STRANIERI IN CARCERE: I REATI SONO MINORI, MA I PROBLEMI SONO GRANDI

Il rapporto delle Caritas del Lazio, "Un mondo in un altro", fa il punto, a partire dall'impossibilità di rinnovare il permesso di soggiorno

Contrastare l’esclusione dei detenuti stranieri e migliorare l’efficienza di operatori e volontari che lavorano all’interno dei principali istituti penitenziari del Lazio. È stato questo l’obiettivo del progetto “Un mondo in un altro”, realizzato dalla delegazione regionale della Caritas che per un anno, con i suoi volontari, è stata  a fianco dei cittadini stranieri reclusi nelle carceri di Roma, Velletri, Latina, Cassino e Viterbo, ascoltando i loro bisogni e fotografando le criticità di un sistema giudiziario carente sotto diversi aspetti.

 

Il nostro è un Paese che porta ancora sulle spalle le due gravi condanne, emesse dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo che nel 2009 e nel 2013 hanno accusato il nostro Paese di «trattamenti inumani e degradanti in relazione al sovraffollamento delle nostre carceri». I decreti legge di giugno e dicembre 2013, successivi alla sentenza, hanno cercato di arginare il fenomeno limitando il ricorso alla custodia cautelare, ampliando l’accesso alle misure alternative e aumentando le possibilità di liberazione anticipata per buona condotta.

detenuti stranieri
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha accusato l’Italia di “trattamenti inumani e degradanti” nelle carceri

Ma la situazione è ancora critica: secondo gli ultimi dati forniti dal ministero della Giustizia, nei 191 istituti di pena italiani risultano presenti 55.381 detenuti, a fronte di una capienza ottimale di 50.174 (incluse le celle non agibili per lavori di manutenzione).

La Regione Lazio, con quattordici istituti penitenziari e 5.891 detenuti, è terza dopo Lombardia e Campania per numero di presenze. Più di tremila detenuti si trovano concentrati nelle carceri di Roma, soltanto a Regina Coeli e Rebibbia Nuovo Complesso ci sono oltre 2.500 persone.

 

REATI DI SOPRAVVIVENZA. Una particolare attenzione, va però rivolta alle condizioni dei detenuti stranieri, che rappresentano il 33,45% della popolazione carceraria, un numero molto superiore alla media europea che si attesta al 21%.

I detenuti stranieri presenti nelle carceri italiane hanno commesso reati minori rispetto agli italiani: 8.607 i reati contro il patrimonio, 6.922 contro la persona, 6.571 in violazione della legge sulle droghe, 1.372 in violazione della legge per gli stranieri, solo 95 delitti di mafia. Secondo l’associazione Antigone, tali reati dimostrano che «la devianza degli stranieri si connota per essere strettamente connessa a fattori economici e a ridotte possibilità di sostentamento. In altre parole, non potendo lavorare perché irregolari, e non potendo regolarizzarsi, la scelta dell’azione illecita (compreso il rischio di incarcerazione) risulta un’opzione di sopravvivenza».

 

IL PERMESSO DI SOGGIORNO. Un altro ostacolo per i detenuti stranieri emerso dal rapporto Caritas è la non possibilità di rinnovare il permesso di soggiorno durante il periodo di detenzione. La legislazione italiana in materia di immigrazione (Testo Unico 286/98) non prevede, infatti, procedure specifiche che consentano di rinnovare il permesso di soggiorno di un cittadino straniero regolare che si trova in stato di detenzione presso un Istituto penitenziario.

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Un’immagine di Regina Coeli, a Roma. Nel Lazio ci sono 5.891 detenuti.

Anche se le modifiche normative degli ultimi anni rendono più flessibile la legge (prima di un’espulsione si considerano diversi fattori) resta il fatto che uscito dal carcere il migrante può trovarsi privo di ogni tutela. «Per questo motivo», spiega Caterina Boca (sportello legale Caritas di Roma), occorre, da una parte, consentire al cittadino straniero titolare di permesso di soggiorno di poter richiedere il rinnovo del suo documento proprio durante il trattenimento nell’istituto penitenziario, dall’altra bisogna metterlo nelle condizioni di venire a conoscenza dei propri diritti e doveri rispetto alle procedure amministrative relative alla propria condizione giuridica di migrante in Italia».

 

I MINORI. L’alto tasso di incarcerazione dei cittadini stranieri riguarda anche gli istituti minorili. Se da un lato il totale dei detenuti minori va diminuendo, crescono le cifre riguardanti gli stranieri: nel 2011 i minori italiani segnalati ai servizi sociali erano 16.884 mentre oggi sono scesi a 15.729. Invece gli stranieri sono 4.521 mentre nel 2011 erano 3.273.

Sempre l’associazione Antigone ha evidenziato il rischio che tra questi minori carcerati «ci siano ragazzi migranti che, dopo un viaggio drammatico, sono stati accusati di essere scafisti solo perché indicati dal vero scafista (assente sull’imbarcazione) come coloro che dovevano reggere il timone o svolgere altre piccole mansioni a bordo».

 

LA FORMAZIONE. Le buone prassi emerse dal progetto Caritas “Un mondo in un altro” mettono al primo posto la formazione di operatori e volontari, che stanno a stretto contatto con i detenuti. «Meno sai, più rischi di alimentare le aspettative», sottolinea Caterina Boca. «Il pericolo è che, non conoscendo le leggi, le normative, si rischia di dire una cosa per un’altra. Per cui la formazione è utile sia per aiutare meglio, sia per evitare di sbagliare nei percorsi di assistenza che si fanno. Quanto sia importante la formazione ce lo dimostra quanto accaduto a Viterbo, dove i colleghi sono riusciti ad organizzare la formazione con il personale dell’istituto penitenziario e pur essendo di sabato mattina c’era molto personale e tutti molto interessati, al punto che ci hanno anche chiesto di tornare».

 

 

 

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