
SENZA IL MONDO GAZA MUORE
E senza Gaza siamo noi a morire. Le iniziative all’interno di #ultimogiornodigaza in questo 9 maggio sono in tutta Italia. Siamo stati a Piazza Vittorio, a Roma, con il Comitato Piazza Vittorio Partecipata: «quello di oggi è il primo di una serie di incontri, un seme che dovrà germogliare»
09 Maggio 2025
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«In questo momento di testimonianza siamo qui in pace e per la pace. In tanti ci siamo chiesti cosa fare dall’Italia, da qui, per quello che sta succedendo a Gaza. Dove le persone muoiono, le donne, i bambini, tanti bambini, troppi bambini continuano a morire sotto i bombardamenti. Ma anche per gli stenti, visto che da mesi sono bloccati gli aiuti, per fame, malattie. Invitiamo tutti quelli che, come noi, vogliono reagire al senso di impotenza a dare un segnale, ad aderire a questa iniziativa e a tutto quello che riusciremo a fare per fermare questa follia. Diventiamo parte di una comunità che può fare la differenza. Senza il mondo Gaza muore. E senza Gaza siamo noi a morire. Noi italiani europei, umani. Per rompere il silenzio siamo qui. È il solo mezzo che in questo momento attraverso cui possiamo vedere Gaza, ascoltare Gaza, piangere Gaza. Possiamo partecipare tutte e tutti, anche per pochi minuti, a questa immane tragedia. Per chi vuole mettere in rete ciò che succede nelle piazze, nelle comunità che si interrogano insieme su come fermare la strage, con la consapevolezza che noi siamo loro. E che a noi italiani ed europei verrà chiesto conto della loro morte. Perché a compiere la strage purtroppo è anche un nostro alleato, Israele. Per ripudiare l’Europa delle guerre antiche e contemporanee, per proteggere l’Europa di pace nata da un conflitto mondiale terminato 80 anni fa, esiste un solo modo: proteggere le regole, il diritto e la giustizia internazionale. E soprattutto guardarci negli occhi e guardarci come la sola cosa che siamo tutti e tutte: umani. Ora è il momento di costruire una rete di senza potere determinati a prendere la parola. E il 9 maggio, giornata dell’Europa è la prima tappa di una strada da fare insieme. Perché la strage, il genocidio abbiano fine. Ora». È l’accorato appello per la pace che è stato letto oggi a Piazza Vittorio, a Roma, da Paolo Venezia, antropologo, nell’incontro organizzato dal Comitato Piazza Vittorio Partecipata, legato alle iniziative de L’ultimo giorno di Gaza, che stanno avvenendo in tutta Italia.

Un giorno ci chiederanno conto di quello che non abbiamo fatto
È un seme lanciato che dovrà germogliare, il primo di una serie di incontri, locali e poi sempre più grandi, che continueranno nei prossimi giorni per far sentire la voce di chi non ha voce, gli abitanti della striscia di Gaza. «Questa idea l’ha lanciata il Comitato Piazza Vittorio Partecipata, riprendendo l’appello L’ultimo giorno di Gaza che vedrà tantissime iniziative a Roma e in tutta Italia», ci ha spiegato Paolo Venezia. «Abbiamo improvvisato questa iniziativa per dare una testimonianza. Che dobbiamo dare tutti. Non possiamo stare a guardare, perché un giorno di chiederanno conto di quello che non abbiamo fatto per fermare questo genocidio». «L’iniziativa è stata lanciata due giorni fa su piccolissimi canali, che in pratica sono il rione, e per essere fatta in pochi giorni è un successo», spiega Marina Fresa, del Comitato. «È partita da qui, e questo mi piace perché i luoghi diventano creatività quando ti trovi insieme, la comunità crea pensiero. Da qui è nata l’idea di trovarci con cadenza regolare, che ci permette di allargare il cerchio». Il movimento #ultimogiornodigaza è molto attivo da giorni. «Ci siamo uniti a questo. E credo che questo hashtag potrebbe essere il movimento nazionale» continua. «Ho mandato il nostro invito anche ad amiche che vivono in Francia, in Olanda e in Germania, anche loro erano entusiaste. L’Europa sembra essere unita in questo silenzio».
Se devo morire
A Piazza Vittorio sono state lette dall’attrice Consuelo Ciatti delle poesie scritte a Gaza. Poesie che vanno oltre l’orrore ed esprimono voglia di vivere. If I Must Die di Refaat Alareer, poeta nato nel 1979, è stata pubblicata in rete dall’autore pochi giorni prima di essere ucciso da un raid israeliano il 6 dicembre 2023. «Se dovessi morire tu devi vivere per raccontare la mia storia, per vendere delle cose, comprare un pezzo di stoffa e dei fili e farne un aquilone. Fallo bianco, con una lunga coda, così che un bambino da qualche parte a Gaza, fissando gli occhi al cielo, mentre attende suo padre scomparso tra le fiamme, senza dire addio a nessuno, neanche alla sua carne, neanche a se stesso, veda l’aquilone. Il mio aquilone che tu hai fatto. Che vola in alto. E pensi per un attimo che lassù c’è un angelo che riporta l’amore. Se dovessi morire fa che porti speranza. Fa che possa essere un racconto».
«Siamo convocati a non spegnere la voce che abbiamo»
Su Gaza si sente una grande passione. Ma forse siamo ancora troppo pochi. Non ci sono i grandi nomi, le voci forti. Non ci sono i politici. Come si fa a non rimanere tante piccole piazze isolate? Come si fa a crescere? «Noi siamo convocati a non spegnere la voce che abbiamo» ci ha risposto Paolo Venezia. «Questa iniziativa è nata da una piccola organizzazione, ma tutti e tutte facciamo parte di tante reti che dobbiamo convocare su questo dramma. I grandi, chi ha il potere, chi è in dovere di fare massa critica purtroppo non si è ancora mosso. E quindi dobbiamo fare di più tutti: nelle organizzazioni, nei sindacati, nei partiti. Si continua organizzandoci meglio. E magari andando sotto i palazzi del potere, che sono quelli che possono cambiare le cose. Purtroppo ci sono molte cose che non stanno andando bene: domani ci sarà una grande manifestazione contro il riarmo, e porteremo questa istanza anche lì».
Tutti i leader spirituali devono intervenire
Una voce forte, e autorevole, in realtà c’è stata ed è stata quella di Papa Francesco, che ha parlato di Gaza fino a poche settimane fa. Il nuovo Papa Leone XIV ha parlato ieri di “pace disarmata e disarmante”. Può essere la voce di cui abbiamo bisogno? «Non possiamo pensare che sia solamente il Papa a dire queste cose», ci risponde Venezia. «Lo devono dire tutti i parroci in tutte le omelie in tutte le chiese. Molti lo fanno. Pochi ci invitano veramente a capire quello che sta accadendo. Invochiamo la pace, ma cerchiamo di capire chi sono i responsabili, chi sta armando la mano degli assassini, chi vende le armi. La Chiesa, tutte le chiese, tutti i leader spirituali devono intervenire. Ci aspettiamo che questa non sia solo una dichiarazione, ma un appello a tutte le persone di fede a chiedere con gran voce la pace e il disarmo. Perché solo così potremmo veramente avere una pace duratura».
Gaza è una cosa di tutti
Uno degli ostacoli che può avere la mobilitazione verso la pace è che Gaza e la Palestina sono state sempre considerate la causa di una certa parte politica e di un certo associazionismo. C’è il rischio che soffra anche per questo aspetto. Come si fa a far capire che questa emergenza umanitaria è una cosa di tutti? «La chiamo la trappola del derby, se non sei della Roma allora sei della Lazio», risponde Venezia. «Come se ne esce? Riconoscendoci umani, riconoscendoci tutti come fratelli, come ci ha insegnato Papa Francesco, Gesù, la Chiesa, ma tutte le grandi religioni. Adesso sta scoppiando una guerra tra India e Pakistan. Allora vanno capite le cause storiche, chi ha covato e coltivato questa situazione di guerra. Perché le cose vengono da lontano. Ma o studiamo a fondo la storia e i suoi processi o abbiamo difficoltà a non essere tifosi di una delle parti in causa. Noi dobbiamo essere testimoni dell’umanità. Qualsiasi violenza, qualsiasi atto conto un altro essere umano va condannata. Non cadiamo in questa trappola. Se ne può uscire. Si fa con l’intelligenza, si fa richiamando in noi stessi e nel nostro cuore quei sentimenti profondi di fratellanza e amicizia che ci uniscono e che sono le cose più forti. Le ideologie si costruiscono sull’odio, sul rancore, su andare contro l’altro. Andiamo incontro all’altro, invece. Lo dobbiamo fare aprendo il cuore».
