A REBIBBIA IL CALCIO FEMMINILE APRE IL CARCERE AL MONDO

L’Atletico Diritti calcio a 5 femminile Rebibbia è l’unica squadra all’interno di un istituto penitenziario, fortemente voluta da Antigone. L’esperienza di Angela Del Gesso, la nuova allenatrice

C’è una squadra di calcio femminile, a Roma, che gioca tutte le partite in casa. È costretta a farlo. È la squadra di calcio a della squadra di calcio a 5 femminile dell’Altetico Diritti che gioca nel carcere romano di Rebibbia. Sì, quelle partite in casa sono tutte dentro il carcere. E sono importantissime. Per le ragazze, che in quelle due ore si sentono soltanto calciatrici e nient’altro. E per le altre squadre, che hanno la possibilità di entrare in quella realtà, conoscerla e capirla. Il carcere in questo modo si apre al mondo. Qualche mese fa l’Altetico Diritti, squadra che nasce da Antigone, associazione per i diritti e le garanzie nel sistema penale, ha presentato la nuova allenatrice. È Angela Del Gesso, storica colonna portante dell’Atletico San Lorenzo. Abbiamo deciso di conoscerla, per parlare della situazione delle ragazze nel carcere femminile e di cosa vuol dire per loro lo sport. Ma ci ha incuriosito anche la storia di questa atleta, che, da bambina, ha iniziato a giocare a calcio in un paesino del Molise.

Non era semplice essere l’unica ragazza in una squadra di ragazzi

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Angela Del Gesso: «Credo sia importante entrare in carcere perché non resti un mondo a sé, ma si apra alla società».

Angela Del Gesso ha iniziato a giocare a calcio da piccolissima. Il suo migliore amico a scuola giocava a calcio, ed era tifosissimo dell’Inter, quell’Inter di Ronaldo il fenomeno. «Avevo 10 cugini maschi, solo due femmine, i ragazzi della mia età erano tutti maschi» ricorda Angela. «Ho iniziato giocando con loro, per le strade di un piccolo paesino del Molise. I miei genitori hanno cercato di appoggiare questa mia passione, mi hanno iscritto a scuola calcio in quinta elementare, insieme a mio fratello». Angela fa tre anni di scuola calcio, e inizia a giocare nella squadra di calcio femminile, per poi passare al Campobasso femminile, e partecipare al campionato di Serie B femminile.  I genitori la appoggiano da subito, ma, anche se in maniera indiretta, ingenua, il pregiudizio o lo stigma viene fuori sempre, anche con superficialità. «Se giochi a calcio allora sei un maschiaccio» racconta Angela Del Gesso. «Ovviamente ci sono le battute sugli stop di petto. E poi gli spogliatoi a parte, il fatto di non far parte mai di una squadra. Non era semplice stare in una squadra di ragazzi dai 10 ai 12 anni ed essere l’unica ragazza che provava a giocare a calcio. A loro era data la possibilità di giocare a calcio fin da bambini: la prima possibilità che ho avuto io è stata a 10 anni, in una scuola».

Quegli allenamenti aperti a tutte le bambine

Dopo aver giocato nel Campobasso, in Serie B, Angela Del Gesso per studio e lavoro si trasferisce a Roma, e incontra l’Altetico San Lorenzo, una squadra appena nata, nei cui valori Angela si ritrova pienamente. Allora c’era la squadra maschile di calcio a 11, e la squadra femminile di calcio a 5 che si allenava solamente. «Sono arrivata a marzo e a settembre, dopo i volantinaggi all’università, tante ragazze sono arrivate e hanno iniziato ad allenarsi» spiega. E la squadra femminile si è iscritta al campionato.  Angela Del Gesso così ha alternato la sua attività di giocatrice a quella di dirigente e allenatrice. Ha iniziato ad allenare da subito nel settore giovanile. All’Altetico San Lorenzo, il sabato mattina, accadeva qualcosa di molto bello.  «C’erano, e ci son ancora, gli allenamenti aperti a tutti e tutte, bambine e bambini» racconta l’allenatrice. È una cosa molto inclusiva. «Il mondo delle scuole calcio classiche non garantisce sempre l’accessibilità allo sport» commenta «E non solo per il genere. Le scuole calcio costano tanto, hanno la squadra A e la squadra B e poi i bambini che non fanno parte della squadra. L’Altetico San Lorenzo vuole che i bambini abbiano accesso allo sport indipendentemente dal loro genere, e dal livello. E che apprendano i valori dello sport». Ma cos’è che le piace di più dell’allenare? «Provare a dare ai bambini, e a chiunque viene allenato, quella che è stata la mia esperienza» risponde l’allenatrice. «Vedere bambini e adulti quando riescono in qualcosa, nel tiro nell’azione, vedere che l’insegnamento ha portato il frutto anche in chi è più indietro e non ha le doti naturali del calcio».

L’Atletico Diritti femminile Rebibbia

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«Quando escono dai reparti ed entrano in campo le detenute sono calciatrici. E questo le aiuta a staccare dalla loro condizione, dagli stereotipi che si portano addosso»

E così è arrivata l’esperienza nel calcio femminile a Rebibbia. È arrivata con l’Atletico Diritti, che nasce dall’Associazione Antigone, che si occupa dei diritti dei detenuti e delle detenute nel carcere di Rebibbia femminile. «Ha fondato questa polisportiva, insieme a Progetto Diritti che aveva squadre al di fuori del carcere» ci racconta Angela Del Gesso. «L’Atletico Diritti calcio a 5 femminile Rebibbia è l’unica squadra all’interno di un istituto penitenziario, è stata fortemente voluta dall’associazione Antigone, dall’ex allenatrice ed ex calciatrice Carolina Antonucci, e da Giorgia Caforio, l’allenatrice in seconda. Sono riusciti a creare questa squadra all’interno di Rebibbia femminile». «Io sono arrivata a fine ottobre» continua. «C’era bisogno di un’allenatrice. Hanno voluto una persona che avesse la loro stessa idea di sport, ma anche del carcere. E hanno contattato l’Altetico San Lorenzo, Io conoscevo già Antigone e Atletico Diritti. Ci ho pensato qualche giorno ma era un’esperienza tempo importante per rinunciarci, e tramite incastri e salti mortali ce l’ho fatta».

Il carcere non resti un mondo a sé

Angela Del Gesso era già entrata in carcere per un’amichevole, qualche anno fa. «Era tra Altetico Diritti e Altetico San Lorenzo, un torneo di Natale» ricorda. Ma che mondo ha trovato tornandoci stabilmente oggi? «Il carcere è un mondo a sé» riflette. «E credo sia importante entrare in carcere proprio perché non resti un mondo a sé, ma perché si apra alla società. Che sia per una partita di calcio, per un’allenatrice che va a lavorare lì, o per le squadre che entrano e partecipano allo stesso campionato femminile. E che possano andare a fare visita a queste ragazze che sono costrette a giocare tutte le partite in casa. E quindi è importante che all’interno del carcere ci siano queste attività, che sia lo sport ad essere entrato in carcere. Lo sport è un trasformatore sociale importante».

Quando entrano in campo sono solo donne che giocano a calcio

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«Avevo 10 cugini maschi, solo due femmine, i ragazzi della mia età erano tutti maschi. Ho iniziato giocando con loro, per le strade di un piccolo paesino del Molise»

Ma che tipo di persone ha trovato Angela Del Gesso una volta entrata in carcere? «La difficoltà maggiore nell’allenamento, oltre a tutto quello che è burocrazia, che fa parte di quel mondo, è che le ragazze hanno diversi livelli di preparazione a livello motorio» ci spiega. «Perché dipende dalla società in cui sono cresciute: molte di loro non hanno mai avuto la possibilità di accedere allo sport e soprattutto al calcio. È difficile gestire un gruppo in cui le giocatrici sono a tanti livelli diversi. E tenerle insieme e far capire che la squadra è unica, che bisogna aiutarsi a vicenda, avere pazienza, e che chi è rimasto indietro possa raggiungere il livello di chi è più avanti». Delle loro storie, le detenute non parlano mai sul campo di calcio. «Per me, e vorrei che anche per loro fosse, quando escono dai reparti ed entrano in campo sono donne che giocano a calcio» ci spiega Angela. «Loro, in quelle due ore dell’allenamento o della partita, sono calciatrici. E questo le aiuta a staccare dalla loro condizione di detenute, dagli stereotipi che si portano addosso come donne e come donne detenute».

Il carcere, un mondo che deve aprirsi alla società

«In loro c’è tanta umanità» continua Angela Del Gesso. «È pur sempre una partita di calcio e le ragazze arrivano agitate, emozionate, come in ogni sfida di sano agonismo che si rispetti. Dal loro punto di vista penso sia importantissimo svolgere questa attività, anche se all’interno dell’istituto penitenziario. E che sia importante per le squadre che da fuori entrano all’interno di questo mondo che deve aprirsi alla società, e vedere quella che è l’umanità che c’è lì dentro». E lo sport, il calcio, può essere importante per queste donne anche una volta fuori. «Uscire e continuare a praticare sport all’interno di ambienti di sport sano è sicuramente un’ancora di salvezza, un aiuto a non ricadere» spiega Angela Del Gesso. «Significa portare avanti quello che lo sport ti ha iniziato ad insegnare all’interno del carcere. Ritrovare fuori dal carcere una società o uno sport con valori sani che le possa accompagnare penso sia molto importante».

 

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