
OSTIA. IL PARCO DEL MARE DI ROMA DALLA PARTE DEI CITTADINI
Un nuovo assetto viario, nuovi parcheggi e arredo verde, dune artificiali, percorsi pedonali e ciclabili. Entro il 2028 il Parco del Mare di Roma punta a cambiare il volto del litorale romano e a sviluppare un turismo più sostenibile. Un iter che non ha mai visto un reale confronto con il territorio. Se ne è discusso in un incontro pubblico autoconvocato dalle associazioni e i comitati di quartiere impegnati per il diritto alla partecipazione nella gestione dei beni comuni
15 Dicembre 2025
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Il progetto del Parco del Mare di Roma, che dovrebbe cambiare il volto del litorale romano, è dal 2022 un caposaldo delle Strategie Territoriali di Roma Capitale, finanziato dal Programma Regionale FESR (fondi Europei per lo Sviluppo Regionale) Lazio 2021-2027 con oltre 23 milioni di Euro. L’ambizione del progetto è di trasformare, entro il 2028, il litorale di Roma in un Parco lineare del Mare. Sul lungomare di Ostia infatti, dal Porto Turistico alla Rotonda dello Zodiaco, in un’area di circa 30 ettari, sono previsti un nuovo assetto viario e nuovo ponte sul Canale dei Pescatori, nuovi parcheggi e arredo verde, dune artificiali, nuovi percorsi pedonali e ciclabili, strutture ludico-sportive e ricettive. Obiettivo primario del progetto lo «sviluppo di un turismo sostenibile, che coniughi crescita economica e salvaguardia del delicato equilibrio ambientale». Questo nuovo assetto contribuirebbe inoltre, secondo la Proposta di Strategia di Adattamento Climatico di Roma Capitale, «a favorire la resilienza costiera del tratto di litorale interessato, attraverso la rinaturalizzazione del lungomare e la ricostituzione del sistema dunale».

Il Parco del Mare di Roma: l’impatto ambientale, i tempi incerti, l’assenza di confronto
Fino a qui tutto bene. E, allora, dove sono i problemi? Intanto, nel metodo. In tutto l’iter di questo ambizioso progetto non vi è mai stato un reale confronto con cittadini ed associazioni del territorio. Mai, se fosse dipeso, dall’iniziativa dell’ente titolare, ovvero, il Comune. È infatti solo all’inizio di quest’anno, e dopo reiterati solleciti, che i rappresentanti locali di Mare Libero, WWF, Legambiente e Italia Nostra hanno potuto interloquire con l’Assessorato all’Urbanistica di Roma Capitale e Risorse per Roma. In quella sede, e negli incontri successivi, anche alla presenza della società vincitrice del bando per la progettazione definitiva, le associazioni hanno potuto presentare le loro numerose osservazioni, sia alle linee guida del progetto che al documento di fattibilità tecnico-economica (PFTE).
Ma oltre al metodo c’è anche il merito, ovvero quei nodi critici che se non presi in considerazione potrebbero ridurre se non azzerare il valore positivo del progetto. Tanto per cominciare la salvaguardia delle esistenti aree dunali di importanza paesaggistica e naturale, che si vorrebbero attraversate da una nuova viabilità e, addirittura, da parcheggi. In secondo luogo, i tempi e le modalità ancora incerti di attuazione del PUA (Piano di Utilizzo degli Arenili), che riguarda principalmente la tanto attesa eliminazione del “lungomuro”. Una barriera che, chiudendo ancora la vista e l’accesso al mare dietro a sbarre e inferriate, invaliderebbe, e non poco, un parco che a dispetto del nome sarebbe destinato a restare senza mare.
E ancora: la tutela dei giardini storici, il bilancio del consumo di suolo, la scelta delle nuove alberature e l’inserimento di dune artificiali, la mobilità ciclopedonale e l’intermodalità. Insomma, non pochi i punti deboli di un progetto che sembra funzionare bene solo fino a che rimane sulla bidimensionalità del rendering.
Dalle associazioni la proposta di alternative possibili
Ma le associazioni non si sono fermate alle critiche. Hanno avanzato proposte che andassero nella direzione di alternative possibili al fine di una migliore tutela del verde esistente e di un assetto viario che tenesse nel giusto conto aspetti ambientali ed esigenze dei cittadini, in vista anche di una maggiore rinaturalizzazione e valorizzazione dell’area.
Tutto questo sforzo, realizzato con spirito evidentemente costruttivo, ha prodotto un’ampia documentazione, frutto di un intenso lavoro di studio svolto dalle associazioni anche con il supporto di docenti dell’Università Sapienza di Roma. Il tutto è stato formalmente consegnato a più riprese agli Enti interessati, chiamati ad esprimersi in Conferenza dei Servizi sul progetto definitivo.
Pur non avendo mai ricevuto una risposta formale, alcune delle osservazioni fatte dalle associazioni sarebbero state però riprese nelle successive versioni del progetto, integrate di alcune delle indicazioni offerte. E qui si arriva all’oggi, ovvero alla prima tappa di un iter, che ha registrato la quasi totale assenza del Municipio, l’Ente che per prossimità avrebbe dovuto svolgere almeno la funzione di cinghia di trasmissione tra il Campidoglio e cittadini. Ma “se Maometto non va alla montagna, la montagna…” si autoconvoca ed organizza l’iniziativa annunciata e mai realizzata dallo stesso Municipio. È così che il 6 dicembre scorso, presso i locali della Casa clandestina – noto locale riaperto appena il giorno prima, frequentato soprattutto dai giovani – le associazioni hanno autonomamente invitato tutti i cittadini ad un incontro pubblico, per dar loro modo di essere informati riguardo al progetto e alle relative proposte avanzate dalle associazioni.

Coinvolgere le associazioni, i comitati, i cittadini prima di posare la prima pietra
Al momento, la storia del Parco del Mare di Roma racconta molte cose. Racconta innanzitutto di un progetto ambizioso che insiste su una fascia strategica di territorio e che viene nell’ordine: concepito, delineato, affidato con bando allo studio definitivo, quindi approvato come Progetto di Fattibilità Tecnico-Economica senza aver mai invitato, ad esprimere idee, pareri o dubbi, gli stakeholder principali, ovvero i cittadini, a partire dai residenti! La pretesa non è quella di una “inchiesta pubblica” preventiva, come avviene in Francia, per i progetti di interesse generale, ma che almeno si dia modo al territorio di esprimere le proprie esigenze e, magari, partecipare alla progettazione delle soluzioni. E qui si entra nella parte incomprensibile, quasi misteriosa, del racconto. Sì, perché gli strumenti ci sono e, anzi, sono anche tagliati con il bisturi, come la co-programmazione, prevista dal Codice del Terzo Settore (dlgs. 117/2017, art. 55); norma esattamente volta a favorire processi partecipativi con i cittadini nell’individuazione di orientamenti o scelte strategiche in seno ad Istituzioni ed Enti pubblici. Cui si aggiunge, nel caso specifico, anche uno strumento concepito dallo stesso Comune di Roma, il Regolamento di Partecipazione dei Cittadini alla Trasformazione Urbana (delibera n. 57 del 2.3.2006).
Evidentemente queste norme faticano a trovare la loro piena applicazione in una Amministrazione che però non si può definire impreparata se è vero, come è vero, che il 9 dicembre ha celebrato, alla presenza addirittura del Sindaco, l’incontro Fare città insieme. L’appuntamento dedicato al resoconto, non burocratico, dei patti di collaborazione quale «fondamento di un governo diffuso capace di coinvolgere gli abitanti nella cura attiva dei loro territori e dei beni comuni», come dice l’Assessora all’ambiente Sabina Alfonsi, responsabile dell’assessorato che gestisce il verde pubblico e per questo tra i più coinvolti nelle esperienze di amministrazione condivisa. Non è quindi, una questione di “non sapere”, quanto piuttosto la difficoltà di una pratica che inevitabilmente espone a tempi più dilatati, alla possibilità di rigetti, critiche e richieste di ripensamenti o rimodulazioni. La partecipazione, insomma, costa; intanto, costa cessione di potere e in secondo luogo obbliga ad una trasparenza che non ammette errori, sbavature, lentezze e pastoie burocratiche. Accade così molto spesso che le esigenze reali del territorio non coincidano con gli obiettivi della pianificazione e delle progettualità che pure insistono sui beni comuni, aumentando nei cittadini la disaffezione e il distacco dalla partecipazione civica. Ma se i rendering progettuali ambiscono a trasformarsi in luoghi in 3D dove i cittadini possano assumere l’aria appagata e serena delle figurine finte dei programmi Autocad, allora l’Amministrazione ha tutto da guadagnare nel rivolgersi a questi prima della posa della prima pietra e non dopo, quando rimane solo lo spazio per la critica senza più sbocchi.
Perché allora non attingere ai saperi condivisi e alle esperienze locali, che in particolare le associazioni di cittadini che operano sul territorio hanno accumulato? Perché non assumere come valore aggiunto anche il loro punto di vista nel processo decisionale, a tutto vantaggio della buona amministrazione e della buona riuscita dei progetti? Le risposte, è evidente, andranno cercate in un percorso da costruire insieme, con fiducia reciproca e buona volontà.







