SETTECAMINI. LE DONNE E LE LOTTE

Il laboratorio Il rovescio e il diritto – Knit The Street, che unisce le donne tra maglia e racconti, fa scoprire una storia di lotte e di partecipazione

Arrivare al centro culturale di Settecamini (Roma) è come entrare in una piccola oasi. Usciti dallo svincolo , arrivati dal raccordo, l’impatto è il solito di tutte le periferie: centri commerciali, centri direzionali, asfalto e cemento. Superato questo punto, si entra in  un paesino dove il tempo sembra essersi fermato. Una volta arrivati al Centro Culturale, in via di Settecamini, ci si trova in uno splendido casale nel verde, fresco, silenzioso e isolato. Siamo qui per assistere a una giornata del laboratorio “Il rovescio e il diritto – Knit The Street”, realizzato nell’ambito del Progetto Well-Fare | Tra mediazione e comunità, costruire il welfare locale. È un laboratorio pensato per le donne di tutte le età, che si ritrovano per intrecciare relazioni e trame. Quelle del lavoro a maglia, e quelle dei racconti che leggono ad alta voce durante l’attività. E dai racconti scritti su carta si passa spesso a quelli impressi nella propria anima, quelli delle proprie vite.

Storia di Adriana

Così, l’arrivo del laboratorio a Settecamini, dove fino a pochi giorni fa si è tenuto ogni giovedì mattina, in attesa di riprendere dopo l’estate, è stata l’occasione di ascoltare la storia di Adriana, una vita fatta di partecipazione. «Venivo a Settecamini perché mio marito veniva a riparare un frigorifero qua vicino» ci racconta. «Poi dal centro ho cominciato a venire a prendere le bistecche qui, perché mi sembrava di andare a prenderle al paese. Dal centro sono venuta ad abitare a San Basilio. Per una vicissitudine di sfratti poi sono arrivata qui, a Settecamini: mi sono comprata una casa popolare». La vita, in quello che a tutti gli effetti era un paesino fuori Roma, scorreva serena. «La scuola elementare era favolosa, le insegnanti venivano dal nord e facevano le lotte per cambiare la pagella, per avere le classi miste» ricorda Adriana. «Insieme ai miei figli sono cresciuta anch’io e ho capito qualcosa della vita. Ho conosciuto la Costituzione».
Settecamini nasce come borgata rurale ai primi del Novecento, sui territori del Duca Leopoldo Torlonia. Dopo la Guerra del 15-18, delle case con 5mila metri quadrati di terreno vennero assegnate ai reduci della Grande Guerra. Per ogni casetta c’erano due inquilini. «La gran parte di queste persone hanno comprato la propria casa, e a un certo punto erano rimasti in sette che non avevano comprato» ci racconta Adriana. «Il Comune ha venduto queste case a un milione e duecentocinquantamila lire, ridimensionando la terra a 1000 metri quadrati».
Settec3Ma anche un posto come questo si trova a fare i conti con la speculazione edilizia. Siamo negli anni Settanta. «Una mattina ci siamo trovati tutti i vari lotti da quattromila metri quadrati recintati. “Ma perché?”, si chiedevano tutti» ricorda Adriana. «Siccome erano di proprietà del Comune, denunciammo il Comune di Roma a rientrare in possesso dei beni mobili e immobili di questo quartiere. Tutte le casette che vedete oggi sono frutto delle battaglie di quel periodo». Che non si fermarono a questo problema. «Nel parco dove oggi c’è il centro anziani, c’erano tutte le baracche delle persone che vivevano nelle case popolari, come me» racconta. «Le case erano piccole, e usavano le baracche come uno sgabuzzino. Erano gli anni Settanta, i tempi di Nicolini, storico assessore alla cultura di Roma, che voleva farci un parco. Tutti hanno tolto le baracche da soli, è stato un esempio di civiltà».

Si combatteva per tutti

Oggi si parla tanto di mediazione sociale, di lavoro di comunità, ma a quei tempi già si faceva, c’erano comunità di cittadini coesi, solidali, e impegnati a far valere i propri diritti. «All’epoca nacque un comitato di quartiere, dopo l’idea di un enorme blocco stradale», ricorda la signora. «Avevano soppresso l’autobus 163, che collegava Settecamini alla Stazione Termini. I cittadini spontaneamente si riunirono. Nacque la necessità di organizzarci, Ne scaturì un comitato promotore per far nascere un vero e proprio comitato di quartiere: Settecamini si divide in sei zone; ogni zona indisse un’assemblea, coinvolgendo tutti, e doveva eleggere due propri rappresentanti. Le assemblee erano momenti forti, dalla grande partecipazione. Settecamini allora era un po’, come molti luoghi in Italia, divisa tra Don Camillo e Peppone. Nel comitato di quartiere non si faceva la politica dei partiti, ma la nostra politica. Però volevamo che ci fossero tutti, anche i partiti. C’erano la parrocchia, c’erano le suore».
Già allora queste persone avevano creato quella che oggi si chiamerebbe una rete. «Diventai vicepresidente del comitato» ricorda Adriana. Era una cosa nuova che una donna facesse il vicepresidente. «Al momento del voto, la suora si astenne, perché ero una donna. Poi, dopo un anno, diventati presidente. Adesso non vedo più comitati, vedo solo sigle». C’era allora un’idea di una politica del fare, di battaglie che riuniva le persone per la difesa di beni comuni, i cui echi, a tratti, si sentono ancora oggi. «Eravamo arrivati a far capire a tutti questo concetto: tu vota come ti pare, ma devi sapere dove va a finire il tuo voto. Devi andare a chiedere conto, non solo il favore personale» ricorda Adriana. «Si combatteva per tutti. La luce serve a tutti, l’acqua serve a tutti. Avevano punti di vista diversi, ma la lotta la facevano tutti. Il bene comune era per tutti».

Proteste costruttive

Anche il posto dove ci troviamo ha una storia molto particolare. «Era una stalla, la usavano per far accoppiare gli animali di razza, i tori, i cavalli», ci spiega Adriana.
Settec2«Il Comune doveva dare un servizio al ministero dell’agricoltura. Venivano portati gli stalloni da Pisa, e si apriva questa stalla, dove le cavalle dell’agro romano venivano portate per la riproduzione. Quando abbiamo occupato questo edificio, nel 1975, mettendo una catena, la giunta, che era fatta in un certo modo, non ci ha mandato i carabinieri. C’erano i camion dei cavalli che aspettavano fuori, l’autista doveva dormire: lo abbiamo alloggiato da una signora di Settecamini. E ci hanno chiesto di risolvere il problema dei cavalli. Abbiamo individuato una tenuta sulla Collatina, e il Comune l’ha acquistata». È un modo di protesta costruttivo, un modo di dire «vogliamo questa cosa perché si può fare». Oggi spesso si protesta solo contro qualcosa. Allora si cercava anche di dare una soluzione.
Stella, un’altra delle signore del laboratorio, è arrivata a Settacamini da Acilia, passando per Centocelle. «L’impatto è stato disastroso» ricorda. «A Centocelle stavo a via dei Frassini, vicino a via dei Castani, avevo appena avuto una bambina e facevo delle belle passeggiate tra le vetrine. Poi non compravi niente, ma ti sentivi bene. Qui non c’era niente. ed è rimasto così». È più che altro un quartiere dormitorio, nella percezione delle signore che ci abitano. Un posto un po’ abbandonato, stretto tra i raccordi e i centri commerciali, comunque non molto vicini. «C’è un minimarket», ci illustra Cecilia. «C’è una farmacia, che ha tutto, dall’erboristeria alla bigiotteria, con un poliambulatorio sopra. C’è un banchetto della frutta. C’era una macelleria equina, ma ha chiuso. C’era un parrucchiere, che ha chiuso. C’è un tabaccaio, un’edicola. Un ferramenta. E basta».
«Meno male che c’è questo centro culturale» concludono le signore. Anche per questo motivo c’è bisogno di attività come questa. Un giro di maglia, un racconto, una parola amica possono aiutare.

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