DAFNE RACCONTA LA DIVERSITÀ, SENZA CHE DIVENTI INTRATTENIMENTO

Arriva su RaiPlay Dafne, storia di una normale ragazza con sindrome di down. Racconto di finzione pieno di realtà

È a portata di un click, e allora vi consigliamo vivamente di non perdere questo film. Il 2 luglio arriva su RaiPlay Dafne, il film di Federico Bondi – una produzione Vivo film con Rai Cinema – vincitore del Premio Fipresci alla Berlinale 2019. Il film rientra nel progetto LA RAI CON IL CINEMA ITALIANO – Otto film di Rai Cinema in esclusiva su RaiPlay | #ilCinemaNonSiFerma.

dafne
Il regista, Federico Bondi

Dafne è una ragazza con la Sindrome di Down di 35 anni che ha appena perso la madre, che si è sempre occupata di lei, e si trova a ricostruire un rapporto con l’anziano padre, che ha sempre lavorato ed è stato poco presente nella sua vita. Un breve viaggio sarà per entrambi anche un percorso dentro se stessi, alla scoperta di un nuovo rapporto. «La partenza, il centro di tutto, è stata l’immagine, alla fermata di un autobus, di un padre anziano con una figlia, che mi ha smosso qualcosa» ci confessa il regista. «È come se avessi voluto sviscerare quel racconto, e l’ho cercato in Carolina Raspanti, l’attrice protagonista. Volevo raccontare il suo rapporto con i genitori, la storia di questi due superstiti, di un padre e una figlia che si riconoscono in quanto tali. E insieme riescono a far fronte a un lutto».

Condividere qualcosa di concreto

Spesso, nelle opere di finzione e nel racconto dei media, le persone con disabilità (anche se, nel caso della Sindrome di Down parliamo di una condizione genetica) vengano dipinte come angeli o come eroi, come esseri teneri o pieni di coraggio. Dafne è un film che va oltre queste etichette, mostrandoci una persona sensibile ma anche scontrosa, e soprattutto molto decisa. Nel raccontare Dafne, Bondi ci mostra il suo entusiasmo ma anche i suoi capricci, la sua carica vitale e le sue manie. In una parola, la normalità. «Il problema non è tanto la diversità quanto l’inclusione» ci ha spiegato il regista, Federico Bondi. «Ho frequentato associazioni, ho parlato con genitori e psicologi, e ho capito che l’opportunità di dividere qualcosa con i normodotati, che sia un ballo o un canto, o il lavoro, qualcosa di concreto è fondamentale. Se invece questi ragazzi sono relegati tutti insieme tra le mura di un’associazione hanno meno stimoli».

Niente pillola per non piangere

Dafne non è una persona da proteggere, ma una persona che vuole vivere le sue emozioni fino in fondo. Per questo, quando, in seguito alla morte della madre, un’infermiera le propone di prendere un farmaco, Dafne risponde così. «Che se la prenda lei la pasticca per non piangere. Io voglio piangere». «È un film che parla di tutti noi, delle nostre risorse, del bisogno e della capacità che abbiamo di ricominciare» riflette Bondi. «Carolina ci porta questo: ogni cosa per lei è una conquista. Lei conosce il potere liberatorio del pianto. C’è una pillola per qualsiasi cosa, per dormire, fare l’amore, per l’ansia. Lei non ha bisogno di nulla, non vuole nulla perché ha gli altri, sa che ha bisogno degli altri. Un interlocutore la rende felice, a tal punto da abbracciarlo. Un abbraccio per lei può durare cinque minuti».

Non trasformare in intrattenimento la disabilità

Ma, soprattutto, in Dafne finalmente una persona con disabilità è raccontata non come qualcuno da aiutare, ma come qualcuno che non solo è autonomo, e vive la sua condizione con serenità, ma è anche in grado di aiutare gli altri. Quel «puoi contare sempre su di me, diventerò la tua ancora di salvezza» che dice al padre, quel preoccuparsi per la sua salute, è un ribaltamento del punto di vista tipico dei racconti su questo tema. La scrittura di Federico Bondi, in questo senso, è molto delicata. E, anche a livello di regia, ha scelto di raccontare questa storia nella forma più semplice ed efficace possibile, «senza trasformare in intrattenimento la disabilità», come ci ha spiegato il regista.

dafneDafne e Carolina

Ma il cuore del film è anche l’interpretazione di Carolina Raspanti, ragazza down che, come Dafne, lavora, piena di entusiasmo, alla Coop: l’attrice ha messo in scena una storia di finzione, immaginaria, scritta in una sceneggiatura. Ma poi non l’ha seguita fino in fondo. Molto spesso, nel film Carolina è se stessa. Non potrebbe essere altrimenti. Dafne allora è un film di finzione, ma in cui entra prepotentemente la realtà. «La sceneggiatura nasce grazie all’amicizia che ho instaurato con Carolina, alla quale rubo pianti, aneddoti, storie che lei mi ha raccontato, e così i suoi genitori» ci ha spiegato Bondi. «Poi a lei quella sceneggiatura non l’ho mai data. Non sapeva nulla della storia, ogni volta le raccontavo la scena, le davo le battute che erano state scritte. Voleva dimostrare che è in grado di recitare, che è un’attrice. Per dirigere un attore così devi concentrarti sulle condizioni, fare in modo che lei reagisca. Quando deve piangere ti devi inventare degli stratagemmi, e sapevo che se avessi messo Come mai degli 883 lei avrebbe pianto. La festa che le fanno alla Coop è una sorpresa vera, e la reazione è autentica». A proposito, come la Dafne del film, Carolina lavora, e per lei il lavoro è vitale. «Il suo lavoro è sacro, lavora alla Coop da 12 anni ed è la sua passione» ci ha spiegato Bondi. «È una delle risorse che ha, insieme agli amici e ai colleghi». E, a proposito del pianto, la cosa non si è fermata a quella scena della pillola per non piangere. «Carolina mi chiedeva sempre: “ma hai pianto? Perché non hai pianto?” Mi ha fatto una testa così perché fumavo, e secondo lei avevo bisogno di piangere» ci ha raccontato il regista. «Dopo il montaggio, a una delle prime proiezioni, mi ha detto: ma ora che il film è finito hai pianto? Avresti bisogno delle pasticche per piangere».

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