
ROMA. LA FILA DEI DIRITTI A VIA PATINI, UNA PROCESSIONE SENZA SANTI
A Via Patini a Roma la questura apre alle 8.30 del mattino, ma la lunga, estenuante attesa per un documento per vivere e lavorare dignitosamente inizia la sera prima. La chiamano “la fila dei diritti”, ma è soprattutto una coda di disumanità
26 Novembre 2025
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Coperte, sacchi, bustoni di plastica, teli di cartone e materassi sgangherati vengono utilizzati per comporre dei letti di fortuna. L’alternativa è dormire sull’asfalto. Il freddo anestetizza tutto, persino i bisogni fisiologici. «Non ti scoprire, trattienila più che puoi», sussurra una mamma al figlio mentre dal cielo di Roma scende una pioggerella fina che somiglia al nevischio, con la temperatura prossima allo zero. «Non ti scoprire che poi è dura». Sì, è dura davvero. La chiamano “la fila dei diritti”, ma è soprattutto una coda di disumanità. Una fila che non scorre, lungo lo stretto marciapiede di via Teofilo Patini adiacente alla questura, in zona Tor Sapienza, mentre gli automobilisti sfrecciano, indifferenti e indaffarati, persi nei loro pensieri della domenica e preoccupati soprattutto del lavoro che li attende in un ufficio riscaldato e alla solita scrivania del lunedì. Accanto a questa sorta di accampamento nei pressi di un ufficio ed esposto alle intemperie, senza servizi (un bar nelle vicinanze mette a disposizione il bagno, ma ovviamente di giorno), senza acqua e ovviamente senza un riparo, c’è gente che aspetta il proprio turno per rinnovare un permesso di soggiorno o chiederne uno nuovo. Sono stranieri e immigrati, ecuadoriani, peruviani, bengalesi, indiani, africani di ogni luogo. Sono rifugiati, richiedenti asilo, persone a cui serve un documento per vivere e lavorare dignitosamente, cittadini di un mondo che scarta ed emargina anziché accogliere. Sono gli ultimi, le vittime del sistema.

A via Patini chi arriva all’alba sa che è già tardi
Abbiamo visto questa fila con i nostri occhi ed è inevitabile abbinarla, con un paragone che stride e indigna, a quelle dei nostri giovani nei pressi dei cancelli di un palazzetto per guadagnare i primi posti di un concerto, all’esterno di una biglietteria per acquistare il tagliando per assistere a una partita di calcio o fuori da un negozio per acquistare il nuovo smartphone. Le motivazioni di questa coda, ovviamente, sono di ben altra natura. Qui lo svago non c’entra. «Voglio solo lavorare», ci racconta Luis. «Sono andata via dal mio Paese perché non era sicuro», ricorda Maria, pensando con paura e nostalgia alla propria terra. L’obiettivo è comune: «Spero solo in un destino più felice per la mia famiglia». La scena si ripete ogni sera, da anni. I primi che arrivano ci tengono a non perdere la priorità e si adoperano per stilare una lista su un foglio bianco. Sono le 22.00, l’ufficio è chiuso ma le volanti della polizia continuano a pattugliare la zona, chissà per garantire quale sicurezza e a chi. Quando arriva il freddo, come è arrivato a Roma in questi giorni di fine novembre che strizzano l’occhio all’inverno inoltrato, diventa tutto maledettamente più drammatico. Le porte della questura aprono alle 8.30, chi non ha passato la notte sul marciapiede si presenta verso le 5 del mattino, l’ora in cui i bivacchi si smontano e comincia la processione senza santi. Ma è già tardi. La sveglia all’alba è solo un tentativo, chi arriva sul posto quando il sole non è ancora sorto sa che non riuscirà ad accedere. Qualcuno litiga, «non fare il furbo, c’ero prima io», altri tentano di approfittare della distrazione e del sonno di qualcuno per scalare qualche posizione. E c’è persino chi ha trasformato la sofferenza in un business, facendosi pagare 50-60 euro per tenere un posto.
Come vincere alla lotteria
La prassi della Questura è scegliere solamente poche persone al giorno, 30-40 al massimo, mentre tutte le altre vengono respinte. È come vincere alla lotteria. Le colpe? Poco personale, pochi mediatori, troppa burocrazia. Si fa quel che si può, spiegano gli impiegati. Già trovare ascolto a uno sportello dopo una notte a tremare, prendendo un appuntamento per chissà quando, è considerato un successo. A inizio novembre a via Patini si è presentata una parlamentare, la senatrice del Pd Cecilia D’Elia, insieme a degli attivisti e a un gruppo di giornalisti e videomaker, e quel gran frastuono di voci e di telecamere ha attivato i responsabili dell’ufficio che in poche ore hanno smaltito la fila. «Questo è uno Squid game burocratico dove si va a tentativi e in cui le persone mettono a repentaglio la propria salute per ottenere un documento», ha spiegato Mattia Gregorio dell’Unione Sindacale di Base (USB).
Poverini: «Lì c’è gente che vive da anni in Italia, che ha anche un lavoro stabile»
Un anno fa qui fuori è morto un uomo di origine rumena. «Non era in coda», si è affrettata a chiarire la questura. La Croce Rossa rappresenta un presidio sociale. Il martedì sera qui è come se fosse Natale, visto che i volontari consegnano i pasti. Claudio Poverini è in prima linea. «Tè caldo, teli e cibo non bastano», ci racconta. «A volte hanno semplicemente bisogno di una parola di conforto, di qualcuno che gli dica “resisti” e “mi dispiace”. C’è da vergognarsi e da preoccuparsi perché lì, in quelle condizioni, probabilmente c’è manovalanza per la malavita. Lì c’è gente che vive da anni in Italia, che ha anche un lavoro stabile. Non sono condizioni accettabili». I volontari assistono anche i senza fissa dimora del Municipio V, di cui Poverini è consigliere. «Grazie all’associazione Casale Caletto riusciamo a distribuire i pasti per tutti. A volte anche la pizza, grazie a dei locali che ci regalano l’invenduto. Facciamo le porzioni e le portiamo. A chi vive per strada, alle persone in fila fuori l’ufficio immigrazione e alla parrocchia di San Barnaba, dove ci sono dei frati che si occupano di 45 persone senza fissa dimora».
Dalla normativa sui permessi a Via Patini
«Il problema è che non esiste un appuntamento per chiedere i permessi per motivi di famiglia o di lavoro o per i rinnovi, si va direttamente lì con le raccomandate», ha spiegato l’avvocato Massimiliano Barberini. «Non è possibile che la questura faccia entrare 40 persone al giorno senza un appoggio, un sussidio o un sostegno. Da un punto di vista giuridico, poi, se vieni da me come avvocato e mi chiedi “mi dia una mano per poter fissare un appuntamento” dovrebbe esserci un canale privilegiato o un sportello ad hoc. Ma oggi non c’è più. Non possiamo tutelarli». La normativa dei permessi si basa sul decreto legislativo 286 del 1998, con tutte le modifiche successive. «Oltre alla prima accoglienza, nei luoghi in cui si accede come i porti o le frontiere, si dovrebbe fare uno screening e applicare già lì la normativa. In quel modo si eviterebbero le resse fuori dalle questure», ha concluso il legale.






