CENTRI ESTIVI: TROPPE REGOLE E POCA COLLABORAZIONE DELLE ISTITUZIONI

Avrebbero dovuto riaprire oggi, ma molti non lo faranno. Troppe responsabilità e costi per associazioni e parrocchie. Così le famiglie sono più sole

Nuove opportunità per garantire a bambini e adolescenti l’esercizio del diritto alla socialità e al gioco. Con questa premessa si apre il protocollo di sicurezza emanato il 14 maggio (aggiornato lo scorso 11 giugno) dal Dipartimento per le politiche della famiglia e destinato a regolamentare le attività di centri estivi, fattorie didattiche e giardini pubblici aperti ai più giovani. Linee guida nazionali, che in questo mese sono state integrate con disposizioni regionali e locali con cui associazioni, cooperative, parrocchie, ma anche centri privati hanno dovuto confrontarsi in vista di una ripartenza in sicurezza fissata per il 15 giugno.

Oggi però, saranno in molti a non aprire i battenti per via di un regolamento limitante sotto tanti aspetti: triage obbligatorio e distanziato all’accoglienza, grandi spazi all’aperto, organizzazione delle attività in piccoli gruppi, presenza di un numero di volontari cospicuo, sanificazione costante di servizi igienici e giochi, autorizzazioni dai Comuni e responsabilità eccessive affidate a educatori e personale della struttura.

Le istituzioni non collaborano

«Per noi è sicuramente tutto lavoro in più: attività da ripensare, risorse economiche e umane da trovare oltre al procurarsi mascherine, gel, termoscanner eccetera», racconta Cristina Brugnano, presidente di CEMEA del Mezzogiorno, realtà presente su Roma con diversi centri educativi per bambini e ragazzi. «Ma la cosa che più ci lascia sgomenti non è tanto l’adeguarsi a norme di sicurezza – è anzitutto nostro interesse garantire spazi sicuri per i ragazzi che accogliamo – ma un rifiuto netto di alcuni Municipi a concederci spazi all’aperto sicuri per svolgere le nostre attività (come per esempio i cortili delle scuole). È come dire “armiamoci e partite”! Le istituzioni ci spingono verso la riapertura, ma ci stanno lasciando assolutamente soli nel gestirla».

E infatti la notizia di oggi è che i centri estivi riaprono solo in 8 Municipi. Un’occasione persa, questa del post-emergenza, per ricostituire un ponte tra famiglie, Municipi, associazioni, scuole e tentare di sciogliere dei nodi che persistono da anni.

Un’immagine dal sito del Centro giovanile Fenix19

«I presidi si tirano indietro, i Municipi non ci danno risposte concrete, però poi pretendono che eroghiamo servizi alle famiglie. Noi stiamo ripensando tutte le nostre attività all’esterno con gite ed escursioni a piccoli gruppi, ma ci sembra assurdo che le istituzioni ci chiedano di lavorare in mezzo alla strada (magari in un parco pubblico dove c’è altra gente che si allena o fa pic-nic). Durante il lockdown tutti i nostri servizi sono andati online (lo sappiamo, era necessario) ma ora che le scuole sono chiuse e tutti i ragazzi sono fuori, cosa diciamo alle famiglie? Ci vediamo davanti a un bar per parlare dei problemi dei vostri ragazzi? Pochi giorni fa ci è stato comunicato che il nostro centro giovanile Fenix19 che gestiamo da vent’anni al Pigneto, dovrà continuare a lavorare online fino al 30 giugno. Come si può immaginare di superare questo periodo emergenziale se non c’è alleanza tra i diversi attori di questa città?»

Il sovraccarico di responsabilità

Il protocollo sanitario e organizzativo ha interrogato anche il grande arcipelago di centri, oratori e parrocchie impegnati in attività estive rivolte ai più giovani. Luca è educatore presso la parrocchia di Santa Lucia di Fonte Nuova, una piccola realtà di periferia che ogni anno ospita per l’Estate Ragazzi circa 120 bambini e ragazzi dalla prima elementare alla seconda media. «Insieme al parroco e all’equipe organizzativa abbiamo letto attentamente il protocollo e, solo dopo un’attenta riflessione volta a tutelare tutti, abbiamo deciso di rimandare questo appuntamento estivo. Il primo grande scoglio è stata la mancanza di spazi ampi esterni, l’assenza di prato e di zone ombreggiate che le linee guida ci chiedevano di rispettare. Riguardo ai volontari, invece, ad eccezione di 4-5 giovani adulti che si impegnano (dividendo il tempo anche con studio e lavoro) la maggior parte dell’Estate Ragazzi è tenuta da animatori giovani, adolescenti fino ai 20 anni. Anche per loro è un’esperienza formativa e non possiamo chiedergli turni troppo lunghi con i gruppi, sanificazioni continue dei bagni e un sovraccarico di responsabilità. Non per ultimo, va considerato l’elevato numero di prodotti da acquistare per la sanificazione, che ricadrebbe sul contributo da chiedere ai genitori, non potendo le piccole parrocchie come la nostra far fronte a spese molto ingenti (soprattutto in questo momento in cui fanno fatica anche ad affrontare le utenze minime)».

Un nodo centrale del protocollo sui centri estivi è quello della responsabilità che in diversi casi l’ente organizzatore deve concordare con il proprio Comune. «Come educatori adulti», continua Luca, «ci siamo resi conto che non era questo il momento di prendere sottogamba la situazione. Sicuramente abbiamo visto delle prospettive e delle scelte da poter fare per garantire un minimo di attività estive, ma, viste le tante norme da dover rispettare, abbiamo scelto la linea della prudenza condivisa anche dalla nostra Diocesi. Certamente il dispiacere è grande, soprattutto da parte di famiglie e animatori, ma comprenderanno bene i motivi e le responsabilità che ci sono dietro».

Uno spazio per il profit

Per fortuna ci sono realtà più grandi e strutturate che, nonostante i numeri ridotti e nuove procedure sanitarie da adottare, anche questa estate apriranno i loro cortili a giovani e famiglie. A questo proposito il Forum Oratori Italiani, con una nota ufficiale accompagnata dal lancio dell’iniziativa “Aperto per Ferie”, ha voluto ribadire che questa fase 2, oltre a essere una situazione nuova e in molti aspetti limitante, può essere letta come opportunità educativa per far «maturare in bambini e adolescenti un nuovo senso di responsabilità comune».

Luca, però, lancia alle istituzioni un interrogativo non banale: «Noi abbiamo usato molta prudenza per evitare di creare situazioni di pericolo, non avendo i mezzi per gestire al meglio quest’esperienza. Ora ci domandiamo se le realtà diverse dalle parrocchie e dalle associazioni, mosse dalla ricerca di profitti, terranno in considerazione e con il giusto peso tutti questi criteri, assumendosi l’impegno per il rispetto di tutte le regole o se cercheranno soluzioni semplici senza garantire il pieno rispetto dei protocolli».

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