CAPORALATO, NEL PRESIDIO CARITAS DI BORGO HERMADA APERTI 230 CASI IN 7 MESI
Lo Sportello orientamento stranieri della Caritas Diocesana dà supporto a braccianti stranieri, vittime di caporalato. Lidia Zampieri: «Si potrebbe fare ancora di più, ma serve un cambiamento culturale: per molti datori di lavoro i braccianti indiani non sono esseri umani, sono senza diritti e di passaggio»
27 Settembre 2024
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È rimasto chiuso solo una settimana a fine agosto, ma gli appuntamenti arrivano già fino a novembre: a Borgo Hermada, frazione di Terracina (Latina), da otto anni opera il Sos, Sportello orientamento stranieri, aperto lunedì e mercoledì pomeriggio dalle 15 alle 18.30. Rivolto soprattutto ai braccianti agricoli stranieri, vittime di caporalato e sfruttamento lavorativo, il presidio della Caritas diocesana di Latina – in un piccolo container su via Emerigo Bolognini, in un campo incolto di proprietà della vicina parrocchia Sant’Antonio – è stato quasi preso d’assalto dai migranti indiani dopo la morte tragica di Satnam Singh, il 31enne indiano lasciato con il braccio mozzato davanti a casa sua a Cisterna di Latina dal suo datore di lavoro e spentosi due giorni dopo, il 19 giugno, all’ospedale San Camillo di Roma dov’era stato trasportato in elisoccorso. Dopo tre mesi, finalmente la salma è stata rimpatriata in India per le esequie, visto che ai suoi parenti non sono stati concessi i visti per raggiungere l’Italia.
Il presidio di Borgo Hermada è un luogo di ascolto, orientamento, tutela
Attraverso il passaparola, la vicenda ha scosso i connazionali sfruttati nei campi e nelle serre, senza permesso di soggiorno. Così in tanti – in arrivo dalla provincia di Latina, dalla litoranea, ma anche da Roma e dalla provincia di Napoli – si sono rivolti per informazioni sui documenti al presidio gratuito (presidiocaritaslatina@gmail.com, tel. 346/5147030), «che nel biennio 2021-2023 ha svolto circa 400 ascolti di lavoratori stranieri, prevalentemente di nazionalità indiana, i quali compongono la numerosa comunità che ormai da trent’anni si è stanziata su quel territorio» spiega Angelo Raponi, direttore della Caritas diocesana. «Dal 2016 siamo entrati nel progetto Presidio di Caritas Italiana, attivando un sportello permanente (nel nostro caso un container) a Borgo Hermada (Terracina), dove i nostri volontari e operatori specializzati assicurano ai lavoratori impiegati nel settore agricolo e in evidente condizione di sfruttamento, un luogo di ascolto, di orientamento e di tutela rispetto alla loro situazione giuridica, sanitaria e lavorativa». Gli interventi dello sportello sono realizzati grazie alla presenza di due operatori sociali: da alcuni mesi l’avvocatessa Lidia Zampieri, affiancata da Ekta Kumar, mediatrice culturale madrelingua punjabi, rendono possibili «le attività di orientamento sanitario, abitativo, burocratico alle istituzioni locali e l’informativa legale sulle modalità di rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno, con particolare attenzione alla tematica per i diritti dei lavoratori in agricoltura. Il fenomeno dello sfruttamento lavorativo è trasversale e non si riferisce solamente a lavoratori di nazionalità straniera, motivo per cui questo servizio, come gli altri di Caritas Latina, è comunque pronto ad accogliere e ascoltare indistintamente tutti coloro che ne siano vittime. Inoltre dal 2014, presso il nostro Centro di ascolto diocesano, abbiamo attivato uno Sportello legale per gli immigrati e i nostri avvocati seguono decine di casi».
A Borgo Hermada attraverso la rotta balcanica
Molti dei ragazzi poco più che ventenni che bussano alla porta del Sos approdano in Italia tramite un lunghissimo viaggio attraverso la rotta – o per meglio dire tratta – balcanica, che li porta in Bahrein, Turchia, Serbia, Ungheria, Austria e infine a Verona. «Chiedono un permesso di protezione internazionale. Credono che l’Italia sia il Paese dei balocchi, ma le aspettative finiscono rapidamente», sottolinea la mediatrice culturale, che vive a Pontinia ed è approdata in provincia di Latina quando aveva appena 2 anni grazie al ricongiungimento familiare. Suo padre dagli anni ’80 ha lavorato in Italia prima in un circo, poi per quasi 35 anni in una stalla di puledri e da un decennio ha aperto un negozio di alimentari. Ekta lo aiuta ma le piace «poter aiutare i miei connazionali, dare loro la giusta direzione, accompagnare le donne nei consultori. Arrivano poche ragazze da sole: se partono, hanno la responsabilità della famiglia perché sono le maggiori o forse non hanno fratelli; molte ottengono il visto per la Croazia, dove lavorano come lavapiatti o badanti».
A Borgo Hermada aperte 230 schede in pochi mesi
«I procedimenti burocratici sono lunghissimi e le direttive comunitarie ci trovano impreparati, abbiamo un vuoto normativo gravissimo», osserva l’avvocatessa Zampieri. «Il sistema dei decreti flussi non funziona, perché i datori di lavoro che li “chiamano” spesso non rispettano il loro impegno e non vengono sanzionati, anche se hanno ricevuto 2.500 euro sotto banco. Intanto i migranti non ottengono il permesso di soggiorno e ripiombano nell’illegalità e nello sfruttamento. Ci dovrebbero essere centri d’accoglienza, invece vanno a vivere insieme a conoscenti che per un materasso fra tanti chiedono molti soldi, anche 200 euro al mese. Per avere la residenza, il proprietario della casa dove vivono – di solito indiano – che firma in Comune viene pagato dai 1.000 ai 3 mila euro. Il passaporto trattenuto dai trafficanti e ripagato con altri 2-3 mila euro». Una situazione d’illegalità diffusa sotto gli occhi di tutti, che li spinge anche a bere alcol e a drogarsi «per sopportare le condizioni di lavoro: sono esposti a condizioni vere di schiavitù», denuncia l’avvocatessa. «Molti di loro meritano la cittadinanza che a molti italiani andrebbe tolta. Sono lavoratori instancabili anche in condizioni climatiche avverse, come i 40 gradi nelle serre. Sono il nostro tessuto sociale, invece noi siamo razzisti attraverso i decreti sicurezza». In sette mesi al Sos, Zampieri ha aperto «230 schede di assistiti: la richiesta più frequente è la protezione internazionale e di regolarizzarsi. Poi chiedono come avere un medico di base e il pediatra per i figli. Quando non lavorano, hanno bisogno di viveri e vestiti e li mandiamo alla Caritas parrocchiale, ma appena hanno di nuovo uno stipendio smettono di usufruire degli aiuti». Tanti operatori e volontari «si danno da fare per loro come fosse una missione. Si potrebbe fare molto di più, se lo sportello fosse aperto tutti i giorni… Ma ci vuole un cambiamento culturale: da molti datori di lavoro i braccianti indiani non vengono considerati esseri umani, sono senza diritti e di passaggio».