LA SPOON RIVER DEI BRACCIANTI. RITRATTO IN FILIGRANA DELLA SOCIETÀ ITALIANA

Contro una narrazione pietista e la monocultura razzista, La Spoon River dei braccianti, di Antonello Mangano, racconta di morti nelle campagne italiane. E non solo

Nel 1989 tre rapinatori uccidevano a colpi di pistola Jerry Masslo, rifugiato sudafricano, attivista: lavorava in campagna perché gli avevano negato i documenti. Trent’anni dopo un uomo sparava contro Soumaila Sacko, rifugiato del Mali, sindacalista, anche lui alle prese con il permesso di soggiorno. «Le due vicende presentano impressionanti analogie. Dimostrano che i migranti, da decenni, non sono un’emergenza, ma forza lavoro da sottomettere», osserva il giornalista freelance Antonello Mangano nel volume La Spoon River dei braccianti, pubblicato da Meltemi, che racconta di morti nelle campagne italiane ma non solo. «Parla delle loro vite, dei loro amici, dei loro viaggi e delle serate passate a raccontarsi. Ci fa capire tanto di quel mondo. E tanto di questo Paese».

Spezzare la monocultura razzista

La Spoon River dei braccianti
Soumaila Sacko rifugiato del Mali, sindacalista, ucciso a fucilate mentre raccoglieva lamiere per la sua baracca

Autore di ricerche, inchieste e saggi sui temi di migrazione e lotta alla mafia, Mangano è fondatore del progetto terrelibere.org nato nel 1999. Spiega fin dalle prime pagine il riferimento nel titolo e nell’impianto al capolavoro in versi di Edgar Lee Masters, Antologia di Spoon River, uscito nel 1915 e pubblicato in Italia nel ’43 con la traduzione di Fernanda Pivano. «Perché riferirsi, oggi, a quel libro? Nel corso del tempo è diventato quasi un luogo comune. Oggi, quando un giornale propone un elenco di morti, titola: “Ecco la Spoon river di…”. Il primo motivo è quello di assumere un punto di vista mancante. La novità delle narrazioni libertarie – di cui Spoon River è uno dei capisaldi – è quella di adottare lo sguardo degli sconfitti. Oggi assistiamo a una narrazione paternalistica degli “invisibili”, così li chiamano, la cui voce è semplicemente ignorata e attutita dal sottofondo che li considera persone a metà. Il secondo motivo è la necessità di spezzare la monocultura razzista imposta da trent’anni di egemonia politica della Lega». E accusa senza mezzi termini: «Questo continuo martellamento, nelle dichiarazioni e nei provvedimenti che hanno reso difficile la vita ai migranti, è diventato un senso comune capace di legittimare gli atti di razzismo dei comuni cittadini. Dall’insulto alle fucilate. Ricordiamo che questa legittimazione non è arrivata da politici marginali, ma da governatori, ministri dell’Interno, sindaci di importanti città. Così gli uomini che hanno imbracciato i fucili che hanno ucciso Soumaila Sacko e Mamadou Sare si sentivano difensori della proprietà e del suolo nazionale. I funzionari che hanno firmato il diniego per Becky Moses, poco meno che la sua condanna a morte, erano orgogliosi di essere la “frontiera interna” contro l’invasione, contro questi che si fingono rifugiati e poi ci portano la guerra in casa, se non la sostituzione etnica». E ancora: «La Bossi-Fini, la più longeva delle leggi sull’immigrazione, mai messa seriamente in discussione, prevede un calvario di documenti che praticamente tutti gli ospiti dei ghetti hanno sperimentato. Adnan Siddique, quando ha varcato la porta delle forze dell’ordine per denunciare il caporalato nel sud della Sicilia, non è stato creduto e protetto, altrimenti sarebbe ancora vivo. Probabilmente, di fronte a lui c’era un uomo in divisa che credeva di ascoltare una storia di litigi tra pakistani, non una vicenda che separava la civiltà dalla barbarie». Nel Lazio è successo tre anni fa: «Singh Gurjant è un bracciante indiano di 26 anni. Sta lavorando sopra una serra nei pressi di San Felice Circeo, provincia di Latina. Cade, probabilmente sbattendo la testa su una scala. Si ferisce gravemente. Anche perché non ha adeguati dispositivi di sicurezza. Il padrone lo porta in macchina al pronto soccorso di Terracina. Ma non c’è niente da fare. Muore poco dopo. È il settembre 2020».

Nessuna narrazione pietista

La Spoon River dei braccianti
Il sindacalista Abd Elsalam ucciso nel 2017 nel corso di uno sciopero

Eppure Mangano rifiuta una narrazione pietista del triste fenomeno, il suo è piuttosto un tono di denuncia nella speranza di migliorare la tutela dei diritti: «Loro sono i “poverini”. Il paradigma “miserabilista” dell’immigrazione non coglie altro che povertà materiale e inferiorità. Ma i migranti non sono un problema a sé, sono semplicemente la fascia più debole e ricattabile del mercato del lavoro. Se domani sparissero, non sparirebbe certo lo sfruttamento in Italia. Sarebbero sostituiti dalle fasce più ricattabili della popolazione locale». Infatti, argomenta il giornalista, si tratta di «figure da cui possiamo imparare, non da compatire». Perché «il ghetto, prima che un luogo fisico, è una barriera mentale. Una serie di associazioni meccaniche che ci portano a immaginare la questione circoscritta ai campi di pomodoro del Sud, a schiavi e schiavisti con la pelle nera imperlata di sudore, a un mondo arcaico da riportare alla civiltà con una solida attività ispettiva e repressiva. In realtà il grave sfruttamento non riguarda soltanto l’agricoltura. Ci sono inchieste per caporalato nel food delivery, nei cantieri navali, nella logistica, nella grande distribuzione. Si lavora a cottimo nelle rifiniture dell’automotive di lusso, c’è sfruttamento nella distribuzione del libro e nelle tipografie. Queste vicende riguardano ogni angolo d’Italia: dal Trentino al Veneto, dal triangolo della logistica Milano-Novara- Piacenza fino alle valli del bergamasco. Ed è appena il caso di ricordare Paola Clemente per spiegare che la questione non va affrontata dividendo italiani e stranieri, ma sfruttati e sfruttatori». Purtroppo a ogni latitudine e senza differenze sostanziali «le morti nelle campagne hanno spesso radici ben più profonde. Sono storie che rivelano in filigrana la società italiana: il razzismo diffuso, l’economia tribale di imprenditori improvvisati e onnipotenti. Sono storie che meritano di essere ricordate affinché tutto questo non si ripeta». Perché ormai le campagne «non sono luoghi isolati dove vivono schiavi senza consapevolezza. Durante una protesta, gli altri braccianti neri innalzano cartelli con scritto “Black lives matter”. Oramai, anche il più sperduto campo di arance del Sud Italia è connesso alle lotte globali».

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La Spoon River dei bracciantiAntonello Mangano
La Spoon River dei braccianti
Meltemi Editore, 2023
pp. 174 , € 14,25

LA SPOON RIVER DEI BRACCIANTI. RITRATTO IN FILIGRANA DELLA SOCIETÀ ITALIANA

LA SPOON RIVER DEI BRACCIANTI. RITRATTO IN FILIGRANA DELLA SOCIETÀ ITALIANA