MIGRANTI, QUALE DESTINO PER LE VITTIME DELLA FRONTIERA?

Dalla ricerca geografica e antropologica nel volume di Silvia Omenetto “Migrazioni e (dis)continuità spaziale nella morte” una ricognizione scientifica sulle sepolture dei migranti

I tg e i quotidiani rilanciano da anni le immagini di naufragi e morti in mare. Dopo il piccolo Aylan supino sulla spiaggia con la sua maglietta rossa, tante, troppe salme, anche di neonati, dove vanno a finire? Si chiamano border deaths le vittime della frontiera che non vengono identificate né rimpatriate, ma seppellite nel Paese di approdo, se il Mediterraneo non diventa la loro tomba. Nessuno rivendica i loro corpi senza nome e solo dopo una complessa procedura possono essere sepolte.

Reparti speciali 

sepolture dei migranti
Tomba di un migrante ignoto nel cimitero monumentale di Messina.

Il volume della professoressa Silvia Omenetto Migrazioni e (dis)continuità spaziale nella morte. La gestione delle salme tra vecchie e nuove territorialità, edito da Tau per la collana della Fondazione Migrantes, fornisce una ricognizione scientifica sul post mortem dei migranti, ricavata dalla ricerca geografica e antropologica. Gran parte delle vittime del Mare Nostrum giacciono nei cimiteri italiani, sepolte in spazi appositamente ritagliati per loro e per gli stranieri che muoiono in Italia, chiamati reparti speciali. Eppure, su richiesta dei parenti, il 95% delle salme dei migranti deceduti nel nostro Paese (in particolare dei musulmani) viene rimpatriato «poiché la morte nei Paesi d’origine dei migranti non è una questione privata, ma attiene all’intera collettività». Ecco perché anche la Fondazione Migrantes ha attivato un fondo per aiutare le famiglie nel rimpatrio delle salme dei loro parenti.

Il volume di Omenetto, docente al Dipartimento di Storia antropologia religioni arte spettacolo all’Università di Roma “La Sapienza” e titolare della ricerca “Ritorni 5.0. I rimpatri dei connazionali nell’Italia di oggi”, offre una panoramica geografica della cura che i cimiteri italiani riservano alle salme. Ma è anche il punto di partenza per capire cosa c’è sul territorio: oltre ai reparti speciali, cimiteri acattolici e islamici, spazi per altre religioni. Infatti, spiega nella prefazione la professoressa Flavia Cristaldi, docente di Migrazioni e territorio alla Facoltà di Lettere e Filosofia de La Sapienza Università di Roma, «non tutti i cimiteri italiani sono attrezzati per accogliere, al loro interno, le salme di persone appartenenti a religioni che richiedono l’osservanza di norme diverse da quelle riconosciute dalla religione cattolica, che prevedono interventi peculiari nell’uso dello spazio sacro. Si pensi ad esempio alle tombe degli islamici che devono essere orientate secondo le coordinate Qibla, oppure alla necessità di avere a disposizione forni crematori per incenerire i corpi dei buddisti».

A Tarsia un nuovo cimitero per i migranti morti in mare

sepolture dei migranti
Silvia Omenetto a Tarsia, in Calabria, presso lo spazio dove si sta lavorando alla costruzione di un nuovo cimitero destinato ad accogliere i corpi dei migranti morti in mare

Eppure – ne snocciola diversi esempi – ci sono «tanti piccoli cimiteri costieri ed interni, principalmente meridionali e insulari, in cui corpi martoriati dalla salsedine, dalle ustioni del carburante, dalla fame, dalla sete e dall’annegamento hanno via via trovato riposo». Interessante è il caso di Tarsia, in Calabria, Comune che dal 2019 «ha iniziato a costruire un nuovo cimitero proprio al fine di accogliere i corpi dei migranti morti in mare». Tuttavia, osserva l’autrice dello studio, «la vera emergenza, oggi, è legata alle morti causate direttamente o indirettamente dalla pandemia del Covid-19, per la quale la morte falcidia centinaia di cittadini italiani e di stranieri appartenenti alle diverse fedi religiose che devono essere portati nei cimiteri». L’Unione delle Comunità islamiche d’Italia ha stilato nei giorni dell’emergenza un vademecum (diffuso anche on-line) «per poter agevolare la sepoltura dei defunti musulmani nei cimiteri islamici già esistenti anche se provenienti da altre province o regioni. Insieme ad alcune Prefetture, e in contatto con il Ministero dell’Interno, ha indicato le pratiche da eseguire in caso di decesso di un parente o conoscente. “Non essendo possibili i rimpatri verso i paesi d’origine, è possibile seppellire in un cimitero islamico o, in caso vi fossero ostacoli ostativi per i cimiteri islamici, in un cimitero comunale possibilmente nella parte relativa al culto non cattolico”».

Sepolture dei migranti: un fenomeno ancora troppo poco indagato

Lo studio evidenzia con dati circostanziati che ad accogliere i corpi senza vita sono soprattutto e quasi esclusivamente i cimiteri delle regioni meridionali, in primis quello lampedusano: «Il primo cimitero comunale italiano ad aver accolto i corpi o i resti delle persone morte nel Mediterraneo è stato il sepolcreto dell’isola di Lampedusa. Il coinvolgimento in questa tragica dinamica ha avuto inizio già negli anni Duemila. Le croci poste sulle anonime e spoglie tombe realizzate per i migranti mostrano la data della presunta morte e il numero del registro mortuario del cimitero. Alcune lapidi sono corredate da informazioni generiche, relative al sesso e all’età desunta, all’etnia e alla data di ritrovamento, ornate con una croce realizzata dall’ex guardiano del cimitero». Nonostante l’ampliamento della “zona dei senza nome”, «su richiesta del Prefetto di Agrigento e su disponibilità dei Comuni del territorio le salme sono state trasferite nelle necropoli della Provincia», circa 27 sepolcreti in cui amministrazioni locali e associazioni di volontari si fanno carico delle spese. Un triste fenomeno ancora troppo poco indagato, anche a motivo di dati disomogenei e spesso non disponibili, su cui questo volume getta una luce importante per non dimenticare questa continua e abnorme strage degli innocenti, spesso senza nome.

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sepolture dei migrantiSilvia Omenetto

Migrazioni e (dis)continuità spaziale nella morte. La gestione delle salme tra vecchie e nuove territorialità

Tau Editrice, 2020

pp. 244, € 15

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