LA STRADA E PINOCCHIO: RACCONTI DI ERRANZE FUORI POSTO E TRASFORMAZIONI

Pinocchio, in scena il 21, 22 e 23 novembre al Parco Colli Aniene, a Roma, nasce da La Strada, un progetto teatrale e sociale che coinvolge persone senza dimora, con la regia di Veronica Pace, la compagnia Shakespeare in Sneakers e la Cooperativa Sociale Il Cigno

di Maurizio Ermisino

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La Strada. Lo spirito di Federico Fellini, il tendone di un circo e uno spettacolo teatrale unico, Pinocchio. L’appuntamento è per il 21, 22 novembre alle 21 e il 23 novembre alle 17.30 al Parco Colli Aniene, in via Urbano Cioccietti, a Roma. La Strada è un progetto teatrale e sociale che coinvolge persone senza dimora in un percorso creativo finalizzato alla messa in scena di questo spettacolo, con la regia di Veronica Pace, con la compagnia Shakespeare in Sneakers e in collaborazione con la Cooperativa Sociale Il Cigno. L’iniziativa ha il sostegno del Comune di Roma, del Municipio Roma IV e del Ministero della Cultura e l’organizzazione di Zetema. Come nel capolavoro di Fellini, che ispira il titolo del progetto, la strada non è soltanto un luogo fisico, ma un simbolo di vita vissuta, di percorsi spezzati e di incontri tra anime ferite. È su questa strada simbolica che il progetto si muove, offrendo alle persone marginalizzate l’opportunità di raccontarsi. Il nuovo Pinocchio di Veronica Pace nasce da un altro suo Pinocchio. «Il mio studio su Collodi è iniziato qualche tempo fa, ed è sfociato in uno spettacolo che parlava di guerra, di infanzia ferita e dei bambini vittime di tutte le guerre» ci racconta. «C’era un momento in cui i giocattoli dei bambini feriti parlavano dei loro compagni di gioco, e si chiudeva con una bambola che parlava di Maja, una bambina di Gaza». «Oggi Pinocchio rappresenta l’erranza, la ricerca» continua. «È un burattino che cerca di diventare vero, di essere riconosciuto e amato, che si sente fuori posto». Collodi così diventa, nelle mani di Veronica, qualcosa di completamente nuovo. «Una donna che si chiama Azzurra, che è una fata turchina clochard, va in giro con un carrello pieno di bambole, che sono le persone ferite, l’umanità, la fragilità» ci svela l’autrice. «Questa donna senza fissa dimora è interpretata da un’attrice. Intorno a lei ci sono veramente delle persone senza dimora. Da qui parte il racconto con alcune scene topiche di Pinocchio. Da una parte ci sono i contenuti, che hanno a che fare con la marginalità, dall’altra alcune persone senza dimora che interpretano personaggi come il Gatto e la Volpe, il Giudice Gorilla e altri».

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Dalla tensostruttura al tendone del circo, a Fellini e La Strada

Ma come è nata l’idea de La Strada?  «Cercavo un progetto forte e avevo partecipato a dei bandi dal taglio sociale» ricorda la regista. «È come se, in questa società malata, atrofizzata, abituata alla crudeltà, avessi bisogno di portare umanità. Volevo portare il teatro nei centri d’accoglienza, fare qualcosa per chi è in difficoltà. È arrivato questo bando. E una mattina, mentre ero sul letto con il computer e la gatta vicino, ho fatto un’associazione di idee: le persone senza fissa dimora, la tensostruttura, il tendone del circo, Fellini. Che cosa possiamo fare? Pinocchio, perché l’ho indagato e so quali aspetti posso portare in scena». «Il bando è stato costruito seguendo gli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’ONU» ci racconta Fabrizio Villeggia, dello staff dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Roma. «È in linea con le azioni di promozione del welfare culturale. L’attività culturale è il motore della coesione sociale, dello sviluppo della promozione del benessere individuale. Cerchiamo di favorire l’accesso alla cultura, che viene riconosciuta come un bisogno principale. Si cerca di riconsegnare la cultura a tutta la città, ma anche a quel tessuto sociale che la vedeva come un mondo lontano, di riconnettere la cittadinanza con la bellezza di Roma».

I senza fissa dimora portano in scena grandi, profonde verità

La Strada, per queste persone, è l’opportunità di raccontarsi. Questi nuovi protagonisti sono pieni di mondo: portano una verità nuda, una poesia inconsapevole, che può risvegliare emozioni autentiche in chi guarda. «La seconda parte dello spettacolo è completamente inedita» racconta Veronica Pace. «Da quando Pinocchio entra nel Paese dei Balocchi c’è tutta un’altra verità. Ci sono loro, seduti sulle panchine, il posto dove finisci quando perdi tutto. Perché sono su questa panchina? Ognuno dice delle grandi, profonde verità. Bisogna capire che è molto facile finire sulla strada. E sdoganare l’idea che chi non ha dimora sia una persona che va in giro con il carrello, i cartoni e puzza di urina. Sono anche persone belle, che hanno sempre lavorato e per un incidente sul lavoro si trovano senza niente, perché se hai una rete in strada non ci finisci. Loro hanno portato la loro verità. Una parte le conservo nel cuore e non le dirò mai, altre sono portate in scena».

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Veronica Pace: «C’è gente che è stata in carcere, gente non scolarizzata, o che ha il cervello bruciato. Eppure si mettono a provare dalla mattina alla sera. Ascoltano podcast sul cambiamento climatico, hanno deciso di tornare a scuola»

Salire su un palco significa essere guardati, ascoltati, riconosciuti

Il teatro, come il viaggio del film, offre una possibilità di trasformazione: diventa via per una rivalsa che è tanto simbolica quanto concreta. Mettere in scena uno spettacolo con persone senza dimora significa restituire loro un posto sotto i riflettori, non per spettacolarizzare il disagio, ma per trasformare il palcoscenico in uno spazio di riscatto. Salire su un palco significa essere guardati, ascoltati, riconosciuti. Ma può essere il primo passo di un riscatto che possa compiersi appieno nella loro vita?  «Ci sono persone che hanno delle dipendenze» ci risponde l’autrice. «Ma da quando c’è questo progetto teatrale queste persone sono lucide. Perché non mi vogliono deludere, perché ho dato loro spazio. Queste persone, da quando stanno facendo teatro, sublimano con l’arte tutto quello che gli è successo. Mi sono messa in ascolto e ho detto che mi piacerebbe scrivere di loro, capire insieme cosa si può dire e cosa no. Loro si sentono ascoltati, si sentono parte di qualcosa di bello. E hanno iniziato un percorso diverso». «Ho visto queste persone crescere» conferma Fabrizio Villeggia, che, prima che alla cultura, è stato alle politiche sociali. «Dalle prime prove, in cui erano delle persone curve, che parlavano a bassa voce, sono diventate persone che si sanno presentare, che hanno una sicurezza in se stessi, sono orgogliosi di quello che stanno facendo. All’attività di accoglienza dei centri così si aggiunge il benessere psicofisico che migliora l’investimento che la città fa sulle persone che vivono in strada per far superare loro la situazione di perdita dell’autonomia».

La Cooperativa Sociale Il Cigno e Shakespeare in Sneakers

Il progetto è realizzato in collaborazione con la Cooperativa Sociale Cigno, impegnata da anni nell’accoglienza e nel reinserimento delle persone in condizioni di marginalità. Le persone senza dimora hanno preso parte a un laboratorio teatrale di tre mesi, lavorando con gli attori della Compagnia Shakespeare in Sneakers, composta da giovani under 30. «Gli operatori del centro gridano al miracolo» ci spiega Veronica Pace. «C’è gente che è stata in carcere, gente non scolarizzata, o che ha il cervello bruciato. Eppure si mettono a provare dalla mattina alla sera. La speranza si costruisce. Già il fatto che siano meno depressi, meno tristi, a fare  insieme è qualcosa. Ascoltano podcast sul cambiamento climatico, hanno deciso di tornare a scuola». Quanto agli operatori della Cooperativa Cigno, «sono straordinari, vedo come lavorano, l’amore che ci mettono, la dedizione» ci spiega la regista. Per i ragazzi della compagnia Shakespeare in Sneakers quello con i senza dimora «è stato un incontro meraviglioso», come ci ha raccontato Veronica. «Ogni settimana mi carico la macchina di ragazzi. Arrivano da Bologna, dal Veneto. Piangono ogni volta. Sono colpiti dalle storie, dalle persone. E, quando loro non ci sono, ci mancano tanto».

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