IL PRIMO ANNO IN TRE. LA STORIA DI SADHU

Serena e Luca sono da quasi un anno genitori di un bambino indiano. Il racconto della loro bellissima storia di adozione e delle emozioni di aver passato le prime feste di Natale insieme. Con una sorprendente amicizia

Quest’intervista decidono di farla insieme e mentre parlano capisco perché. Serena Tognon e Luca Crippa mi raccontano di Sadhu con amore e con passione, hanno voglia di dirmi tante cose e di condividerle. È emozionante sentirli parlare, non mi nascondono le fatiche e le paure, ma sono felici e le difficoltà passano in secondo piano. Anche l’influenza di stagione, che ci ha costretto a rimandare più volte quest’intervista, l’hanno condivisa tutti e tre.

Serena e Luca, raccontatemi la vostra storia di adozione dall’inizio.

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«Ci piacerebbe spiegare bene la nostra storia: magari una coppia leggendola potrebbe avere voglia e coraggio di intraprendere la strada dell’adozione»

«Noi siamo stati abbastanza fortunati, il nostro tempo di attesa è stato relativamente breve. Partiamo dall’inizio. Ci piacerebbe spiegare bene la nostra storia e sperare che, magari, una coppia leggendola possa avere voglia e coraggio di intraprendere la strada dell’adozione. Abbiamo depositato il fascicolo della disponibilità di adozione al tribunale dei Minori di Milano a settembre del 2020. Abbiamo fatto un percorso di preparazione con alcune associazioni del territorio, come Genitori si diventa: una serie di incontri che preparano i genitori all’adozione e che seguono le famiglie anche durante e dopo l’adozione. Sono associazioni molto importanti per i genitori adottivi. Il percorso con gli assistenti sociali, dopo aver presentato la disponibilità di adozione al tribunale, è durato circa sei mesi, questo percorso va ad indagare le risorse della coppia. Il tribunale riceve la relazione degli assistenti sociali e convoca la coppia per riferire l’idoneità o meno all’adozione. Da luglio 2021 siamo diventati potenziali genitori adottivi. Il percorso di preparazione è durato quasi un anno. Ci siamo iscritti ad agosto 2021 presso un ente che si chiama International Action, che ha sede a Udine e ha anche una filiale a Firenze».

Verso che tipo di adozione eravate orientati?

«Eravamo orientati per un’adozione in India perché è un Paese che ci piace particolarmente, ho lavorato in passato nella cooperazione internazionale e l’india mi attirava molto (racconta Serena, ndr). Inoltre, per i tempi di attesa non troppo lunghi e perché l’India è un Paese in cui si riescono ad adottare dei bambini piccoli, rispetto ad altri (ad esempio, nel Sud America), dove si adottano più grandicelli. Ci siamo iscritti anche per bambini “special needs”, che hanno dei “bisogni speciali”. Per questi bambini l’attesa è più breve rispetto agli altri. Quando abbiamo intrapreso il cammino dell’adozione, eravamo pronti anche ad un’attesa lunga. In realtà, dopo meno di un anno dall’iscrizione presso l’ente, è arrivata la famosa “chiamata”».

Raccontatemi l’emozione di quella telefonata.

«Sei sempre in attesa che arrivi, ma non sei mai pronto. Mi emoziono ancora a parlarne. A fine luglio, risposi io al telefono e mi dissero di voler parlare con tutti e due insieme (dice Serena, ndr). MI dissero: “Ho una bellissima notizia da darti, c’è un bimbo per voi”. Abbiamo fatto un incontro online con la referente di International Action. Dopo qualche giorno, siamo andati a Firenze e abbiamo firmato. Poi ci ha fatto vedere foto e video di Sadhu e ci siamo sciolti: è un bimbo meraviglioso. Il 13 febbraio siamo partiti per l’India».

Il primo incontro con Sadhu com’è stato?

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«Alì è stato adottato da una famiglia che vive a dieci chilometri da casa nostra. Ci siamo rivisti più volte. È un’amicizia bellissima»

«Il momento in cui abbiamo deciso di adottare abbiamo iniziato a leggere tanti articoli che parlavano di adozione perché volevamo conoscere tutto quello che potevamo riguardo al mondo dell’adozione, le esperienze delle famiglie. L’istituto in cui era Sadhu era a tre ore di auto dal nostro albergo, a Warangal. Ci siamo alzati presto la mattina, accompagnati da un traduttore. Appena siamo arrivati, dopo cinque minuti è arrivata una “didi” (in India la tata si chiama così) con in braccio Sadhu. Era una meraviglia, era vestito tutto di rosa. Era molto diffidente e impaurito. Vedeva carnagioni che non era abituato a vedere: noi molto chiari, loro più scuri. Ci siamo avvicinati con tutta la delicatezza del mondo. Poi abbiamo avuto vari momenti in cui si allontanava e si riavvicinava, fino a un certo momento in cui ci hanno lasciato soli con lui. In quel momento non c’è stato un accenno di sorriso, ma ha iniziato un po’ ad ambientarsi. Era stanco e stravolto dalle emozioni nuove della giornata e si è addormentato in braccio, in giardino. Abbiamo chiesto al direttore dell’istituto se c’era un amichetto di Sadhu con cui era particolarmente legato, per fare dei video da mostrargli poi a casa. Ci hanno presentato Alì, di cinque anni, un amico che gli faceva quasi da fratello maggiore. Spesso giocavano insieme, Alì ci ha aiutato a far “sciogliere” Sadhu, hanno ballato insieme. Alì aveva capito cosa stava accadendo e voleva aiutare il suo amico. Ci hanno detto che da lì a un mese e mezzo circa Alì sarebbe partito per l’Italia perché una coppia l’aveva adottato».

Avete più avuto notizie di Alì?

«Abbiamo scoperto subito dopo che è stato adottato da una famiglia che vive a dieci chilometri da casa nostra. Una fantastica sorpresa. Ci siamo rivisti più volte, ai rispettivi compleanni, nei parchi. È un’amicizia bellissima. Quando si incontrano, si corrono incontro e si abbracciano fortissimo. Il primo incontro di Sadhu e Alì è stato un tripudio di lacrime di noi quattro genitori. Sadhu era contento di vederlo, ma un po’ sorpreso per il nuovo contesto in cui stava incontrando Alì».

Torniamo in India, al primo giorno con Sadhu. Com’è andata quando l’avete portato via con voi?

«Noi eravamo pronti a tutto. Con Sadhu c’è stato subito feeling, si è lasciato andare e si è affidato a noi. Avevamo paura che non si fidasse. All’arrivo in albergo ha iniziato a sorridere. L’abbiamo lavato, per quello che siamo riusciti: aveva una grande paura dell’acqua, probabilmente perché in istituto non gli facevano la doccia ma lo lavavano con delle brocche. La notte ha dormito tranquillo, dalla mattina dopo, 14 febbraio, è iniziata la nostra vita a tre. Le persone dell’albergo pensavano fossimo lì in vacanza, perché Sadhu era talmente tranquillo e solare che non sembrava ci avesse conosciuto il giorno prima. Dopo una settimana, ci siamo spostati a Mumbai, già lì la paura dell’acqua di Sadhu era passata. Per lui era tutto nuovo ma ha accolto tutti i cambiamenti in modo positivo. A Mumbai abbiamo passato una decina di giorni in vacanza, in attesa dei documenti per l’espatrio. Lì ci siamo molto uniti, senza gli impegni di lavoro e altro».

Il ritorno in Italia com’è stato?

«Il 1 marzo dello scorso anno siamo arrivati, con l’accoglienza dei nostri genitori e dei nostri fratelli. I primi mesi li abbiamo dedicati a costruire la nostra famiglia. Abbiamo cercato di vedere il minor numero di persone possibili, consigliati dalla psicologa e dagli assistenti sociali. L’importante era creare la nostra famiglia, se avesse visto ogni giorno una persona diversa sarebbe entrato in confusione. I primi mesi a casa sono stati belli ma molto faticosi, siamo diventati genitori nell’arco di pochissimo tempo».

Sadhu va a scuola?

«Sì, frequenta la classe primavera e continuerà la primaria nella stessa scuola, in istituto era abituato a stare con bambini più grandi e, quindi, abbiamo preferito fargli frequentare una scuola in cui ci sono anche bimbi più grandicelli. Ci va volentieri».

Il primo Natale com’è stato?

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«Sadhu frequenta la classe primavera e continuerà la primaria nella stessa scuola»

«Da fine ottobre abbiamo iniziato a parlargli del Natale, della figura di Babbo Natale, dell’albero, dei regali, delle renne. Ovviamente non capiva, all’inizio, era tutto nuovo: non sapeva cos’è il Natale e tutto ciò che gira intorno a questa festa. Il giorno di Natale è stato bellissimo quando siamo andati in giardino a vedere se le renne avevano bevuto il latte e mangiato i biscotti. Appena si è reso conto, è voluto andare a vedere se sotto l’albero ci fossero i doni. Questo Natale è stato molto bello, erano più di dieci anni che ci sognavamo un Natale a tre. Vedere la felicità di Sadhu è stato fantastico. Il pensiero di cosa sarebbe potuto accadere se non ci fossimo stati noi o un’altra famiglia ad accoglierlo c’è sempre. L’esserci incontrati è il farsi un dono a vicenda. Quando le persone ci incontrano ci dicono: “Siete stati bravi”. In realtà, è un dono che ci siamo fatti a vicenda, noi e Sadhu: lui ad aver incontrato noi, e noi lui. È reciproco, non ci sentiamo dei salvatori».

Quali sono le difficoltà maggiori?

«Sadhu è espansivo, empatico, fisico. In istituto era abituato a vedere sempre tante persone, quindi gli piace stare con tante persone e a interagire con tutti. Tutto ciò non si sposa perfettamente con alcune situazioni che richiedono un po’ di tranquillità. Ad esempio, se andiamo a mangiare una pizza, Sadhu interagisce con altri tavoli, inizia a correre nella pizzeria. Forse nel suo primo anno e mezzo non è stato abituato a stare seduto e a seguire delle regole nei momenti di convivialità. All’inizio stare seduto a tavola lo considerava quasi una perdita di tempo, ora inizia stare un po’ seduto».

IL PRIMO ANNO IN TRE. LA STORIA DI SADHU

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