COSÌ I GIOVANI RACCONTERANNO I PROFUGHI PALESTINESI IN LIBANO

Sguardi senza diritti è un progetto di Ulaia ArteSud, che vuole dare la parola ai Palestinesi in Libano

Estate 2014. Vanno in scena i mondiali di calcio in Brasile. In un campo profughi in Libano centinaia di palestinesi stanno guardando una partita su degli schermi allestiti all’aperto. All’improvviso su quelli stessi schermi cominciano a passare le immagini dei bombardamenti a Gaza. È una scena terribile. Ce l’ha raccontata Olga Ambrosanio, che segue le vicende della Palestina dal 2001, e dal 2005 ha fondato l’associazione Ulaia ArteSud, che si occupa, attraverso l’arte, di far conoscere la condizione dei palestinesi che si trovano nei campi profughi. E questa immagine fa capire bene che cosa si provi a vivere qui.  «Nei campi le persone sono turbate da queste cose e sono impotenti», racconta. «Anche i Palestinesi in Libano sono collegati a quello che accade nella sua terra. Ed è totalmente impotente. Non c’è niente da fare. È una sorta di limbo».

 

Un campo di profughi palestinesi, per concessione del progetto “Greening Burj al Shemali” di Claudia Mansell. La scritta in arabo invita alla presentazione della mappa alla comunità locale, anche per raccoglierne suggerimenti.

I CAMPI PROFUGHI IN LIBANO. Ulaia Arte Sud ha deciso di lanciare un progetto di sensibilizzazione sulla condizione dei palestinesi che si trovano nei campi profughi in Libano, Sguardi senza diritti, che verrà presentato domenica 16 giugno, dalle 18.30, presso L’Asino che vola, in via Antonio Coppi 12, a Roma.

È un progetto ambizioso che partirà, in una prima fase, nel campo di Burj al Shemali, a Tyro, in Libano, dal 15 luglio al 15 settembre, e si concretizzerà poi in una serie di mostre nel 2020, in Italia. Il curatore del progetto è Paolo Giordano, vent’anni, studente dell’Istituto di Belle Arti di Roma. Attraverso la fotografia, il videomaking, la parola scritta, racconterà, con lo sguardo dei giovani che sono lì – tre gruppi di ragazzi, dai 10 ai 25 anni – la vita dei palestinesi nei campi. «Registrare la modifica delle aspettative da quando i palestinesi sono arrivati in Libano a oggi, attraverso mezzi audiovisivi, è una cosa importantissima», spiega Olga Ambrosanio. «Dà la possibilità a loro di esprimersi, e a noi di capire cosa è cambiato. I giovani d’oggi sono la quarta generazione. Oggi un giovane può anche studiare, grazie alle borse di studio, ma non può lavorare. Non ha uno sbocco. Questo un giovane ha voglia di gridarlo al mondo. I mezzi che ci sta proponendo Paolo, con altri sette volontari, sono quelli giusti, quelli ai quali abbiamo sempre pensato anche noi. Non sono convegni, dibattiti, ma qualcosa in grado di smuovere la sensibilità. La potenza sarà proprio nello sguardo di questi ragazzi dai 10 ai 25 anni».

 

profughi palestinesi in Libano
Il campo di Brj al Shemali

RACCONTARE. MA NON SOLO IL DISAGIO. Paolo Giordano ha vent’anni. Di Palestina e di Libano ha sentito parlare, non ci è ancora mai stato. Ci va con la mente libera di chi non si è voluto fare un’opinione, non ha voluto seguire troppo i media, non ha voluto crearsi aspettative. Anche se ha già conosciuto via Skype alcuni dei ragazzi che vivono nel campo. Il suo sguardo nascerà là. E sarà un mosaico di decine di altri sguardi. «Il mio desiderio è quello di entrare in empatia con una realtà», spiega il curatore del progetto Sguardi senza Diritti. «Andarci a vivere dentro era una necessità che avevo. Perché per fare un reportage bisogna vivere insieme a quelle persone ed essere al loro stesso livello. Mi piace pensare che se una persona è seduta per terra io devo stare seduto per terra insieme a quella persona».

«Ho aspettato tanto che questo progetto fosse approvato, perché c’era la possibilità di vivere con loro e utilizzare l’arte come forma di comunicazione. La mia arte poi diventerà la loro arte: fonderò il mio sguardo con il loro. E insieme alle parole di una studentessa di lingue e scienze del Medio Oriente, Erika Castiglioni, andremo a raccontare quella realtà».

Verrà realizzato un documentario, a cui parteciperanno attivamente i ragazzi, che andranno a costituire una troupe. I ragazzi scatteranno le loro fotografie, realizzeranno dipinti, contribuiranno a realizzare il documentario. «Non daremo ai bambini di dieci anni l’incarico di andare a riportare i disagi che ci sono lì, sarebbe un crimine, sarebbe sfruttare un bambino per avere visibilità», spiega Giordano. «Invece daremo a quei bambini le mie fotografie e andremo a dipingerci sopra. Faremo fotografare loro i luoghi che amano di quel posto. Andremo a cogliere ciò che c’è di bello e ciò che le associazioni hanno fatto in quel luogo, perché hanno fatto molto». «Ai ragazzi non insegnerò la tecnica, i canoni estetici della fotografia» racconta Giordano. «Sfrutterò la loro semplicità, la purezza della fotografia. Se loro volessero inclinare la macchina fotografica, lì la fotografia prenderebbe potenza in maniera incredibile. Se loro dovessero scattare al contrario, le metterò così in mostra. Fino ad arrivare a fotografie che, dal bianco e nero, prenderanno colore».

Verrà allestita prima una mostra dentro tutto il campo, poi verrà fatta una presentazione presso l’American University di Beirut. L’opera di sensibilizzazione prevede una serie di incontri nei nostri licei e nelle nostre università e una serie di mostre in Italia nel 2020.

 

palestinesi in Libano
Chi sta nei campi è straniero anche se vive in Libano da settant’anni. Non ci sono prospettive per i giovani

FAME DI DIRITTI. Raccontare non solo i disagi, dicevamo. «Il popolo palestinese è stanco di essere rappresentato in questo modo», spiega Olga Ambrosanio. Capita che vedano un documentario su di loro, anche realizzato correttamente, e che non lo apprezzino. «Hanno detto: non siamo solo questo», racconta la presidente di Ulaia ArteSud. «Vogliono essere rappresentati con le cose che sono in grado di fare. Loro sono un popolo che ha fame dei diritti, e il mondo deva capire questo, quanto pesa l’assenza dei diritti. Prima i palestinesi andavano a lavorare nelle piattaforme petrolifere del Kuwait, ma dopo la Guerra del Golfo non possono fare più neanche quello. In Libano hanno il divieto di fare tutta una serie di lavori. Oggi molte ragazze studiano da infermiere, perché il Canada le prende a lavorare in questo campo».

La situazione dei giovani palestinesi in Libano è kafkiana, surreale. Un limbo senza via d’uscita. «A me colpisce la vita dei giovani, vederli attaccati al narghilè o alla banda di cornamuse», racconta Olga. «Hanno finito di studiare ma non trovano uno sbocco. E questo è drammatico. La mancanza di lavoro è drammatica anche in altri Paesi: ma qui la legge prevede una serie di divieti a livello lavorativo per gli stranieri, e il fatto è che i palestinesi, dopo 70 anni in Libano, sono ancora stranieri. Per gli stranieri nella legge libanese c’è la reciprocità: trattano lo straniero, così come il loro stato tratta i libanesi. Ma i palestinesi non hanno uno stato…»

La presidente ci racconta una storia, per farci capire come funzionino le cose. «Un ragazzo palestinese ha partecipato a un colloquio ed era in attesa di una risposta. È arrivata via Whatsapp: complimenti per il colloquio, ma come lei ben sa dobbiamo dare la priorità a un ragazzo di nazionalità libanese». Tutto questo detto con una franchezza disarmante.

 

palestinesi in Libano
Le attività di Ulaia ArteSud, l’estate scorsa

SAREMO L’ESTATE DI QUESTI BAMBINI. «Entrare in empatia con un popolo vuol dire conoscere le loro esigenze, e quindi tarare i progetti sulle loro necessità», spiega ancora Olga Ambrosanio. «I nostri progetti partono da loro, non da qualcuno che, in base a un bando, ci dice cosa fare. Per sei anni la Tavola Valdese ci ha finanziato un progetto legato alla musica, che oggi ci ha portato ad avere un’orchestra in Libano». «Siamo partiti con l’idea del lavoro di Abreu nelle favelas» aggiunge. «Accanto alla musica e agli insegnanti ci sono gli assistenti sociali».

Ma c’è un’altra cosa molto bella. La presenza di Ulaia non è finalizzata solo all’espressione artistica, alla sensibilizzazione. C’è anche un lavoro quotidiano altrettanto importante. «Noi saremo l’estate di questi bambini» ci svela Olga. «Non c’è solo questo progetto. Ci sono anche laboratori, gite all’esterno: i bambini quando finiscono le scuole non vanno in vacanza. E così li porteremo al fiume, in piscina, porteremo i più grandi alla foresta dei Cedri. E li terremo con noi tutto il giorno fino alle tre del pomeriggio. Ci saranno laboratori per fare il sapone, altri che lavoreranno con il microscopio, altri volontari cureranno l’aspetto dello sport».

Se avete correzioni o suggerimenti da proporci, scrivete a comunicazionecsv@csvlazio.org

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