UN DIALOGO ALL’INTERNO DELLE COMUNITÀ EBRAICHE È POSSIBILE?

Una riflessione sul bisogno della comunità ebraica di trovare una via d’uscita da una pressione che non sembra permettere alcun dialogo interno, sulla sovrapposizione tra antisionismo e antisemitismo e la lettera inviata all’UCEI da reti Mai Indifferenti e L3a, che vogliono uscire dal circolo vizioso per cui chi è ebreo debba per forza conformarsi alla politica dello Stato di Israele

di Maurizio Ermisino

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Il 16 ottobre del 1943, tra le 5:30 e le 14, al Ghetto di Roma, fu scritta una delle pagine più nere della nostra Storia: il rastrellamento di migliaia di persone appartenenti alla Comunità Ebraica da parte delle truppe tedesche, con la collaborazione dei funzionari del regime fascista. Il 16 ottobre di quest’anno abbiamo partecipato alla commemorazione per le vittime di quel rastrellamento in quei medesimi luoghi. Ci siamo stati perché quello che avvenne in Europa negli anni Quaranta non può essere dimenticato, relativizzato, sottoposto a nessun “se” e nessun “ma”. Niente di quello che sta avvenendo oggi può metterlo in secondo piano o sminuirlo; è proprio perché è un insegnamento indelebile che è anche ineludibile.

La Shoah è stata resa possibile da uno sguardo disumanizzante, uno sguardo disumanizzante che vediamo anche oggi. La memoria, il dire tutti insieme “non deve accadere mai più” è un patrimonio dell’umanità, è una base fondante delle costituzioni dei Paesi civili, è la cultura sulla quale le nostre generazioni si sono formate, è il principio morale che vogliamo poter testimoniare anche oggi. Siamo andati alla commemorazione del 16 ottobre perché volevamo essere vicini alla comunità ebraica. «In questa nostra memoria si intersecano due dimensioni parallele», ha detto il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni.  «La prima è quella interna alla comunità ebraica: credo che non ci sia un ebreo romano che non vi possa raccontare cosa è successo ai suoi parenti quel giorno. E c’è la dimensione collettiva, nazionale, internazionale, che ha consentito, sulle ceneri della Seconda Guerra Mondiale, di costruire un’Europa giusta, senza guerre, quasi senza guerre. È grazie a quello che è successo che le coscienze sono maturate ed è stato possibile costruire un mondo diverso, non più basato sulla sopraffazione». «Purtroppo avvertiamo in questi ultimi anni un capovolgimento della memoria» ha poi aggiunto. «Un’inversione di questo circuito virtuoso di collaborazione e condivisione tra la comunità ebraica e la comunità in generale. Siamo preoccupati e allarmati per quello che succede».

comunità ebraiche
Un momento della commemorazione per le vittime del rastrellamento del ghetto di Roma che si è tenuta negli stessi luoghi il 16 ottobre scorso

Tenere ferma la distinzione tra antisemitismo e antisionismo

Volevamo stare vicini alla comunità ebraica che si trova a dover ricordare il 16 ottobre del 1943 mentre Israele, che è uno Stato politico autonomo, ma legato indissolubilmente alle comunità ebraiche di tutto il mondo, sta perpetrando un genocidio. In un momento in cui, ancora di più, si tratta di marcare la differenza tra antisionismo e antisemitismo, di distinguerli nettamente. L’intervento di Victor Fadlun, presidente della Comunità Ebraica di Roma, è stato molto duro. «La memoria non è un atto del passato ma del presente» ha detto il 16 ottobre. «È, o dovrebbe essere, ciò che impedisce alla Storia di tornare. Perciò siamo qui, per rendere omaggio ai destini spezzati. Anche il 7 ottobre 2023 gli ebrei sono stati portati via e molti non siano tornati. La memoria è in pericolo. L’antisemitismo non è scomparso. Si è trasformato. È tornato nelle strade, nelle piazze, nei comizi, nelle università. I luoghi dove nasce la cultura, la nuova generazione. E non si nasconde più, non ha paura di mostrarsi, si allarga e urla». I toni sono più accesi nei passaggi successivi. «In Europa vediamo case di ebrei marchiate, scuole minacciate, sinagoghe attaccate. Ma sarebbe troppo comodo dire che succede altrove. Succede anche qui, sotto i nostri occhi. Nelle aggressioni, nell’oltraggio alle pietre d’inciampo, nei cori negli stadi e sui social. Lo abbiamo visto nei cortei dove si insulta l’ebreo come un esempio negativo che diventa bersaglio collettivo. Gli ebrei vengono insultati e aggrediti, a Manchester sono stati uccisi solo perché ebrei. Questo è antisemitismo, punto. Anche se si spaccia per antisionismo. Questa è la grande mistificazione: la maschera dell’antisionismo solo per abbattere qualsiasi limite al vecchio odio antiebraico». Se è vero che quello che sta accadendo in Palestina, e l’antisionismo, non possono assolutamente essere la scusa per riaccendere un odio antico contro il popolo ebraico, è anche vero però che non è possibile che molte espressioni di antisionismo, e ogni dissenso contro la politica di Israele, vengano ricondotte ad antisemitismo. E allora non è che, anche in questo caso, c’è un gioco per sovrapporre l’antisemitismo ad ogni espressione di antisionismo?

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Le reti Mai Indifferenti – Voci ebraiche per la pace e L3a – Laboratorio ebraico antirazzista, da anni attive in Italia, hanno segnalato all’Unione delle Comunità Ebraiche, alle scuole ebraiche e alle Comunità medesime, già dal 3 ottobre, l’inopportunità del tour di un soldato dell’IDF nelle scuole, ma senza risposta. Foto L3a – Laboratorio ebraico antirazzista

È possibile un dialogo all’interno delle comunità ebraiche?

In questo momento la comunità ebraica deve trovare una via d’uscita da una pressione che non sembra permettere alcun dialogo al suo interno. Non si spiega altrimenti perché sia rimasta senza risposta una lettera inviata all’UCEI, Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, da due associazioni che vogliono uscire dal circolo vizioso per cui chi è ebreo debba per forza conformarsi alla politica dello Stato di Israele. Si tratta delle reti Mai Indifferenti – Voci ebraiche per la pace e L3a – Laboratorio ebraico antirazzista, da anni attive in Italia, che hanno segnalato all’Unione delle Comunità Ebraiche, alle scuole ebraiche e alle Comunità medesime, già dal 3 ottobre, l’inopportunità del tour di un soldato dell’IDF nelle scuole, quasi a voler fare proseliti tra la gioventù dei licei. «Non è un qualsivoglia soldato» ci ha spiegato Eva Schwarzwald della rete Mai Indifferenti. «Su internet trovi immagini di lui sorridente dopo che ha appena tirato una bomba in una moschea. Non è uno avulso dal compiacimento per gli orrori che i soldati stanno facendo. Esistono un sacco di soldati che si sono rifiutati di fare il servizio militare, i refusnik. Nella lettera abbiamo scritto: perché non inviate uno di loro?» Secondo le reti l’organizzazione di un evento di questo tipo ha rappresentato una perversione totale della missione educativa delle scuole delle comunità ebraiche. «Anche per educazione a una lettera così si risponde», commenta Eva Schwarzwald. «Anche perché c’era una proposta positiva: hai invitato il soldato israeliano? Invita uno di quelli che si sono rifiutati di continuare e si sono ritrovati in prigione piuttosto che andare a bruciare le case dei palestinesi. La lettera è stata mandata alle comunità, all’UCEI, alle scuole: nessuno ha risposto. Evidentemente non ritenevano interessante un dialogo con noi».

Opporsi all’approccio militarista di Israele è possibile

Anche se la narrazione di questi anni vuole il mondo ebraico compatto a sostegno di Israele, c’è chi dice no. Ci sono organizzazioni che si oppongono all’approccio militarista e di continua disumanizzazione dei palestinesi attuato da Israele. «Inizialmente eravamo un gruppo di donne, sofferenti per quello che era successo il 7 ottobre e abbiamo detto: parliamoci perché stiamo troppo male» ci ha raccontato Eva Schwarzwald. «In occasione del giorno della memoria del gennaio 2024, abbiamo letto una terrificante circolare dell’UCEI a coloro che avrebbero parlato di memoria nelle scuole che diceva “non toccate l’argomento Medio Oriente”. Ma come non toccate l’argomento? Abbiamo fatto un primo appello dicendo qual era il nostro pensiero. Ci hanno risposto di rettificare quello che avevamo scritto. Ma noi non rettifichiamo niente».

«Non si può continuare a parlare del 7 ottobre quando Israele ha fatto quello che ha fatto»

È iniziato così un allontanamento all’interno del mondo ebraico.  «È avvenuto tra noi e alcuni che invece sostenevano Israele, e affermavano che non dicevamo niente sul 7 ottobre» ci spiega Eva Schwarzwald. «Non è vero: lo abbiamo detto. Ma non è che puoi continuare a parlare del 7 ottobre quando Israele ha fatto quello che ha fatto. Quindi si è subito creato questo malessere tra noi e il dissidio con la comunità di Milano e quella di Roma, ed è andato avanti tanto che siamo andati a un incontro con la comunità di Milano per verificare che era impossibile parlarci. C’era uno che gridava “i palestinesi bisogna ucciderli tutti”. Questo è il quadro della nostra relazione con l’UCEI: è nera».

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Saper sentire il dolore dell’altro come proprio è ciò che ha reso possibile esperienze unificanti tra donne israeliane e palestinesi. La vera minaccia da cui ciascuno deve rifuggire è considerare il proprio lutto l’unico moralmente esecrabile. Foto L3a – Laboratorio ebraico antirazzista

«La crisi interna al mondo ebraico è inevitabile»

Si è creato insomma un circolo vizioso da cui è difficile uscire e che coinvolge anche i rappresentanti istituzionali italiani, commenta Eva Schwarzwald, personalità che tengono il busto di Mussolini sulla scrivania, ma visto che difendono Israele sono meglio degli ebrei dissidenti, «Perché non disturbano il progetto di mostrarsi contro ogni azione antisionista e di definire antisemita ogni manifestazione a favore della Palestina».

Qualcosa però si sta muovendo. «C’è stato un incontro a Firenze e ce ne sarà uno nuovo a novembre, organizzato anche con la comunità ebraica di Firenze che ha un approccio più aperto e democratico» spiega Eva Schwarzwald. «Certo, siamo sempre una minoranza. Io, per esempio, mi sono cancellata dalla comunità di Milano. E non sono l’unica». Mai Indifferenti ha organizzato per il 19 gennaio 2026 al Teatro Elfo Puccini di Milano un momento di dialogo incentrato sulla resa dei conti nel mondo ebraico. «Parleremo del sionismo ieri e oggi, di Gaza» continua. «E della crisi interna al mondo ebraico. Che è inevitabile. Ci sono persone con le quali io ormai non parlo più».

«Come CSV Lazio», sottolinea Claudio Tosi, vicepresidente vicario del Centro di Servizio per il Volontariato del Lazio, «ascoltiamo le voci di tutti e contribuiamo sin dall’inizio a mantenere aperto un dialogo tra palestinesi, israeliani e ebrei della diaspora. Lavorare, come ci insegna il Prof Luigi Ferrajoli, “contro la logica del nemico” ci fa dire che la chiusura al confronto è la vera morte della pace; saper sentire il dolore dell’altro come proprio è ciò che ha reso possibile esperienze unificanti tra donne israeliane e palestinesi come Women wage peace e Women of the sun. La vera minaccia da cui ciascuno deve rifuggire è considerare il proprio lutto l’unico moralmente esecrabile».

Immagine di copertina: Rete Mai Indifferenti

UN DIALOGO ALL’INTERNO DELLE COMUNITÀ EBRAICHE È POSSIBILE?

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