PINOCCHIO. DISOBBEDIENZA E COSCIENZA DI SÈ PER DIVENTARE UMANI

Pinocchio di Guillermo Del Toro, su Netflix dal 9 dicembre, è toccante, commovente, a tratti macabro. E molto politico. Un film contro tutte le imposizioni, i totalitarismi, le omologazioni

Da piccolo, ero uno di qui bambini a cui Pinocchio non è mai davvero piaciuto. Avevo letto il libro di Carlo Collodi, senza trovarlo particolarmente avvincente. Avevo anche un pupazzetto di Pinocchio, ma i miei genitori ricordano che, una volta preso in mano, dopo aver toccato il suo naso e il mio, lo avevo buttato via. Nel corso degli anni, vedevo però che quel libro di Collodi continuava a venire adattato, in tv, al cinema, a cartoni animati o con attori. Ma non mi ha mai commosso: né la versione della Disney né quella televisiva di Comencini, né quella di Benigni né quella di Matteo Garrone. Credevo che la cosa avesse a che fare con il naso. Fino a che, una mia stimata collega, mi ha suggerito che forse, in Pinocchio, a non andare fosse quel carattere continuamente punitivo, colpevolizzante, del libro di Collodi. Probabilmente è proprio così, Fino ad ora l’unica versione di Pinocchio a commuovermi davvero era stata un film che non si chiamava nemmeno Pinocchio, ma A.I. Intelligenza Artificiale: ma lì c’erano di mezzo Spielberg, Kubrick e un racconto di Brian W. Aldiss. Ora vent’anni dopo, sono tornato a commuovermi per la prima volta con un adattamento dall’opera di Collodi. È il Pinocchio di Guillermo Del Toro, un gioiello di animazione, girato con la tecnica della stop motion, ed è disponibile in streaming su Netflix dal 9 dicembre. Il Pinocchio di Del Toro è un film toccante, commovente, a tratti macabro. E molto politico. Ma la cosa più importante è che, per la prima volta, non è più quel racconto punitivo e colpevolizzante che è sempre stato Pinocchio.

Pinocchio perde per la prima volta quella sua aria punitiva 

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Del Toro sembra voler dire che non esistono bambini cattivi, ma figure adulte di riferimento non all’altezza

Guillermo Del Toro, dopo oltre cento anni, per la prima volta ribalta la favola di Collodi e tutti quelli che, fin qui, sono stati gli adattamenti di Pinocchio. Che avevano sempre fatto vedere, in linea con il libro, Pinocchio come il bambino cattivo, disobbediente, quello che evidentemente aveva poco senso del dovere e di responsabilità. Quello per cui era facile cadere in tentazione, abbandonare la retta via, farsi traviare ora dal Gatto e la Volpe, ora da Mangiafuoco, ora da Mastro Ciliegia. Qui finalmente, è tutto diverso. Sono gli altri a mettere Pinocchio nelle situazioni più difficili. Qui è Geppetto – che ha creato il burattino dopo aver perso suo figlio – a chiedere a Pinocchio di essere qualcuno che non è e che non potrà mai essere. È proprio lui, il “padre” a dire al figlio di essere un fardello, un peso, E in questo modo lo allontana, lo fa andare via di casa, gli fa prendere un’altra strada. È come se il film di Del Toro volesse dirci che non esistono cattivi bambini, ma genitori non all’altezza. Genitori, o educatori, o figure di riferimento, modelli di comportamento. Finalmente, dopo oltre cento anni, Pinocchio non è più il bambino che era stato sempre disegnato, quello che non seguiva i precetti e, puntualmente, si trovava nei guai, perennemente punito, incolpato. Pinocchio, davvero, qui è un bravo ragazzo, uno che ce la mette tutta. E finalmente, dopo tanti anni, il racconto Pinocchio perde per la prima volta quella sua aria punitiva, quel senso di educazione colpevolizzante, costrittiva. Che poi è quell’educazione legata a una visione ormai superata, di fine Ottocento. “Perché era buono» dice di lui un personaggio, a un certo punto della storia. E, così esplicitamente, non ricordiamo di averlo mai sentito dire da nessuno. «Il mio film fa vedere quanto possa essere spaventosa la condizione dell’essere bambino» ha spiegato Guillermo Del Toro. «Non mi è mai piaciuto il fatto che tutta la fiaba ruotasse intorno al concetto dell’obbedienza, intesa come massima virtù. Ho capovolto la prospettiva: volevo dire che, per essere amati, non è necessario cambiare la propria natura»

Andare a scuola per essere omologato

«Ogni precedente versione di Pinocchio, compresa la fonte originaria di Collodi, parla dell’importanza dell’obbedienza e del dire la verità» ha spiegato ancora Del Toro. «Il mio Pinocchio considera invece la disobbedienza come fattore principale nel tentativo di diventare umani. Per me, il primo passo verso la coscienza del sé è proprio la disobbedienza, grande spartiacque tra idee e ideologia». Tutto questo acquisisce ancora più valore se pensiamo che il nuovo Pinocchio è ambientato in quello che è il contesto più punitivo e opprimente che si possa immaginare, l’Italia degli anni Trenta, l’Italia di Mussolini, del Fascismo. E quei modelli educativi con cui si confronta Pinocchio sono il podestà, un gerarca fascista, che capiremo essere il padre di Lucignolo, e il parroco del paese. Secondo il gerarca fascista, allora, Pinocchio è un “sovversivo”, un “libero pensatore”, e che deve andare a scuola per essere “omologato”. A vederla in questo modo, tutto torna. Perché da fine Ottocento, al Fascismo, fino ad anni tutto sommato recenti, l’educazione veniva vista appunto come omologazione. Ed è quello che, in qualche modo, qui fa anche la Chiesa. Il prete sembra abbinato al podestà, e in perfetta sintonia con lui. Così il prete dice ben presto che un burattino che parla non può che essere figlio del Diavolo. «Lui è fatto di legno, come me. Perché tutti lo amano e tutti mi odiano?» dice Pinocchio mentre, in chiesa, guarda un crocifisso. Una domanda lecita, dal suo punto di vista. Geppetto gli spiega che è perché non lo conoscono. E quello che non si conosce fa paura.

Pinocchio, un segnale di empatia e di solidarietà

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Il Pinocchio di Guillermo Del Toro è disponibile in streaming su Netflix dal 9 dicembre. Cr: Netflix © 2022

La storia di Pinocchio, allora, viene completamente riscritta. Non ci sono il Gatto e la Volpe, non c’è Mangiafuoco, ma un burattinaio che si chiama il Conte Volpe (il nome riprende uno dei personaggi di cui sopra, ma è probabilmente ispirato al conte Giuseppe Volpi di Misurata, che ebbe un ruolo nel governo fascista), che, con i suoi burattini, mette sul palco scene di guerra. E cambia completamente volto anche il Paese dei Balocchi, che qui diventa un campo di addestramento da guerra. E dove Pinocchio, ancora una volta, dà un grande segnale di empatia e di solidarietà: messo dal gerarca fascista in un gioco di guerra, contrapposto alla squadra di Lucignolo, riesce a vincere la gara e a issare la bandiera non sconfiggendo l’altro bambino, ma collaborando, arrivando alla fine insieme a lui. È un grande messaggio di tolleranza, di pace, Inutile dire che il suo gesto, in quel mondo, non verrà capito.

Tradire Collodi per rendere finalmente la storia toccante

Nessuno, in decenni di adattamenti del famoso romanzo di Collodi, aveva mai ripensato e riscritto la sua opera in questo modo. Guillermo Del Toro l’ha tradita, ma facendolo l’ha resa finalmente attuale, toccante. Il suo Pinocchio è commovente come il mecha David di quel film di Spielberg, A.I., un bambino meccanico, un’intelligenza artificiale che aveva solo il peccato, come questo Pinocchio – e come tutti i bambini, solo i bambini, sanno fare – di amare incondizionatamente. Il Pinocchio di Guillermo Del Toro è coraggioso, anticonformista, antifascista. È un film contro tutte le imposizioni, i totalitarismi, le omologazioni. È una fiaba dark cruda e non per bambini. Ma è assolutamente da vedere.

 

PINOCCHIO. DISOBBEDIENZA E COSCIENZA DI SÈ PER DIVENTARE UMANI

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