PARALIMPIADI. BASTA CON LA RETORICA DEL GUERRIERO. NON SONO SUPEREROI, MA CAMPIONI

Tra la narrazione del pietismo e la retorica del guerriero ci sono l’accettazione della diversità, l’accoglienza senza pregiudizi e l’inclusione

di Giorgio Marota

Non abbiate pietà di loro, non compatiteli. Ma non ergeteli nemmeno a eroi, a super-uomini o super-donne che hanno un cuore d’acciaio e poteri quasi soprannaturali. Tra la narrazione del pietismo e la retorica del guerriero c’è un oceano di normalità in cui nuotano l’accettazione della diversità, l’accoglienza senza pregiudizi e l’inclusione.

Nei giorni delle Paralimpiadi di Londra 2012 fu girata una serie dal titolo “Meet the superhumans”: al di là dei contenuti, ricchissimi e profondi, quel titolo (“incontrare i super-umani”) ha fissato nella mente delle persone il concetto che un disabile vincente è un robot, non un campione che fa sacrifici e dedica gran parte della propria vita allo sport.

Il problema dell’abilismo

Uno dei post che ha ottenuto più interazioni sui social, di recente, mostra la foto di un nuotatore senza braccia che parte dal blocchetto mordendo un lenzuolo, tenuto teso dal suo allenatore, per consentirgli di entrare in acqua con la spinta giusta.

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Uno dei tanti post del nuotatore senza braccia

«Dai lamentiamoci che piove, che fa caldo, che fa freddo, che la bistecca è troppo cotta […]. Guardiamoci 10 minuti al giorno di Paralimpiadi e vediamo di smetterla di rompere i coglioni!» ha scritto l’autore. E giù, valanghe di like e condivisioni. Ma l’emotività del post, per qualcuno, si è trasformata in un’insopportabile fiera della compassione. «Volevo svelarvi un segreto», il commento scritto da Sara, «anche noi persone disabili ci lamentiamo. Comprendo che parole come quelle siano mosse da buone intenzioni, ma in realtà sono solo intrise di abilismo interiorizzato […] Non dovrebbero servire le Paralimpiadi per ricordarvi che esistono persone con disabilità che fanno cose e, soprattutto, le persone con disabilità non “servono” per ricordarvi quanto siete fortunati voi e quanto invece sono sfortunate loro, perché magari hanno una vita molto più felice della vostra».

Vincere nelle gare, perdere nei diritti

Sara concorderà con la nostra riflessione: a cosa serve una medaglia d’oro, se le barriere architettoniche continuano a ostacolare la più semplice delle attività quotidiane di un disabile? Le Paralimpiadi non dovrebbero essere un universo parallelo e distaccato dalla realtà dove tutto funziona, bensì il punto di partenza per migliorare la società, abbracciando la disabilità in tutte le sue sfaccettature. D’altra parte, questi Giochi ci hanno ricordato che un disabile può vincere e perdere come un normodotato, che la competizione è competizione, che si può persino litigare durante una gara paralimpica e, legittimamente, rosicare. Nel dubbio, chiedere a chi si è disperato per un quarto posto, per una falsa partenza, per un infortunio.

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Un tweet del presidente del Parlamento europeo David Sassoli

È davvero etico o morale, come sembra, sostenere che alle Paralimpiadi “vincono tutti”? Non sarebbe più corretto trattare – comunicativamente parlando – le persone con disabilità al pari degli atleti normodotati? Dal punto di vista sportivo, è stata una kermesse trionfale per gli azzurri: 14 medaglie d’oro, 29 d’argento e 26 di bronzo, per un totale di 69 podi (erano stati 39 a Rio 2016) in 11 discipline differenti (nuoto, atletica, tiro con l’arco, canottaggio, ciclismo, tennistavolo, equitazione, tiro a segno, scherma, judo e triathlon). Mai così tanti nella nostra storia. Dando un’occhiata al medagliere (l’Italia è 9°), si nota come in vetta ci sia la Cina con le sue 207 medaglie. Eppure, in Cina, il 65% degli 85 milioni di disabili è senza lavoro, con una soglia di analfabetismo che in alcune aree del Paese supera l’80%. Negli ultimi 20 anni, anche grazie a Pechino 2008, l’accettazione della disabilità in termini culturali ha compiuto passi da gigante, ma ai successi nello sport non corrisponde ancora una nazione pienamente inclusiva.

Discorso diverso per la Gran Bretagna, seconda nel medagliere con 41 ori e 124 podi, così come per l’Olanda (5° posto assoluto), uno degli Stati considerati più “accessibili” del mondo. «Nel nostro Paese ci sono 3 milioni di disabili e più di 1 milione di ragazzi da intercettare», ha dichiarato Luca Pancalli, presidente del Comitato Italiano Paralimpico.  «Mi auguro che i risultati aiutino a tenere alti i riflettori sui percorsi di politica sportiva e sociale necessari per fare in modo che, tra tot anni, la nostra delegazione non sarà di 113 atleti, ma magari di 300 o 350».

I nomi  e le storie delle paralimpiadi

La prima medaglia italiana di queste paralimpiadi è stata quella di Francesco Bettella, ingegnere biomeccanico, tetraplegico, che studia i modelli matematici per andare più veloce in acqua. Il primo oro? Sempre nel nuoto (39 medaglie totali) grazie a Carlotta Gilli, ipovedente nata con la malattia di Stargardt, una retinopatia degenerativa, che ha fatto registrare il record paralimpico nei 100 metri farfalla, aggiungendo al palmares un argento nei 100 dorso, un argento nei 400 sl e un bronzo nei 50 sl. La chiamano “Wondergilli”, non a caso. In acqua si è scatenato anche Francesco Bocciardo, genovese di 27 anni affetto da diplegia spastica che ha conquistato due ori nei 100 e nei 200 sl S5. Ha fatto tripletta di bronzi Monica Boggioni, studentessa di biotecnologie.  Doppio oro (50m dorso e 100m sl) più un argento (50m sl) per Arjola Trimi, record del mondo nei 100 sl (cat. S6) per Antonio Fantin, che torna dal Giappone con 4 medaglie come Xenia Palazzo, mentre Giulia Terzi – la regina delle staffette (3 medaglie in squadra) – a un certo punto si è messa in proprio e ne ha conquistate altre due individualmente. Ben 7 medaglie portano il nome del nuotatore Stefano Raimondi (1 oro, 4 argenti e 2 bronzi), il più vincente tra gli azzurri.

Fuori dalla vasca, tante altre perle. Sara Morganti, affetta da sclerosi multipla dall’età di 19 anni, ha conquistato due bronzi nell’equitazione. Due è anche il numero di Bebe Vio, portabandiera dell’Italia che ha confermato il 1° posto nel fioretto (come a Rio) e ha contribuito all’argento a squadre, confessando che ad aprile ha rischiato la vita per un’infezione da stafilococco. A Tokyo c’è chi ha corso con le ruote di Alex Zanardi, il campione che ha ispirato migliaia di giovani, travolto da un tir un anno fa: in questo modo Giovanni Achenza ha trovato la forza per prendersi il terzo gradino del podio nel triathlon in carrozzina.

Oney Tapia nel 2011 lavorava imbracato a un albero mentre un ramo gli è caduto in testa, danneggiando per sempre i suoi bulbi oculari. «Mi dissero che non avrei più visto», ha raccontato l’atleta che a Tokyo ha esultato con due bronzi (getto del peso e lancio del disco), «all’inizio ridevo quando mi spiegavano quante cose possono fare i non vedenti». Sempre ricca la raccolta del paraciclismo: 7 medaglie, con 1 oro nell’handbike a squadre con Cecchetto, Mazzone e Colombari, 5 argenti e 1 bronzo. L’Italia è tornata sul podio del tennistavolo con Brunelli e Rossi nella prova a squadre (terze). A regalare il “gran finale” ci hanno pensato le centometriste dell’atletica Ambra Sabatini (record del mondo), Martina Caironi e Monica Contrafatto: una storica tripletta sotto il diluvio. Monica, ex bersagliere, ha perso una gamba in Afghanistan: «È un posto che mi ha tolto qualcosa, però mi ha anche regalato tanto. Lì la gente ha un cuore d’oro e dedico a loro questa medaglia. Se potessi, tornerei lì per aiutare le persone».

Da brividi la storia di Alessandro Ossola, sprinter che ha esordito ai Giochi il 29 agosto 2021, esattamente 6 anni dopo l’incidente in moto in cui ha perso la gamba sinistra e ha visto morire sua moglie. «Lo sport per me è stato un puntino di luce in mezzo a tanto buio» ha detto, in lacrime, felice anche senza medaglia.

A Tokyo si sono presi la copertina tanti atleti internazionali. La ciclista Masters ha vinto la 9a e la 10a medaglia olimpica in quattro diversi sport, inclusi quelli invernali. La gioia di esserci è stata la vittoria degli afghani Rasouli e Khudadadi, arrivati in Giappone dopo una fuga e sostenuti dal tifo del mondo intero. Si è confermata un vero fenomeno Jessica Long, 27 podi olimpici a soli 29 anni. Ha ragione la pubblicità della Toyota che racconta la sua storia: «La bambina ha una patologia rara e dovranno amputarle le gambe, la sua vita non sarà facile. La vuole ancora?» chiedono alla mamma adottiva. E lei risponde che «potrebbe non essere facile, ma potrebbe anche essere una vita fantastica».

La pallavolista americana Webster ha giocato incinta del terzo figlio, dopo che a Londra 2012 era in dolce attesa del secondo. Nel sitting volley maschile, invece, ecco il secondo uomo più alto al mondo. È Morteza Mehrzad, 246 cm, campione olimpico con l’Iran, Paese-rivelazione delle Paralimpiadi (un oro in più della Francia e tre in più della Spagna) nonostante nel 2019 un dossier di Human Rights Watch parlasse di discriminazioni, abusi, insulti e umiliazioni subite da cittadini con invalidità.

Leggi anche: Disabilità nelle serie TV, cambia la rappresentazione: il pietismo è al bando (retisolidali.it)

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