“SUL PIÙ BELLO”: 4 OTTIME RAGIONI PER VEDERE UN FILM SPECIALE

Per come raffigura le donne, per come affronta il tema della malattia, come parla di body shaming e perché girato dopo il lockdown

«Li avete visti quei film dove la protagonista ha una malattia, ma nonostante la malattia, i respiratori e il resto conquista sempre il più figo della scuola? Ecco: non è la mia storia». Inizia così, con la voce narrante di Marta (Ludovica Francesconi), “Sul più bello”, il sorprendente film d’esordio di Alice Filippi presentato ad Alice nella città, sezione indipendente della Festa di Roma, e in uscita al cinema il 21 ottobre. È uno di quei film che siamo soliti chiamare teen dramedy, un classico della commedia romantica, quella della storia d’amore con l’ostacolo di una malattia (vedi Tutta colpa delle stelle e Ad un metro da te), uno di quei film che gli americani sanno fare benissimo, e riesce a farlo meglio di loro.  La chiave è ribaltarne completamente i presupposti, con un’ironia, e un pizzico di scorrettezza, fuori dal comune.

“Sul più bello” è la storia di Marta, una ragazza che non è proprio bellissima e sin da piccola soffre di una malattia, la mucoviscidosi, più nota come fibrosi cistica. Ma è una ragazza piena di energia, sogna il grande amore e non accetta che nessuno le dica di accontentarsi: vuole il ragazzo più bello. Quando incontra Arturo (Giuseppe Maggio) decide che è lui. Sul più bello è pieno di buoni motivi per essere visto: perché raffigura le donne nelle commedie romantiche in un modo completamente nuovo, perché affronta il tema della malattia in modo inedito, perché parla di body shaming in modo non scontato. E perché è un film che è stato girato quasi interamente dopo il lockdown dovuto al Covid-19. E anche per questo ha in sé una consapevolezza diversa.

 

Sul più belloSe la donna prende in mano il gioco

La prima cosa che ci ha sorpreso è il carattere di Marta: è lei quella che prende l’iniziativa, lei che in teoria dovrebbe essere la più insicura. Ma la novità non si ferma a questo. Nelle commedie romantiche è capitato che un ragazzo poco avvenente riuscisse a conquistare la ragazza più bella, ma non abbiamo mai visto fare lo stesso a una ragazza, non è mai successo che una donna potesse conquistare qualcuno grazie alla personalità e all’ironia. «La cosa che mi è piaciuta subito è stato vedere una donna che prende l’iniziativa, una donna che invita a cena» commenta Michela Straniero, autrice della sceneggiatura con Roberto Proia. «Quando è uscito il trailer mi hanno fatto tenerezza i commenti. C’era chi si lamentava, qualcuno che aveva ancora una visione antica della donna. E c’era chi rispondeva ai commenti dicendo: ancora non siete abituati a vedere una donna forte e volitiva?».

Body shaming, anche al contrario

Sul più bello ci parla anche in modo nuovo di body shaming, un tema oggi molto attuale, di diversità, di pregiudizio. «La cosa che ci piaceva di Marta era che per lei era più un problema non corrispondere ai canoni di bellezza che non la malattia in sé. La malattia è qualcosa che viene dopo, quando escono fuori i sentimenti», commenta Michela Straniero. «Ed esce fuori anche la sua superficialità. Arturo la identifica immediatamente: tu sei superficiale, perché vuoi me perché sono bello. Ma anche la visione che hai di te stessa è superficiale. Marta è un personaggio che deve crescere anche battendo la sua superficialità, superando la visione che gli altri hanno di lei, e che è qualcosa che lei ha introiettato, qualcosa in cui tutti, prima o poi, ci riconosciamo. La sua crescita è liberarsi dallo stereotipo che le hanno imposto». «Viviamo in una società dove i social dettano le regole e i ragazzi si trovano davanti a modelli da seguire, a cui assomigliare per non perdere la propria identità» ragiona la regista Alice Filippi. «Marta ci insegna che si deve trovare la propria identità, ognuno di noi ha i propri sogni e non si deve inseguire la vita degli altri».

Ma la cosa interessante è che il body shaming è qualcosa che può avvenire anche al contrario. «Può esserci body shaming anche verso le persone attraenti» commenta Giuseppe Maggio. «Arturo è vittima di body shaming perché è troppo bello, e tutti noi pensiamo che perché è così debba essere anche stupido. E invece in lui c’è un vaso di pandora. le tappe di crescita che Arturo segue, sono importanti: è tutto sfumato non è tutto bianco o tutto nero».

Ironizzare sulla malattia

Ma “Sul più bello” ci piace soprattutto per come è affrontata la malattia. La protagonista non si piange mai addosso, anzi ha più energia e più vitalità di tutti gli altri. Non è mai rassegnata e insicura, anche nella sua condizione «Quando il primario del policlinico di Torino ha detto che la mucoviscidosi poteva essere una malattia plausibile per raccontare questa storia, abbiamo pensato che avesse un nome su cui la protagonista potesse ironizzare», spiega Michela Straniero. «Che poi è un po’ uno scudo. Con questa ironia lei si protegge dalla malattia e anche dalla morte».

Ludovica Francesconi e Giuseppe Magio (@ Claudio Jannone)

«Marta mi ha mostrato un’altra grinta, un modo di essere che mi ha fatto vedere il mondo sotto un altro punto di vista», racconta l’attrice protagonista, Ludovica Francesconi. «È malata, ha una malattia terminale. Ma facendo incontri con una pneumologa ho capito che per lei era la sua routine, una cosa con cui è nata. Non la vedeva come un limite, ma un ostacolo da superare a testa alta».

«Il film è piaciuto molto ai nostri ricercatori» spiega Patrizia Adami, della Fondazione Ricerca Fibrosi Cistica, che ha dato il patrocinio scientifico al film. «È molto rigoroso. Su questa malattia sono stati fatti molti film, l’ultimo, dell’anno scorso, è “A un metro da te”». «Questo film ha la forza di raccontare la malattia non in maniera compassionevole», continua, «ma in maniera ironica, e in qualche modo rappresentando in maniera più vera i malati: persone con tantissima forza, tantissimo coraggio e personalità. E il fatto di cercare a tutti i costi di realizzare i propri sogni» La fondazione è stata creata da Matteo Marzotto nel 1997. La fibrosi cistica è la malattia genetica grave più diffusa e in quel momento era orfana di cure. Oggi la fondazione è l’ente di ricerca in Italia. «Oggi la ricerca sta facendo passi da gigante», spiega Patrizia Adami. «È una malattia subdola perché ha migliaia di mutazioni genetiche e ci sono malati più gravi e meno gravi».

Quel sentimento post Covid-19

Il film ha avuto un percorso molto particolare. Si è lavorato sul set un giorno e mezzo sui 33 previsti, e poi c’è stato il lockdown. Gran parte del film è stato girato dopo, e anche per questo è intriso di un sentimento post Covid, quell’idea di cercare di godersi ogni momento, ogni piccola cosa. «Avere tutti condiviso una malattia, una insicurezza che ci ha circondati ha fatto sì che ci fosse più consapevolezza», riflette Alice Filippi. «E questo ci ha reso tutti poi profondi nel raccontare questa storia».

 

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