RIFORMA DEL TERZO SETTORE: LE LUCI E LE OMBRE

Occhio puntato su fondi, piccole associazioni e decreti attuativi. Intervista con Maria Cristina Antonucci

di Claudia Farallo

Il 9 aprile la Camera dei Deputati ha approvato il testo della Delega al Governo per la riforma del Terzo settore, che quindi passa al Senato. Il 22 dello stesso mese Forum Terzo Settore, Convol e CSVnet hanno diramato una dichiarazione congiunta, in cui denunciano la messa ai margini del volontariato e ribadiscono la propria non soddisfazione rispetto alla forma attuale del ddl. Il prossimo appuntamento è il 9 maggio, quando a Roma partirà un’iniziativa di autoconvocazione del volontariato in cui – pare – i toni saranno accesi. La riforma del Terzo settore, a lungo attesa, sembra non convincere fino in fondo. Ne abbiamo parlato con Maria Cristina Antonucci, ‎ricercatrice CNR e Docente in Associazionismo e Rappresentanza del Terzo Settore presso l’Università Roma Tre.

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Maria Cristina Antonucci è ‎ricercatrice al CNR e Docente a Roma Tre

Riforma del Terzo Settore. Quali pericoli per il volontariato?
«L’unico pericolo che riesco a individuare riguarda il tentativo di consultare e prendere in carico maggiormente le opinioni delle grandi associazioni e delle grandi reti, soprattutto da parte del soggetto che è deputato all’attività di valutazione, vigilanza, monitoraggio e controllo, che è il Ministero del Lavoro, insieme all’Agenzia delle Entrate. Quindi il prevalere di organizzazioni più grandi sulle organizzazioni di volontariato più piccole, che sono le maggiormente diffuse sul territorio».

Si rischia una riforma non su misura per l’associazionismo italiano?
«Sì, per lo meno per la più diffusa realtà delle organizzazioni, di medio, piccolo e piccolissimo formato. Vedendo agevolato il ruolo delle reti ed evidenziata la funzione di vigilanza, monitoraggio e controllo da parte del Ministero del Lavoro, quindi da parte dell’autorità politica, forse una certa autonomia che questi soggetti esprimevano, e che costituiscono il volontariato più autentico, potrebbe trovare degli spazi di compressione».

Si accresce il rischio di clientelismo tra politica e Terzo settore?
«Ritengo questo sia un elemento di patologia e non di fisiologia del ddl di riforma. Una sostanziale interdipendenza tra un certo formato di volontariato e un sistema di welfare, soprattutto a livello locale, è connaturato ed è stato denunciato già a partire dagli anni ’80. Non credo sia accresciuto dalla prospettiva del disegno di legge».

Centri di Servizio per il Volontariato: cosa diventeranno?
«Vedo positivamente l’ampliamento delle sfere di attività dei Centri di Servizio per il Volontariato. Innanzitutto per quanto riguarda la stabilità del finanziamento sulla base di una programmazione triennale, che rende i CSV indipendenti dalle circostanze regionali e locali. Considero positivamente anche il fatto che ci sia un coordinamento maggiore, con tutti quanti gli organismi regionali e nazionali, del controllo dell’attività dei CSV, al fine di renderli più efficienti e di contenere i costi delle attività. Se c’è una stabilità di programmazione delle risorse finanziarie, insieme a una collaborazione gestionale rivolta a una platea più ampia di soggetti, è una prospettiva positiva. Ci vedo più delle opportunità che non dei rischi».

Nessun rischio che le risorse e i servizi dei CSV destinati al volontariato vadano a diminuire a favore di altre realtà?
«C’è da prestare una grande attenzione alla fase di redazione dei decreti attuativi da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri e, in particolare, del Ministro del Lavoro, per fare in modo che le risorse che sono destinate in questa nuova programmazione triennale siano considerate certe e stabili e mettano in grado i CSV di ampliare la platea dei destinatari delle proprie attività. Purtroppo, abbiamo rilevato tutti che il progetto di legge, quando sono state lanciate le linee guida, prevedeva importi ben superiori. Si parlava di 500 milioni di euro in 3 anni solo per le imprese sociali. Abbiamo visto che la cifra riportata, al termine della legge, è 50 milioni di euro e non si fa un eccessivo riferimento a quello che saranno le ulteriori dotazioni economiche per gli anni a venire».

Il volume di Maria Cristina Antonucci uscito nel 2014
Il volume di Maria Cristina Antonucci uscito nel 2014

Il volontariato è il soggetto più debole del Terzo settore: riuscirà a farsi spazio nei CSV in mezzo ad altri tipi di organizzazione?
«La questione si fa cruciale. Tutta l’attività di promozione della cultura volontariato, che viene evidenziata nell’art. 5 della riforma, sembra restare una delle attività principali posta in essere dai CSV. Credo che sia necessario ragionare anche in termini di reti e reti di reti di volontariato all’interno dei Centri di Servizio, per un coordinamento maggiore e per non retrocedere di fronte alla forza e agli interessi, anche economici, tenuti in piedi da altre forme di associazionismo. Per il volontariato può essere l’occasione per ripensare se stesso e cosa vuole ottenere, in questo nuovo contesto dei CSV e anche di relazione con gli altri soggetti del Terzo settore».

Profit e non profit: i confini si fanno più labili e c’è pericolo di concorrenza sleale con aziende senza queste facilitazioni fiscali?
«Dalla contaminazione tra profit e non profit possono nascere esperienze interessanti. Penso soprattutto a quello che è l’ampliamento dei settori di attività di utilità sociale, in cui si possono creare nuove imprese sociali. Sono una serie di attività che andrebbero a occupare anche degli spazi ancora disponibili, in cui il for profit non ha ritenuto sufficientemente profittevole investire capitali. Ben vengano queste maggiori opportunità per le imprese sociali, visto che nulla vanno a togliere alle imprese for profit.
Diverso, invece, è il discorso per i servizi gestiti dal welfare locale, in cui le imprese sociali andrebbero a togliere un carico tipicamente delle amministrazioni locali, sostituendo così con soggetti del Terzo settore quello che era un servizio pubblico. Vedo un pericolo opposto rispetto a quello di andare a togliere spazio alle imprese for profit: vedo un tentativo ulteriore del sistema del welfare di delegare al Terzo settore, a costi di gestione molto spesso più vantaggiosi sia per il pubblico che per il privato».

Piccole associazioni: sono tutelate da questa legge e ci sono, in questo senso, modifiche auspicabili al Senato?
«In effetti la disciplina va proprio nella direzione opposta, nel senso che tende a riconoscere e valorizzare il ruolo delle reti associative, da un lato, e a prendere in carico, nella consultazione sui temi della vigilanzia del Ministero del Lavoro, il parere delle organizzazioni più grandi. Sappiamo bene che nell’attività di assistenza alla persona e cura delle fragilità si tratta spesso di realtà associative più piccole. Si potrebbe quindi considerare una modifica per cui è possibile, anche considerando gli ambiti di attività, prendere in considerazione una pluralità di soggetti associativi del volontariato. Dando così la possibilità di ascoltare non solo le associazioni più grandi, ma anche quelle presenti all’interno di una pluralità di ambiti‎ di policy».

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