RIETI. LE ASSOCIAZIONI DENUNCIANO LE CARENZE DELLA SANITÀ NEL POST TERREMOTO
Hanno presentato un documento alla Conferenza Regionale del Volontariato: l'ospedale di Rieti non può sostituire anche quello di Amatrice
28 Gennaio 2017
Nel reatino, e – dove più dove meno – in gran parte del centro Italia, il terremoto non sembra finire. Così come lo stato di continua emergenza, che sta cambiando per sempre il volto delle tante terre colpite e i volti di tutti coloro che le animano. Un’emergenza condivisa all’inizio da una nazione intera, anche grazie all’attenzione dei media, ma destinata a tornare nell’ombra, sostituita da emergenze nuove. Quando questo accade ha inizio un non-tempo in non-luoghi che devono fare i conti con i danni strutturali, quelli a lungo termine, e lo devono fare da soli perché, nel frattempo, l’attenzione nazionale si è spostata su altro.
Le zone della provincia reatina, le zone dell’amatriciano, che già prima degli ultimi eventi sismici vivevano una situazione sociale complessa dovuta, in parte, a caratteristiche proprie – un’orografia penalizzante, ad esempio – in parte a situazioni condivise – non ultimi i tagli alla spesa sanitaria e gli accorpamenti delle Asl – stanno vivendo proprio questa situazione.
La prima emergenza è finita, nonostante le scosse continuino, in molti hanno perso familiari, figli, genitori; in molti non hanno più un tetto sulla testa. L’Ospedale Grifoni di Amatrice non ha retto alle scosse e l’ospedale di Rieti San Camillo De’ Lellis è rimasto l’unico ospedale della Provincia a dover garantire assistenza sanitaria anche a chi è costretto a spostarsi dalle zone limitrofe, mentre i servizi sul territorio non ci sono. Una situazione già difficile, che il sisma ha contribuito ad aggravare, un’emergenza socio-sanitaria e sociale che ha interpellato il volontariato locale, da tempo ormai attivo per cercare di dare risposte. Durante la Conferenza regionale del Volontariato del Lazio (Crevol) del 25 gennaio scorso è stato così presentato il contributo finale delle organizzazioni di volontariato del territorio, con il quale ci si è rivolti alle istituzioni affinché questa situazione sia affrontata in un’ottica di lungo periodo. Ne abbiamo parlato con Santina Proietti, presidente di Alcli Giorgio e Silvia, una delle associazioni che hanno condiviso questo percorso, per capire quali sono i problemi e quali le reali soluzioni.
Il contributo alla Conferenza regionale sottolinea la grave situazione sociale e sanitaria che reatino ed amatriciano stanno vivendo. L’ospedale di Rieti è l’unico ospedale attivo di tutta la provincia. Cosa vuol dire questo?
«Qui si parla di una popolazione distrutta moralmente, fisicamente e, talvolta, a livello di salute. Quando, in una famiglia normale, si hanno problemi di salute, i familiari possono intervenire a sostegno del malato. In questi casi il problema esiste, ma si può gestire. In una situazione di emergenza, come può essere quella legata al sisma, in cui le persone hanno perso i genitori, i figli, la casa… la malattia crea un disorientamento e disagi ancora maggiori.
In tutto questo, l’ospedale di Rieti è l’unica struttura aperta. Accanto ad una rete dei servizi sul territorio, che non c’è. Si è tagliato e risparmiato, i distretti sono stati accorpati: non si è organizzati per assistere le persone sul territorio. Una situazione, comunque, già preesistente al sisma, che ora è peggiorata: se la politica è concentrata sul taglio della spesa, come si può assicurare il personale necessario per garantire il servizio? Stesso discorso per le Case della salute, che è inutile prevedere come soluzione ai problemi, se poi mancano i professionisti che le rendano punto di riferimento sul territorio. Sono state fatte manovre che, calate sul territorio, si sono rivelate incapaci di garantire le risposte adeguate. Perché è possibile ridurre i servizi per risparmiare, ma solo se è già stato organizzato un servizio, che va a sostituire quello accorpato. A Rieti i servizi erano già stati accorpati e il personale era già stato ridotto, ma ora l’ospedale si trova a dover far fronte ad un surplus di prestazioni che prima potevano essere erogate ad Amatrice. E comunque la stessa Rieti è in una zona orograficamente disagiata, con una rete ferroviaria e viaria, già prima del terremoto, inadeguate. Insomma una situazione in sofferenza aggravata dagli eventi sismici rispetto alla quale i provvedimenti mancano».
Con un documento del novembre scorso, il Comitato per il diritto alla salute e numerose altre associazioni locali si sono rivolti alle istituzioni nazionali e regionali chiedendo un intervento adeguato. Quali erano le richieste avanzate?
«Nel documento chiediamo un decreto della Regione Lazio che dichiarasse il territorio della Asl di Rieti “Area periferica di zona disagiata”, confermando il San Camillo De’ Lellis sede Dea di primo livello. Non abbiamo, infatti, trovato un decreto con cui fosse stabilito un potenziamento dell’ospedale, delle strutture, delle strumentazioni, del personale medico e paramedico; abbiamo piuttosto assistito allo spostamento o all’eliminazione di servizi, accanto alla mancata sostituzione di tutti i professionisti che nel corso degli anni hanno raggiunto la pensione. Invece qui c’è bisogno. Ed il ripristino di quei servizi è fondamentale.
Noi puntiamo ad un modello di sanità che è quello della rete sul territorio, ma, se sul territorio non abbiamo organizzato l’assistenza, il malato è costretto a ricorrere all’ospedale. E all’ospedale di Rieti manca personale di cura. Ed il sistema della sanità reatina va in tilt. E poi la questione diventa sociale, se al bisogno del malato di avere un familiare accanto si somma la condizione di tante famiglie del territorio che il terremoto ha distrutto. Chiedevamo quindi un provvedimento, che mettesse nero su bianco queste necessità, che fermasse sulla carta le tante promesse fatte nel tempo. L’ ospedale di Rieti dovrebbe restare al di fuori della manovra di accorpamento dei reparti introdotta dal Decreto Lorenzin del 2015: una volta passato questo momento di emergenza, ci ritroveremo sempre sotto la mannaia dei tagli, ma continueremo ad avere gli stessi problemi. Visto che la nostra zona è altamente sismica, chiediamo che si rivedano linee guida e provvedimenti legislativi in questo senso. Il documento era indirizzato anche alla stessa Ministra Lorenzin, ma non abbiamo avuto risposta. Ora ci siamo rivolti all’Assessora alle Politiche sociali della Regione Lazio Rita Visini».
La relazione si chiude con una istanza di partecipazione: le associazioni chiedono di partecipare ed essere ascoltate, di collaborare e dialogare con le istituzioni.
«Chiediamo di avere un ruolo nei tavoli: noi veniamo informati di decisioni già prese. Ma chi più dei volontari conosce problemi e necessità dei cittadini? Se ci fermassimo e sospendessimo i servizi messi in campo, le istituzioni si accorgerebbero di tutto il lavoro che si fa? Chi ci rimetterebbe? Il cittadino, che si vedrebbe impoverito del servizio. È con questa consapevolezza che chiediamo di essere interpellati ai tavoli di programmazione. Il volontariato agisce nell’immediato, ma è di sollecito e di stimolo alle istituzioni perché facciano il proprio dovere, non si può sostituire, ma dare un supporto in una strada percorsa di pari passo. Partecipare ai tavoli vuol dire ascoltare ed essere ascoltati: è inutile fare grandi programmi quando le esigenze della persona o del malato sul territorio richiedono risposte diverse».
Ecco il testo completo del documento presentato alla Crevol:
Relazione delle associazioni di Rieti