abbiamo fatto iniziative da remoto, i nostri operatori si sono fatti in quattro per mantenere il legame e non abbandonare i giovani a loro stessi, anche perché non potevano andare a scuola. Ma molti giovani hanno mollato, non tanto MaTeMù, ma proprio la socializzazione: stare insieme, trovare stimoli, fare arte. L’abbandono scolastico è aumentato, è un dato nazionale. La presenza on line ha aggiunto opportunità, ma anche rischi che comporta: i ragazzi vi sono stati catapultati di punto in bianco ed è stato un problema, non tanto per loro, che sono nativi digitali, quanto per l’offerta da parte della comunità educante, di scarso livello, estemporanea, poco attenta ai pericoli a cui la rete mette di fronte. Come l’hate speech, tutti quegli atti di aggressione e di bullismo in rete: una modalità di linguaggio aggressivo perché radicale». «In rete e non solo, l’aggressività verso le minoranze e le differenze è cresciuta» continua. «Sia per il tipo di popolazione che frequenta il centro, sia per questa grande esposizione alla rete dovuta al Covid e a lockdown. E quando abbiamo riaperto il centro tanti giovani non sono tornati».

L’arte per aiutare i giovani a stare lontani dall’hate speech

Si trattava quindi di combattere quell’isolamento di cui troppi giovani stavano soffrendo: ritiro sociale, hikikomori, fobia scolare o sociale, solitudine, sono fenomeni che la pandemia aveva acuito drammaticamente. E anche di mettere in guardia questi ragazzi dall’hate speech, «Abbiamo realizzato un vademecum su cosa fare in caso si sia vittime di hate speech on line» ci racconta Paola Furlan. «Lo scorso anno abbiamo organizzato un workshop molto interessante sul ritiro sociale, l’hikikomori e l’isolamento a cui hanno partecipato educatori, neuropsichiatri, psicologi, formatori». Questo è uno dei temi centrali di oggi per quanto riguarda i giovani. E MaTeMù ha trovato la propria risposta.  «La nostra idea è che l’arte sia educazione, non soltanto espressione artistica» ci spiega Paola Furlan. «Fare arte educa alla vita, alle differenze, all’intercultura. Abbiamo pensato che il nostro modo di rispondere, che già avevamo in casa, potesse essere questo: proporre l’arte come percorso per dare strumenti ai giovani per tenersi lontani dal linguaggio di odio».

Strumenti e culture differenti per creare qualcosa di nuovo

Hate speech
Art Speech Vs Hate Speech è destinato a giovani tra i 10 e i 25 anni che ogni pomeriggio frequentano MaTeMù.  Per finanziare i corsi nel 2024 MaTeMù ha lanciato un crowdfunding

L’arte, la musica, il teatro diventano occasione per creare comunità, perché da solo ognuno di noi non può farcela e la risposta ai problemi, come dice sempre Zerocalcare, deve essere collettiva. «Oltre ai corsi singoli abbiamo attivato un corso di musica d’insieme» ci spiega Paola Furlan. «Qui negli anni è nata una band, che lo scorso anno ha realizzato il suo primo album. Suonare insieme, così come fare teatro, fa capire che strumenti differenti, che persone da provenienze differenti, di culture differenti, possono creare qualcosa di nuovo».  Così il calendario delle attività di MaTeMù si è arricchito ulteriormente. Ai corsi di canto, batteria, chitarra, rap, breakdance, si è aggiunto il corso di musica d’insieme e si è deciso di rafforzare il corso di teatro. «Ma è un laboratorio sempre aperto, con workshop particolari: c’è il corner dei fumetti, abbiamo giochi da tavolo o videogiochi, con la regola che si gioca insieme» spiega Paola Furlan. «Facciamo tantissime uscite per mostre, musei, workshop, eventi di vario tipo nella città. C’è una parte di attività importante qui dentro, ma anche tanta MaTeMù che va fuori». «Abbiamo anche aperto uno sportello di supporto psicologico, sia per i giovani che per i genitori» continua. «È importantissima la scuola di italiano per stranieri, c’è lo sportello di orientamento alla formazione e al lavoro. E anche un supporto scolastico, con educatori che possono aiutare i ragazzi nei compiti».

Ogni giovane ha diritto al pane e anche alle rose

Per rendere possibile tutto questo e svilupparlo ulteriormente ecco l’iniziativa di crowdfunding. «Tutte le attività sono gratuite e supportate dal CIES onlus, lo spazio è del primo municipio di Roma» spiega Paola Furlan. «Da noi passano anche 50-60 ragazzi al giorno, è un posto attivo e molto frequentato. E dall’anno scorso i numeri sono aumentati costantemente. La nostra logica è che l’arte è un diritto di tutti, e il nostro non è un posto solo per chi ha difficoltà ma anche per chi viene proprio per la bravura dell’insegnante. E quindi vogliamo tenere insieme tutte le provenienze, le geografie, le lingue, le scuole, le culture. Con l’idea che ogni giovane ha diritto al pane e anche alle rose». «Ma siamo sempre alla ricerca di sostegno» continua. «Quando Intesa Sanpaolo ha deciso di sostenerci con un progetto nuovo, in virtù di questo per percorso dopo il lockdown con il seminario sull’isolamento sociale, abbiamo messo insieme diversi input che in questi ultimi tempi erano emersi per proporre l’idea dell’arte come educazione e strumento contro l’odio». «Ci hanno chiesto di individuare degli obiettivi specifici: abbiamo individuato uno step che è il corso di canto. La specialità dei nostri corsi è che non c’è solo l’artista, ma anche un arteducatore, perché non si tratta solo di imparare uno strumento, ma anche di socializzare, crescere. Il corso di canto servirà anche perché l’insegnante è anche una delle docenti del corso di musica d’insieme. Un altro obiettivo è quello di sostenere un educatore, un supervisore di arteducazione. E, accanto alla nostra sala insonorizzata, vogliamo insonorizzarne un’altra in modo da poter fare più attività contemporanea, perché attività come la batteria e il rap, quando ci sono, non permettono di fare altro nelle stanze accanto».

Il corridoio e l’educazione sentimentale

Hate speech
«Il fulcro di MaTeMù è quello che chiamiamo corridoio, non solo un luogo fisico, ma il posto dove si ritrovano tanti giovani che vengono non per forza per fare qualcosa»

Ma c’è una novità molto importante che è arrivata nelle ultime settimana a MaTeMù. «È   un laboratorio che si chiama DAR CoRe, Dibattito animato riguardo a corpi e relazioni». spiega Paola Furlan. «È un incontro settimanale, dove si ascolta tanto e si parla, con gli educatori presenti, di relazioni, amicizie, corpi, errori, amori, consenso. È un luogo protetto con adulti di riferimento, che non è la scuola o la casa, dove le cose non emergono, dove si capisce quanto i giovani abbiano bisogno di ascolto». «Il fulcro di MaTeMù è quello che chiamiamo corridoio» continua. «Non è solo un luogo fisico, ma il posto dove si ritrovano tanti giovani che vengono non per forza per fare qualcosa. Molti vengono per stare lì, parlare, fare un gioco. Già il corridoio per noi è sempre stato vitale, perché si aggirano i nostri educatori. E stando lì nel corridoio magari ti avvicini a un corso, lo guardi dalla porta, e forse ti viene anche voglia di iniziarlo. Dagli operatori del corridoio, che hanno il polso della situazione, è venuta fuori l’esigenza di questo appuntamento. I primi incontri sono iniziati proprio in concomitanza con le notizie di cronaca sui femminicidi, e l’argomento è stato quello. Si parla di educazione sentimentale nelle scuole e ancora non si è ben capito come dovrebbe svolgersi. Nel nostro piccolo è una cosa che stiamo facendo».

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