FREELANCE: SU LA TESTA!

Il mondo delle news gira grazie ai precari, che non sono tutelati, neanche quando rischiano la vita. Un manifesto chiede più diritti

Oltre 31mila. Sono tanti i giornalisti freelance in Italia, secondo il rapporto Ldsi (Libertà di stampa diritto all’informazione): quasi il doppio rispetto ai “colleghi” regolarmente assunti con un contratto di lavoro dipendente, che sono 18.547. Sono numeri che fanno impressione. Ma non avete ancora letto niente. Ecco i dati dei redditi delle due categorie: a fronte di una media di 33.500 euro l’anno, il reddito medio dei giornalisti dipendenti è di 62.459 euro contro gli 11.278 dei giornalisti free lance. Eppure, se n’è parlato anche al seminario “Rimozioni” di Redattore Sociale a Capodarco lo scorso novembre, il giornalismo è una professione sempre più basata sui freelance. Insomma, sono gli indipendenti che fanno girare il mondo delle notizie.

Ma chi sono, come lavorano, cosa provano, quanto guadagnano, che cosa sognano, perché hanno scelto di farlo i freelance? «Ultima spiaggia o scelta di vita?» si chiede Marina Picone, regista del documentario “Zero Potere”, dedicato proprio a questa figura. «Si tratta realtà diverse. In alcuni casi è una situazione di precariato non riconosciuta, quella di collaboratori pagati a pezzo che scrivono per una sola testata, in una situazione paraschiavistica, che andrebbero assunti con contratto regolare: sono dipendenti mascherati da freelance». E poi ci sono i veri freelance, i veri giornalisti indipendenti. Liberi, sì, ma da che cosa? «Sei molto meno garantito, sia come stipendio che come diritti» spiega Stefano Liberti, giornalista, scrittore e regista, che oggi lavora solo con media stranieri. «Hai la possibilità di fare un tipo di scelte se riesci a muoverti e se riesci a organizzarti. In Italia i freelance non sono organizzati e non sono coordinati». «I giornali hanno tagliato le spese. Quello che è venuto meno sono i lavori approfonditi» spiega Liberti. «Per questo per un giornalismo di qualità non può fare a meno dei freelance, gli unici che possono fare un lavoro di questo tipo».

La guerra: quella sul campo e quella con i giornali

Sì, ma a che prezzo? Francesca Borri fa l’inviata di guerra, sta raccontando la Siria. «Per me i rischi sono di tipo diverso, non so se la sera sono viva», racconta con passione. «Il giornalismo di guerra costa 1000 euro al giorno: il freelance risparmia sul giubbotto antiproiettile, sul fixer, cioè colui che ti guida, che è quello che fa la differenza: avere un driver quando devi scappare dalle bombe vuol dire avere la macchina migliore che c’è, parcheggiata al posto giusto. È su questo che i freelance risparmiano, è su questo che i freelance muoiono». E allora come si sopravvive? Costruendosi delle reti sociali in loco. «Il freelance ha un privilegio infinito: il tempo» spiega la Borri. «Sono stati i siriani a proteggermi, perché io sono stata lì per mesi. I giornalisti dipendenti, visto che i giornali tagliano, non possono stare lì il tempo necessario per stringere relazioni. È il tempo che ti salva la vita».

Ma non pensate che questi rischi siano adeguatamente ricompensati a livello economico: un giornale italiano paga una corrispondenza di guerra intorno ai 70 euro lordi. Quella di Francesca Borri è una storia molto particolare. Studiava diritto internazionale con Cassese, che le chiese di raccontare l’Ilva di Taranto. Da lì ha continuato a scrivere, raccontando la battaglia di Aleppo. Dalle zone di guerra ha anche deciso di denunciare, con un articolo, le condizioni in cui lavoravano i freelance: in Italia non l’ha voluto nessuno, perché «questa roba non se la legge nessuno, te la puoi ciclostilare e mandare a un’assemblea della Fiom». Il pezzo è stato pubblicato negli Stati Uniti, tradotto in 5 lingue. E da noi La Stampa l’ha pubblicato senza comprare i diritti, lo ha preso e tradotto. Oggi Francesca pubblica, soprattutto all’estero, in 15 lingue.

Anche per i dipendenti è dura

Lorenzo Cremonesi, inviato “sotto contratto” del “Corriere della Sera”, è l’altra faccia della medaglia. Ha iniziato da freelance anche lui, molti anni fa, e sa quanto è dura. I tagli ai budget però condizionano anche chi fa questo lavoro da dipendente. «Oggi la crisi è per tutti: nei giornali avere meno soldi vuol dire tagliare le priorità e le sedi estere sono le prime a saltare», spiega. «Anche noi quindi siamo molto più esposti: avere meno tempo per stare nei posti significa non conoscere bene la realtà che si racconta». Un tempo era diverso. Oggi rischia anche chi ha un contratto. «A Baghdad ho passato cinque anni, dal 2002 al 2006, e nessuno mi disse: “torni indietro”» svela Cremonesi. «Stare sul posto voleva dire la tua sicurezza: se tu non stai lì non sai qual è la strada sicura. Stare sul posto, avere il tuo tassista, i traduttori e gli amici locali aiutava tantissimo. Oggi ti tagliano i periodi. L’ultimo periodo lungo per me è stato a Tripoli nell’agosto del 2011, quando cadde Gheddafi».

Orgogliosi di essere freelance: ecco il “manifesto”

Enzo Jacopino, presidente dell’Ordine dei Giornalisti ha ricordato il caso della Corte d’Appello dell’Aquila, che di recente ha condannato “Il Messaggero” a dare 494mila euro a un collaboratore come differenza tra la somma dovuta e quella percepita: parliamo di circa 40 mila euro l’anno. E ha ricordato come in Germania, dove molti redattori scelgono di diventare freelance perché il redattore in pratica non scrive, da freelance si ha una pensione, la malattia e 30 giorni di vacanze pagate, e un anno di stipendio in caso di perdita del lavoro.  Si tratta allora di combattere, e di unirsi.

Per ora ci ha provato il gruppo Italian Freelance Journalists United, che si è riunito su Facebook e ha elaborato il manifesto dei giornalisti freelance. Richieste sacrosante, che ci sentiamo di condividere.

  1. Siamo giornalisti freelance e orgogliosi di esserlo.
  2. Siamo uno dei pilastri del mondo dell’informazione attuale e ancor più del suo futuro, anche se il nostro lavoro non sempre è riconosciuto per quello che è: un misto di competenze, esperienza, contatti, flessibilità, innovazione, capacità di organizzazione.
  3. Il nostro lavoro è una risorsa per tutti: per questo va pagato. Bene. E nei tempi previsti dalla legge.
  4. I nostri articoli non devono essere stravolti nel contenuto, titolo e contesto.
  5. Siamo liberi professionisti. L’esclusiva? Va pagata.
  6. Siamo collaboratori esterni delle redazioni: la disponibilità quotidiana e la reattività immediata sono un di più che vanno negoziati.
  7. Se ci chiedete proposte, idee, progetti, siete liberi di non sceglierli, ma ci aspettiamo una risposta in tempi ragionevoli.
  8. I lavori commissionati, consegnati e corrispondenti a quanto richiesto vanno pagati anche se per vostri motivi decidete di non pubblicarli. E vogliamo sapere in anticipo il compenso di un lavoro.
  9. Abbiamo diritto al rimborso delle trasferte e a una copertura legale.
  10. Abbiamo diritto a ferie, malattia, maternità, pensione: purtroppo oggi questi diritti per noi, come per molti altri lavoratori freelance, sono una chimera. Vogliamo impegnarci perché non sia più così.

 

FREELANCE: SU LA TESTA!

FREELANCE: SU LA TESTA!