CALCIO SOLIDALE inFEST 2016, UN ALTRO CALCIO È POSSIBILE

La prima edizione del Calcio Solidale inFEST, a Roma, ha presentato alla città tante realtà che vedono il calcio come integrazione, inclusione, terapia

Sabato 28 maggio, alle 20.45, il mondo si è fermato per uno degli eventi clou del calcio mondiale, Real Madrid – Atletico Madrid, finale di Champions League. Poche ore prima, in un campo proprio dietro agli studi di Cinecittà, a Roma, andava in scena una visione completamente diversa della palla che rotola. Una serie di partite dove non contavano il risultato, i soldi, gli sponsor, ma lo stare insieme. Il Calcio Solidale inFEST 2016 è andato in scena dal 26 al 28 Maggio tra gli studios di Cinecittà e il campo sportivo Bettini, tra partite di calcio molto particolari e incontri con artisti (tra cui Matteo Garrone e Carlo Verdone) in grado di raccontare il loro rapporto con quello che, nonostante tutto, rimane un magnifico sport. Anzi, il più bello di tutti. Il primo festival nazionale del calcio solidale nasce dalla Rete del Calcio Solidale, che da un anno, nella Capitale, riunisce tutte le realtà che vivono il calcio come fattore di riscatto, inclusione sociale, integrazione, terapia.

Calcio Solidale inFEST
Immagine Sun & Heart

«La rete nasce nel 2015 per far conoscere, valorizzare e promuovere tutte le realtà di calcio solidale, ovvero tutti coloro che utilizzano il calcio per favorire processi di inclusione, percorsi relazionali tra persone, sviluppare reti nelle comunità più difficoltose», ci ha raccontato Maurizio Saggion, Direttore di Fondazione Roma solidale e del Calcio solidale inFEST. «È un aggregato informale, che cerca di trovare un’identità, e il festival è il primo momento, dopo l’annuncio del 2015, di presentazione alla città della rete». «Volevamo creare una narrazione nella città, far vedere che oltre al calcio conosciuto, che poi è passivo, perché lo guardiamo in televisione, anche se muove delle passioni, esiste un calcio diverso», continua. «Volevamo farlo raccontando storie, anche di campioni, con film su Gascoigne e Socrates. E poi incontrando i tanti “campioni” che frequentano i campi di calcio e calcetto, e che hanno solo dei benefici giocando a calcio. È una narrazione a doppio livello: i famosi, quelli che ce l’hanno fatta, ma che vivono dei problemi, e le persone normali, che potrebbero avere dei problemi, ma che vivono il gioco del calcio in modo naturale, ed emozionale».

Calcio Solidale inFEST: un ritorno ai veri valori del calcio (e dello sport)

A Cinecittà abbiamo assistito a delle partite molto particolari. Come quella tra una selezione della rete Calcio Solidale e la Roma Calcio Femminile. Le ragazze sanno giocare a calcio molto bene, con una regista che tocca il pallone come Pirlo, e schemi per nulla improvvisati in attacco. Graziose, ma tostissime, le ragazze finiscono per subire una delle dure leggi del calcio, quella che vuole che a un gol sbagliato – dopo una bellissima azione corale – segua un gol subito. Il primo tempo finisce così uno a zero per i ragazzi.

Calcio Solidale inFEST
Immagine Sun & Heart

Ma è il secondo tempo a diventare una vera festa. Si gioca a ranghi misti, rigorosamente dopo una “conta”, come si faceva nei campetti da ragazzi: pari o dispari, e chi vince comincia a scegliere i giocatori per la sua squadra.
La mattina di sabato erano scesi in campo gli scrittori italiani (l’Osvaldo Soriano Football Club), contro gli scrittori israeliani. Hanno giocato dopo un reading letterario. Saranno anche artisti, ma poi quando si va in campo nessuno ci sta a perdere, e non si sono certo risparmiati. È finita due a due, tra crampi e interventi al limite del regolamento. Che, in questo caso, non significano cattiveria, ma passione. «Abbiamo voluto raccontare un calcio diverso, quello di un confronto tra scrittori, oppure il confronto di genere, facendo giocare un gruppo di ragazzi migranti con le ragazze», ci racconta Saggion. «Tutto questo ha un valore culturale: all’inizio c’erano tante resistenze nel giocare con le femmine, ma quando hanno visto che erano addirittura più brave, i freni si sono allentati, e i ragazzi hanno cominciato a giocare quando hanno visto che potevano competere con dei pari grado».
Nei giorni precedenti c’è stato anche un torneo di calcio integrato, con la partecipazione di una serie di organizzazioni che favoriscono l’inclusione dei ragazzi, come l’Autistic Football Club. «Anche Simone Perrotta, un campione del mondo, ha giocato con ragazzi con problematiche importanti come l’autismo», ci ha raccontato Saggion. E poi c’è stato il torneo di calcio interculturale. «Abbiamo fatto giocare ragazzi provenienti da altre culture, in cui la logica è stata quella dell’inclusione, e dove tutte le squadre si sono mischiate», ci spiega il direttore del festival. «L’idea è stata permettere lo scambio tra chi giocava, ragazzi migranti, e chi guardava, oltre allo scambio tra le squadre. Nell’altro filone, quello del calcio integrato, è stato far giocare ragazzi con disabilità accanto a normodotati e campioni».

Quando c’è una palla che rotola siamo tutti uguali

Al torneo di calcio interculturale ha partecipato anche la Liberi Nantes, squadra di Pietralata che da anni si occupa dell’integrazione di migranti e rifugiati (Reti Solidali ha raccontato la loro storia). «Siamo stati tra le prime associazioni che hanno dato un contributo alla costruzione della rete», ci ha spiegato Alberto Urbinati, vicepresidente della squadra.
«Maurizio Saggion mi ha chiamato, spiegando quello che voleva fare, è nato un primo gruppo di associazioni che si riconoscono nei valori del calcio solidale: accoglienza per i migranti, calcio popolare, disabilità». «È stato un torneo molto amichevole, di amicizia con tutte le squadre. La scusa del torneo era quella di stare insieme ad altri amici», commenta. «La lezione era quella del divertimento. In campionato i ragazzi sono abituati a toni un po’ più accesi, qui l’hanno presa come una giornata di svago e di rilassamento: molti dei ragazzi delle varie squadre si conoscono, per loro è un’occasione di incontrare amici che hanno convissuto con loro in qualche centro e poi hanno preso altre strade».

Calcio Solidale inFEST
Immagine Liberi Nantes

Per la cronaca, nella prima partita con la Spartak Lidense, la Liberi Nantes ha vinto due a zero, poi ha affrontato la Ethio Roma, rappresentativa di ragazzi etiopi di Roma, e ha vinto tre a uno. Ha perso la finale, fatta direttamente ai calci di rigore, con lo Sporting United, per un solo tiro. Proprio come l’Atletico contro il Real. Tutto questo ci dimostra che un altro calcio è possibile. «L’altro calcio possibile è quello che coinvolge chi non ha possibilità di giocare, perché non ha i soldi per pagarsi l’attività sportiva in modo classico, o la palestra», riflette Urbinati. «Tutta queste associazioni danno la possibilità di fare sport, attività fisica, di avere uno sfogo. C’è bisogno di associazioni di questo tipo anche per ragazzi che hanno problemi di disabilità. Sono esperienze preziose che fanno al calcio e allo sport un senso più ampio. La potenza dello sport e del calcio, la possibilità di sentirsi parte di una squadra». Il calcio è qualcosa di magico. Ci dispiace se a volte ce lo siamo scordato. Ma occasioni come queste ci fanno tornare in mente che cos’è davvero il gioco più bello del mondo. Che spesso è qualcosa che divide. Ma quando unisce, unisce come nient’altro sulla Terra. Ma che cos’è che rende il calcio così speciale? «Io ho visto giocare a calcio ovunque, in tutte le parti del mondo», ci risponde Urbinati. «Nella forma più essenziale possibile il calcio ha bisogno solo di una palla e dei pali improvvisati come dei bastoni di legno. Non occorre nulla per giocarci, e questa immediatezza ne fa lo sport più popolare al mondo. Si gioca a calcio nei campi africani come in ogni posto del mondo. Il calcio vince per la semplicità e l’economicità. E poi credo che lo strumento palla sia un forte motivo di attrazione: se ho una palla che rotola dentro un parco io mi metto a giocare. Credo che ci sia qualcosa di molto profondo, immediato, facile: unisci 22 persone in un angolo di gioco. Il momento del gol è un momento fantastico, di liberazione e di realizzazione del gioco. E diventa l’obiettivo comune di una squadra». «È il fatto che è stata la prima cosa che abbiamo fatto quando siamo stati piccoli», è l’opinione di Saggion. «Abbiamo visto una palla e l’abbiamo presa a calci. È stato l’imprinting. In quei momenti lì c’erano gli amici che rimangono per una vita. Il calcio è l’elemento che c’è all’inizio, permettendoci di conoscere gli amici, e rimane perché quel valore è talmente profondo in noi, che solo il calcio della finanza e degli interessi possono snaturare. Ma se noi mettiamo una palla in mezzo alle persone torna subito il bambino che è in noi. Il calcio annulla le distanze, perché torniamo bambini, e i bambini non hanno distanze. Quando c’è una palla che rotola siamo tutti uguali».

CALCIO SOLIDALE inFEST 2016, UN ALTRO CALCIO È POSSIBILE

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