ROMA, VERSO LA COPROGRAMMAZIONE NEL TERZO MUNICIPIO
Un incontro tra amministrazione municipale e organizzazioni del territorio per immaginare un percorso condiviso di coprogrammazione in un'area della città con più di 200mila abitanti
07 Giugno 2024
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Se la vera politica nascesse dal basso, forse il senso più alto del termine sarebbe davvero la condivisione sulla base della fiducia reciproca tra cittadini e istituzioni. Ecco perché viene chiamata coprogrammazione la grande sfida che Municipi e Comuni sono chiamati ad affrontare per risolvere i problemi in modo strutturale e abbandonare la solita logica emergenziale. Coprogrammare significa avere una visione comune e a lungo termine e non è affatto semplice quando un voto conta più di una soluzione e la politica fa e disfa la sua tela a seconda dei partiti al comando. Che tipo di attività sono necessarie per perseguire il bene comune? In una società abituata culturalmente a prendere di petto le questioni “un bando alla volta”, programmare diventa un orizzonte da perseguire unendo le più disparate realtà, da chi lavora in un determinato settore agli enti del terzo settore, dai volontari ai servizi educativi. Coprogrammare è un percorso lungo che non può esaurirsi in pochi mesi. «Stiamo dicendo: così mi immagino nel futuro quel determinato servizio in quel territorio specifico, la coprogrammazione è una costruzione di visione strategica e non un semplice affidamento di servizi» ha spiegato Maria Enrica Braga del CSV Lazio, durante un incontro del 4 giugno nella sala consiliare del Terzo Municipio di Roma, area con più di 200mila abitanti che include le zone urbanistiche di Monte Sacro, Val Melaina, Fidene, Serpentara, Casal Boccone, Conca D’Oro, Bufalotta, Tufello, Aeroporto dell’Urbe, Tor S. Giovanni e Settebagni. «L’esigenza è chiara: dobbiamo riallineare i nostri punti di vista, mettere la politica in relazione al territorio» ha spiegato il presidente del Municipio, Paolo Emilio Marchionne.
Coprogrammazione: visione comune, non affidamento di servizi
Il contesto in cui tenta di radicarsi la coprogrammazione è una certa confusione in termini legislativi, anche se l’articolo 55 del Codice del Terzo Settore parla apertamente del «coinvolgimento attivo degli enti» nei vari processi decisionali, e soprattutto una sfiducia costante da parte dei cittadini nei confronti delle pubbliche amministrazioni. Dai rapporti Eurispes emerge come gli italiani si fidino sempre meno di Parlamento, magistratura, forze dell’ordine, sistema sanitario, partiti, sindacati e istituzioni religiose, e Roma in questa direzione paga in più la ferita di Mafia Capitale, che ha incrinato l’immagine del terzo settore e fatto dubitare delle sue connessioni con la politica. Di per sé, la collaborazione tra la pubblica amministrazione e la base dei cittadini non è nuova, anche se negli anni è stata impostata maggiormente in un’ottica consultiva. Si è passati così dai piani di zona ai tentativi di amministrazione partecipata, fino ai piani di sussidiarietà, con una diffusione però abbastanza limitata e di carattere residuale solo su piccoli progetti. «Anche quando interessati dalla logica collaborativa, gli enti pubblici hanno ritenuto più prudente o conveniente usare strumenti pensati per la competizione, come i bandi e gli appalti». La differenza è nell’approccio: “fare insieme” può rivelarsi più complesso e macchinoso rispetto a un intervento diretto o a una esternalizzazione dei processi, ma può portare a una responsabilità condivisa e a una soddisfazione reciproca e forse più duratura. Il dialogo tra i soggetti interessati è illegale nel caso degli affidamenti in appalto mentre risulta essere il cuore stesso del processo nella coprogrammazione. Competizione da una parte, collaborazione dall’altra: ci si assicura una prestazione alle migliori condizioni (è la logica del mercato) oppure si persegue insieme il bene comune (ottica sussidiaria).
Coprogrammare per avere una visione di città
A volte ci sono dei pregiudizi da superare: le pubbliche amministrazioni, ad esempio, guardano agli ETS come strutture poco competenti, autoreferenziali e capaci di ragionare con il cuore ma con scarsa professionalità; gli enti, viceversa, accusano le PA di essere troppo lente e macchinose, di eccedere in burocrazia e di essere poco sensibili ai reali bisogni dei più fragili. Proprio per queste ragioni non è semplice andare d’accordo, come del resto è apparso evidente anche nel corso del dibattito pubblico di martedì. Secondo Francesca Danese, portavoce del Forum del Terzo Settore, «è fondamentale sapere prima di tutto quante risorse si hanno a disposizione, perché i nostri Municipi si trovano ad avere poche risorse per l’innovazione e perché il bilancio del Comune, ad esempio, non parla con quello regionale». Lo stesso concetto è stato espresso da Antonia Caruso del Dipartimento Politiche sociali e Salute: «copertura e programmazione stanno insieme». Braga è stata di un altro avviso: «A volte il budget necessario si costruisce insieme: la coprogrammazione serve proprio a questo, in una visione altra rispetto alla coprogettazione». Norme alla mano, la coprogrammazione serve anche per individuare gli stessi bisogni da soddisfare, oltre che gli interventi necessari, mentre la coprogettazione è finalizzata alla definizione ed eventualmente alla realizzazione di specifici progetti di servizio con l’obiettivo di soddisfare bisogni definiti. In aula c’è anche chi ha risposto a Caruso in questi termini: «La vostra è una visione un po’ miope che parte dai soldi per arrivare a una soluzione. Noi abbiamo invece un disperato bisogno di coprogrammare per avere una visione di città». In qualsiasi caso, la tempesta di idee generata dalle varie esperienze di coprogrammazione in tutta Italia, dai vari interventi normativi, dalle discussioni pubbliche e dalla sentenza della Corte Costituzionale del 2020, ha comunque portato a un passo in avanti notevole soprattutto sulle questioni di senso di questa nuova visione di comunità: prima della pandemia ci si chiedeva se cittadini e amministrazioni potessero realmente collaborare, oggi quando è possibile farlo e come attuare certi meccanismi nel modo migliore. Da un punto di vista procedurale, si parte con l’avvio di un atto da parte del dirigente anche su impulso di enti e associazioni e l’iter prosegue con la pubblicazione dell’avviso, lo svolgimento dell’istruttoria tramite la convocazione di tavoli e la conclusione della procedura. Come avvenuto ad esempio nella Capitale con il piano d’azione per il superamento dei campi Rom, si arriva infine all’approvazione di un documento da consegnare all’assessore di riferimento, che può decidere di portarlo in giunta o se chiedere ulteriori interventi nel caso in cui la deliberazione non coincida con un certo mandato politico. La coprogrammazione non fornisce un master plan di intervento, né si trasforma in un tavolo sindacale: raccoglie esperienze, propone visioni, fornisce spunti di riflessione e offre alla politica la possibilità di ascoltare la base per comprenderne le reali necessità.
Immagine di copertina Lalupa